L’Unione europea a rischio disintegrazione
 











Una serie di dati pubblicati di recente hanno evidenziato che la disoccupazione nell’Eurozona ha raggiunto il livello record del 12 per cento nel mese di febbraio, pur mantenendosi pressoché  stabile rispetto al mese precedente. Il numero complessivo dei senza lavoro nell’area euro è ora pari a 19,07 milioni, ovvero 33mila unità in più, ma quel che importa è sottolineare che le statistiche nazionali confermano la discrepanza tra le economie degli Stati membri dell’Eurozona del Nord Europa, indubbiamente più stabili e avanzati, rispetto a quelle meridionali in crisi drammaticamente evidente. Un elemento questo che servirà a fare delle considerazioni importanti su quello che potrebbe essere il futuro dell’Unione europea e della stessa Eurozona, a rischio disintegrazione. Ma proseguiamo ad analizzare quanto reso noto dagli istituti europei. I numeri pubblicati dall’agenzia Eurostat hanno inoltre mostrato che vi sono 19 milioni di disoccupatinell’area euro delle 17 nazioni e 26,3 milioni nell’Unione europea in tutto il suo insieme costituito dal blocco dei 27 Stati membri. Il tasso di disoccupazione a livello Ue è fermo invece al 10,9 per cento.
I dati mettono comunque in evidenza le differenze tra Stati dell’Eurozona del centro, da una parte, e quelli della periferia, dall’altra. Austria, Germania e Lussemburgo hanno tassi di disoccupazione particolarmente bassi e rispettivamente del 4,8 per cento, del 5,4 e del 5,5. Mentre le notizie provenienti da Grecia e Spagna sul tasso di disoccupazione sono sconfortanti ed evidenziano un numero altissimo di senza lavoro equivalente al 26 per cento per Atene e Madrid, e per il Portogallo il dato è invece leggermente diverso e pari al 17,5 per cento. Particolarmente elevata la disoccupazione tra i minori di 25 anni. Più di un giovane su due è infatti senza lavoro in Grecia (58,4%) e Spagna (55,7%). In Portogallo, invece, il 38,2 per cento e in Italia il 37,8 per cento. L’economiapiù forte dell’Unione europea, quella della Germania, ha un tasso di disoccupazione giovanile del 7,7 per cento. Un divario enorme, incolmabile rispetto agli Stati dell’Eurozona dell’Europa meridionale. La Commissione Ue da parte sua ha reagito definendo i numeri dei senza lavoro una vera “tragedia per l’Europa”. Sicuramente i tecnocrati di Bruxelles avrebbero fatto meglio ad accorgersi prima dei rischi che rischiava di correre l’Unione europea con le politiche di austerità che creano soltanto recessione, povertà e disoccupazione e avrebbero dovuto evitare di accelerare l’ingresso di alcuni Paesi nel club dei Ventisette. Ma era talmente tanta la fretta di dar vita all’Europa delle banche, delle lobby e delle multinazionali che hanno rafforzato l’ingresso di tutti gli Stati anche quelli con maggior corruzione e difficoltà come Bulgaria e Romania e tra poco sarà anche la volta della Croazia (1° luglio 2013) che non hanno pensato ai rischi futuri. Un divario enorme quello di molti Paesidell’Europa meridionale rispetto agli Stati del Nord Europa, più moderni, più stabili, con minore disoccupazione e tecnologicamente avanzati. Di recente è stato istituito un sistema di garanzia per chi è in cerca di una prima occupazione in cui le istituzioni degli Stati membri assicurano ai giovani di ricevere un’offerta di lavoro, con una formazione continuata, o un tirocinio da tenersi entro quattro mesi dalla fine del diploma o laurea raggiunta.
Nel frattempo, si continua a parlare di uno stimolo alla crescita in generale attraverso del danaro fresco da immettere sul mercato o di fondi di investimento che dovrebbero essere “sfruttati” per creare delle somme più grandi in grado di far crescere l’economia e l’occupazione. Ma tutto questo resta soltanto una chimera gettata lì come specchietto per le allodole, mentre si continua a perseguire la politica delle misure draconiane che affossano i Paesi e i popoli dell’Eurozona, mentre già si parla di rischio bancarotta per la Slovenia eforse per Malta e Lussemburgo, prima di arrivare naturalmente da qui a breve anche all’Italia.
