È bastato meno di un anno al presidente egiziano Mohamed Morsi per distinguersi dal suo predecessore, Hosni Mubarak, costretto ad abbandonare la carica in seguito alle numerose proteste popolari scoppiate nel 2011. Proteste che, tuttavia, anche dopo la sua caduta, non sono mai cessate. E questo perché il vincitore di quella che avrebbe dovuto essere la prima elezione presidenziale libera dell’Egitto, si è invece dimostrato peggiore del dittatore cacciato solo un anno prima a furor di popolo. Morsi sembra aver infatti riportato il Paese nordafricano indietro di alcuni decenni, distinguendosi sì da Mubarak, ma in peggio. La Fratellanza musulmana, alla quale appartiene l’attuale capo di Stato, sta tentando di occupare ogni ramo dell’amministrazione egiziana, proprio come fatto dall’ex presidente in oltre 30 anni di governo. Un’operazione che non passa però inosservata agli occhi dei media indipendenti, che continuano a sferrare attacchi contro Morsi,il suo governo e la complessiva deriva islamica del Paese nordafricano, con tutto quello che questo comporta per la popolazione. Ed è proprio per porre fine alla diffusione di queste informazioni scomode, che i nuovi vertici de Il Cairo, fin dal loro insediamento stanno portando avanti una costante azione volta a limitare la libertà d’informazione in Egitto. In appena 200 giorni di governo sono stati 24 i giornalisti denunciati per “insulti al presidente”, contro i 14 fatti registrare nei cento anni precedenti, una pratica che ricorda molto quella utilizzata nelle monarchie sunnite del golfo persico sempre per mettere a tacere le voci dissidenti. Secondo quanto riferito dall’attivista Gamal Eid, presidente della Rete araba per l’informazione sui diritti umani, si tratta di una vera e propria “dichiarazione di guerra” contro i mezzi di informazione. Una guerra che negli ultimi nove mesi ha visto gli islamici utilizzare diverse tecniche per intimidire i giornalisti: violenza, minacce,azioni legali e il costante tentativo di distorcere la loro l’immagine rovinandone la reputazione. Va sottolineato, infatti, che molti talk show islamici attaccano gli oppositori di Morsi e le voci critiche del governo, schernendoli o accusandoli di ateismo. “Gli islamici controllano oltre il 40 per cento dei media. Se i media privati fanno un errore, gli islamici non li devono seguire, devono dare il buon esempio riformando i loro canali di proprietà o quelli statali”, ha affermato Eid commentando proprio questa pratica diffamatoria. Gravissimo, inoltre, il tentativo di intimidire materialmente i mezzi d’informazione privati compiuto lo scorso anno dai sostenitori dell’attuale esecutivo, che per ben due volte hanno posto sotto assedio la Media Production City, sede della maggior parte degli studi televisivi indipendenti. Destinato ad acuire lo scontro tra esecutivo e media indipendenti, anche il prossimo rimpasto di governo annunciato recentemente proprio dal presidente Morsiper stemperare il clima creatosi con l’opposizione. Un rimpasto che, secondo indiscrezioni diffuse dal quotidiano statale al Ahram, il quale cita a sua volte fonti governative, dovrebbe riguardare soltanto sei ministri, scelti nuovamente all’interno delle fazioni islamiche vicine alla Fratellanza musulmana. Il rimpasto dovrebbe riguardare i titolari dei dicasteri degli Affari della Giustizia, della Cultura, dell’Agricoltura, della Cooperazione internazionale, della Pianificazione e delle Questioni economiche. Morsi spera che il possibile alleggerimento del clima nel Paese, possa favorire la firma dell’accordo con il Fondo monetario internazionale per il prestito di 4,8 miliardi di dollari, il cui continuo rinvio comincia a innervosire anche gli altri numerosi finanziatori e creditori dell’Egitto. Emanuele Di Cosimo
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