Alla fine il faccia a faccia c’è stato. A sorpresa, reso noto solo alla fine. Un’ora di confronto, in un ufficio off limits di Montecitorio. Con quale risultato è presto per dirlo. Di sicuro, non è risolutivo. I due leader si sono annusati, hanno deciso di andare a vedere le carte dell’altro, per capire se è possibile trovare almeno un’intesa di massima sul nome del presidente della Repubblica. Ma, nonostante lo sfoggio di ottimismo di Enrico Letta («E’ stato un buon incontro, ma siamo all’inizio»), le posizioni restano distanti. Le premesse, per altro, non erano buone. Il Cavaliere continua a dire ai suoi di non fidarsi di Bersani e che, nel caso in cui il Pd tirasse dritto su una personalità di parte come Romano Prodi, l’unica strada sarebbe il ritorno alle urne (Berlusconi avrebbe già la data: il 7 luglio). Dal canto suo, Bersani ha appena ribadito all’assemblea del gruppo Pd che non c’è alcuno spazio per governissimi (che invece è proprio ciòche chiede il Pdl) e che sul Colle i dem non accettano «ricatti o scambi». Di incontro, «tranquillo» anche nei toni, parlano sia nel Pd sia nel Pdl, con i due leader convinti a «tentarle tutte», come dicono Enrico Letta e con parole simili Angelino Alfano, entrambi presenti alla riunione, per trovare un nome condiviso per il Quirinale. Ma le distanze restano, tanto che si è deciso di separare la partita del Quirinale da quella del governo, intreccio che solo due settimane fa aveva fatto fallire la prima trattativa tra Pd e Pdl. Ma anche in questo campo, il successore di Napolitano, occorre muoversi con cautela. E infatti, per ora, non si fanno nomi (per carità), ma si resta nella sfera del metodo: scegliere insieme il nome all’interno di una rosa di personalità dal profilo politico capace di gestire lo stallo istituzionale (insomma, non si parla del governo che verrà, ma ci si pensa). Bersani rivendica il dovere della prima proposta assicurando però che non si cercherà uno o piùnomi di parte ma bensì capaci di «unire» quante più forze politiche. L’identikit delineato sarebbe quello di un politico, con un’esperienza navigata nelle istituzioni e un equilibrio dimostrato sul campo. «Dobbiamo anche tenere in considerazione la parità di genere», avrebbe buttato là Bersani, non escludendo una candidata donna nella rosa. con il che riprendono quota Giuliano Amato, Franco Marini, Massimo D’Alema o Emma Bonino, cui l’identikit si attaglia perfettamente. Ci saranno comunque altri incontri, probabilmente a ridosso del 18 aprile, quando le Camere si riuniranno la prima volta per iniziare le votazioni. Si vedrà. Per ora siamo ancora fermi alle buone intenzioni: «In un momento di grandi divisioni, il Pd sente la forte responsabilità che sul presidente della Repubblica ci sia un segnale forte di unità nazionale», dice Enrico Letta; il Capo dello Stato, concorda Alfano, «deve rappresentare l’unità nazionale e dunque non può essere, e neanche può apparire, ostile a unaparte significativa del popolo italiano». Resta che, mentre si parlano e si guardano negli occhi, i due leader intanto elaborano ognuno il suo piano B. Di Berlusconi si è detto (elezioni subito, anche a luglio). Dal canto suo, Bersani si attrezza alla battaglia del Colle, qualora gli incontri col Pdl non sortissero effetto, e soprattutto a quella all’interno del Pd. Le due cose vanno di pari passo e certamente è una buona notizia per lui il fatto che Renzi non sarà un grande elettore: il gruppo del Pd del consiglio regionale toscano dopo dieci ore di discussione con toni anche molto aspri si è spaccato a metà: 10 hanno votato per Renzi ma 12 si sono schierati a favore di Alberto Monaci, il presidente dell’assemblea che, insieme a quello della giunta, Enrico Rossi era l’esponente "titolato" a partecipare all’elezione del nuovo presidente della Repubblica. La prassi vuole infatti che siano i due presidenti e un esponente della minoranza a formare la delegazione del consiglioregionale. Ma Renzi aveva fatto sapere di gradire un’eccezione; una sorta di opa ostile sul segretario e su un eventuale candidato al Quirinale troppo ben disposto nei confronti di Bersani. Pericolo scampato: una corposa parte del gruppo si è messa contro, ufficialmente perché non piaceva l’idea di violare un patto istituzionale condiviso da tutte le Regioni per dare una visibilità particolare a Renzi. L’aria è già avvelenata, con il governatore Rossi che si diceva favorevole a patto che «il gruppo lo votasse compattamente e che Renzi chiedesse al centrodestra di non indicare il suo nome sulla scheda» (sic). In più, il governatore aveva precisato che Monaci dovesse essere consultato prima di prendere la decisione. Magari qualcuno sperava che facesse un passo indietro, invece no: a metà pomeriggio ha fatto sapere si essere «disponibile ad andare a Roma». A quel punto i giochi erano fatti e alla conta finale Renzi è andato sotto di due voti. I renziani l’hanno presa male; Bersani,forse, tira un sospiro di sollievo.
|