Gli alti tassi di disoccupazione, in particolare tra i giovani, hanno portato i politici a parlare sempre più di “generazione perduta” con poche prospettive di trovare uno straccio di lavoro in grado di garantirgli un’occupazione degna di questo nome per il futuro. “Siamo in piena recessione. La disoccupazione sale sempre più su. Quando arriverà la crescita?”, ha osservato puntualmente  Bernadette Segol, capo della Confederazione europea dei sindacati. La Segol ha suggerito anche una continua attenzione alle misure di austerità che stanno provocando seri dubbi ai membri dell’Eurozona e dell’Unione europea circa i benefici di rimanere nel blocco dei Ventisette, a causa delle scelte economiche decisamente negative che provocano povertà, disoccupazione e recessione.
Le prospettive di crescita della zona euro sono difficilmente paragonabili con quelle di alcune superpotenze e degliStati emergenti. Per quanto riguarda le 17 nazioni che compongono l’area euro è prevista una contrazione della loro economia di un ulteriore 0,3 per cento nell’anno in corso, mentre l’economia degli Stati Uniti è destinata a crescere dell’1,7 per cento nel 2013. E il Pil della Cina sta crescendo a un ritmo di circa l’8 per cento l’anno. Una tendenza questa che preoccupa la Gran Bretagna, in particolare i conservatori che puntano a sganciarsi dall’Unione europea per riottenere una serie di voti ormai persi da tempo. La speranza è quella di far leva sull’euroscetticismo per ottenere da qui al 2015, anno delle nuove elezioni, una rimonta dei tories e del premier David Cameron loro espressione, per risalire nei sondaggi e vincere le consultazioni dopo le recenti batoste elettorali. Ma non è soltanto questo a solleticare il palato dei nemici britannici dell’integrazione europea. In gioco vi sarebbe un modello di sviluppo più al passo coi tempi e legato agli Stati dell’Europa settentrionale(Svezia, Norvegia, Danimarca, Finlandia, Islanda) e del Mar Baltico (Lituania, Lettonia ed Estonia) tecnologicamente avanzati ed economicamente “virtuosi”. Quanto basta ai britannici soprattutto conservatori a guardare verso di loro nella speranza di lasciare l’Unione europea degli sprechi e della crisi dell’euro ormai endemica. Ma da qui ai prossimi due anni, data in cui i britannici dovranno tornare alle urne bisognerà vedere se Cameron verrà di nuovo eletto premier del Regno Unito. In quel caso tutto sarebbe pronto e, con un referendum popolare, la Gran Bretagna potrebbe dire addio all’Unione europea, mentre sta creando le nuove istituzioni in Europa settentrionale dal settore politico-militare a quello economico-finanziario. “Nato del Nord” già in corso dal gennaio 2012 sotto l’egida per le strategie in campo militare dirette verso l’Artico in combutta con gli Stati del Nord Europa e del Baltico. E ancora accordi con i Paesi Baltici e quelli europei (Danimarca, Svezia, Finlandia,Islanda, Norvegia) in linea con le decisioni prese al meeting di Riga (Lituania) durante il Northern Future Forum 2013 per rafforzare le relazioni politico-finanziarie tra economie particolarmente avanzate dell’Europa settentrionale. Andrea Perrone
La Germania teme il contagio del Sud Europa
L’Italia è un Paese povero, sfotte alla televisione tedesca uno dei più noti comici locali. Un riferimento ironico sia al nuovo Papa, Francesco, che ha sostituito il tedesco, sia pure bavarese, Ratzinger, e che, fedele al nome, si è messo subito a lodare la povertà che fa meritare il Paradiso e la frugalità nel comportamento quotidiano. Ma si tratta anche di un riferimento rabbioso ai recenti dati diffusi dalla Bundesbank che parlano di una ricchezza media pro capite che in Italia sarebbe più consistente che in Germania.
Questo non è accettabile, si lamenta il crucco medio. Noi lavoriamo sodo mentre gli italiani si godono la vita, grazie al sole, al cibo mediterraneo e ai soldi che gliabbiamo prestato noi. Soldi che rischiamo di non vedere più se anche l’Italia si unisse all’Irlanda e alla premiata schiera dei Paesi dell’area Sud, Grecia, Spagna, Portogallo e Cipro, che sono stati costretti a fare ricorso agli aiuti internazionali. Sono proprio i Paesi “cicale” dell’area Sud dell’Europa quelli che i cittadini tedeschi vedono come il fumo negli occhi, soprattutto se i salvataggi finissero per pesare sulle loro capienti tasche. E’ infatti la Germania il primo contribuente del’Unione europea, della Bce e del Fondo salva Stati. E i tedeschi temono un peggioramento della situazione economica anche in casa propria.
