Ora anche gli Usa temono la deriva islamista
 











I recenti sviluppi del conflitto siriano continuano a essere al centro dell’agenda politica internazionale. Superato il nulla di fatto nel summit del G8 di Londra di giovedì scorso - nel corso del quale i ministri degli Esteri dei Paesi più industrializzati non sono riusciti a trovare un’intesa sulla crisi in corso da circa due anni - a preoccupare la comunità internazionale occidentale, e non, è ora il pericolo di una possibile deriva islamista che sembra già prendere piede all’interno della Siria.
A riportare il problema all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale e delle grandi potenze mondiali è stato il recente giuramento di fedeltà fatto al leader di al Qaida, Ayman al Zawahiri, dal fronte al Nusra, gruppo armato estremista che combatte al fianco delle milizie ribelli del sedicente Libero esercito siriano.
“Lo scenario più probabile che abbiamo davanti, anche dopo la caduta di Assad, è quello di una situazione ancora piùfrazionata, sia a livello geografico che settario”, ha constatato nel corso della sua audizione al Congresso di ieri il numero uno dell’intelligence statunitense, James Clapper (foto), secondo il quale questo tipo di situazione potrebbe protrarsi “per un certo periodo di tempo, almeno un anno, un anno e mezzo”. Il direttore della National Intelligence Usa ha poi sottolineato come la presenza di formazioni estremiste all’interno del Paese arabo sia ormai molto diffusa, stando ai dati in possesso delle autorità nordamericane, infatti, gruppi islamico-radicali sarebbero presenti “in 13 delle 14 province siriane”. Infine, Clapper ha voluto ammonire i presenti dal sottovalutare il pericolo rappresentato da questa presenza. Secondo il capo dell’intelligence, infatti, nonostante il numero dei jihadisti sia inferiore a quello dei milizani del Les e dei soldati dell’esercito di Damasco, ciò “non è indicativo della loro reale influenza”.
Una presa di coscienza importante da parte del numerouno dei servizi segreti statunitensi, che rilancia così anche i timori israeliani espressi più volte nel corso della crisi e che non a caso hanno spinto Tel Aviv a rimanere a lungo ai margini della questione. Clapper, tuttavia, si è limitata a lanciare l’allarme riguardo a un possibile scenario futuro, omettendo, forse volontariamente, di sottolineare quanto il problema sia in realtà estremamente attuale. Sempre ieri, infatti, il quotidiano arabo al Hayat, ha rivelato l’esistenza di tribunali istituiti proprio dal fronte al Nusra, nelle aree controllate dai ribelli nel nord della Siria. Tribunali che si occuperebbero di amministrare tutti gli affari correnti della popolazione locale, come i matrimoni, le successioni e i contratti commerciali, il tutto sotto la supervisione di un gruppo di avvocati passati con la formazione islamica, nota per i suoi rapporti con al Qaida. Lo stesso quotidiano rivela poi come siano presenti sempre nelle stesse aree altri gruppi fondamentalisti, come lebrigate salafite Ahrar al Sham e le falangi del Monoteismo. Sebbene i comitati locali abbiano tentato più volte di prendere le distanze da queste formazioni, le milizie ribelli non hanno mai potuto negare di aver compiuto azioni militari congiunte con loro. “Ci troviamo di fronte ad al Qaida e non ad una rivoluzione pacifica. Sono stati messi a nudo ed è chiaro che avevano mentito. Si tratta di un programma sostenuto economicamente, militarmente e politicamente dall’occidente e da coloro i quali controllano i media”, recitava ieri un editoriale del quotidiano siriano al Watan, sul quale si leggeva infine che “a due anni di distanza dall’inizio del conflitto sta iniziando a emergere le verità e ora anche i rappresentanti di al Qaida in Iraq hanno ammesso di essere coinvolti nella guerra”.
Una lettura della situazione che rispecchia in pieno anche la posizione del governo di Damasco, che proprio in questi giorni ha chiesto alle Nazioni Unite di inserire almeno il fronte al Nusra nella“lista nera delle organizzazioni e delle personalità legate all’organizzazione terroristica al Qaida”. Le potenze occidentali intanto continuano a far finta di non vedere, consce forse delle proprie responsabilità nella vicenda, che le ha viste erogare soldi e materiale a una presunta opposizione della quale in più occasioni in passato hanno anche ammesso di non conoscere la composizione.
I leader Usa e quelli Alleati si limitano a lanciare accuse casuali e rilasciare dichiarazioni roboanti, come quella secondo la quale sarebbero in possesso di “prove solide” dell’utilizzo di armi chimiche nel Paese arabo, senza tuttavia specificare ai danni di chi.
Nuovi scontri nelle zone curde
Le milizie ribelli sono riuscite ieri a entrare per la prima volta nella città di Qamishli, situata nell’area della Siria a maggioranza curda nei pressi del confine con la Turchia, dando vita a violenti scontri con i militari dell’esercito di Damasco che presidiano la zona. Una battaglia che secondoPeshwa Bahlawi, giornalista siriano contattato dall’Ansa, potrebbe essere determinate per il futuro controllo dell’intera area, alla quale la Turchia, alleata e sostenitrice delle truppe dissidenti, aspira da tempo.Matteo Bernabei









   
 



 
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