Secondo un sondaggio, il 51% teme che il contagio possa estendersi anche alla Germania. Le voci insistenti su una deriva economica anche a Malta e in Slovenia fanno venire i sudori freddi ai tedeschi che ora sono portasti a pensare che è stato un grave errore allargare l’Europa ad altri 10 Paesi membri e fare entrare nell’Euro  quelli che hanno infertoun grave colpo alla solidità dell’edificio della moneta comune. Quello che i tedeschi non vogliono che si ricordi è però il fatto che le loro aziende e ancora di più le banche hanno guadagnato fior di quattrini in un Paese come la Grecia. E che politici tedeschi ed europei, che avrebbero dovuto controllare come i governi ellenici gestivano la spesa pubblica, hanno chiuso entrambi gli occhi sul fatto che ad Atene i governi truccavano i conti,  pur di farli entrare e restare nell’euro. Poi quando il banco è saltato, le banche tedesche ci hanno rimesso ma si tratta in fondo di un incidente di percorso. L’avidità e il rigore presunto dei tedeschi si sono scontrati così con la propensione tutta mediterranea alla spesa facile. Ma si tratta in realtà di un luogo comune perché i crucchi non hanno davvero le carte in regola per dare lezioni al prossimo.
La paura per un crollo dell’economia tedesca ha spinto il cancelliere Angela Merkel a imporre ai Paesi “cicale” la politicadell’austerità e del rigore che, come nel caso dell’Italia, ha aumentato la recessione e diffuso povertà in larghi strati della popolazione che prima ne erano immuni. Una austerità e un rigore la cui applicazione ha avviato lo smantellamento dello Stato sociale e, drenando risorse verso settori sociali con alta propensione al consumo, ha fatto crollare la domanda interna. Né del resto la Merkel poteva fare altrimenti. Fare la voce grossa rende sempre e il 22 settembre in Germania si vota per il nuovo Bundestag e nonostante i sondaggi dicano il contrario, l’attuale maggioranza tra i democristiani del Cdu-Csu e i liberali del Fdp potrebbe essere sconfitta sostituito al governo da una coalizione tra socialdemocratici e verdi, con la sinistra della Linke e i Pirati (una sorta di grillini ante litteram) che potrebbero incassare una barca di voti da parte dei delusi della politica tradizionale.
Il condizionale è d’obbligo, perché nella vulgata comune un governo di sinistra, proprio perchépiù sociale, sarebbe maggiormente attento a sostenere i nuovi poveri e meno interessato ad insistere con politiche del rigore da imporre al prossimo e in casa propria. Quella percentuale di preoccupati è la più alta degli ultimi due anni. Solo un 33% scarso pensa che le cose non cambieranno molto, né in peggio né in meglio, e appena un 13% nutre fiducia sul fatto che l’economia della Germania crescerà ancora. Certo, con tutti i soldi prestati a destra e a manca (sono o non sono la prima economia europea?) i tedeschi temono per il futuro dei risparmi di una vita ed ovviamente per il calo del potere d’acquisto. Con il Pil che cresce appena di un 1% e con l’inflazione al 2%, i conti sono presto fatti.
La Merkel resta quindi esposta all’umore dei suoi cittadini elettori che non provano in verità particolare entusiasmo sia per lei che per i suoi avversari. Si attua così, nel comune sentire, un atteggiamento molto critico nei riguardi della politica, considerata altra cosa rispetto ad unsistema finanziario, economico, industriale ed infrastrutturale che si è creato e sviluppato in maniera autonoma. Un modo di vedere semplicistico, se solo si pensa agli aiuti di Stato alle imprese, ma il cui peso potrebbe farsi sentire alle elezioni.
Vi è insomma un sentimento diffidente nei riguardi dell’euro e delle sue implicazioni. Quello che sembrava uno strumento utile per assicurare stabilità e sostenere le esportazioni tedesche, viene visto ora, per colpa dei Paesi “cicale” dell’area Sud, come una pericolosa variabile impazzita. Meglio sarebbe tornare al marco, pensano molti. Quel marco che rifletteva la forza dell’economia tedesca. E poi, è notizia di pochi giorni fa, anche gli investitori internazionali stanno vendendo titoli in euro e stanno comprando titoli espressi in monete di economie emergenti come i real brasiliani e gli yuan cinesi. Filippo Ghira









   
 



 
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