L’Imu e la legge del West
 











Fortunatamente non è vero che «l’Italia in autunno andrà in bancarotta», come ha dichiarato lo scorso 23 aprile Beppe Grillo al quotidiano (tedesco!) Bild, che con le sue 5 milioni di copie è il giornale più venduto di tutta Europa. È infatti del tutto priva di fondamento l’affermazione, estratta sempre dalla medesima intervista, che «fra settembre e ottobre allo Stato finiranno i soldi, e sarà difficile pagare pensioni e stipendi». Non succederà. I primi a non dare alcun peso a queste dichiarazioni sono stati proprio gli investitori, i detentori dei titoli del nostro debito pubblico (l’ultimo dato di cui disponiamo mentre stiamo scrivendo questo articolo è un rendimento dei Btp decennali al 3,76%, non lontano dai minimi di ottobre 2010, con lo spread che si è assestato a 259).
Si sa: molte delle affermazioni di Grillo non vanno prese sul serio. Un po’ come quando Bossi diceva di avere trecentomila bergamaschi «pronti a imbracciare il fucile»per l’indipendenza della Padania. Erano stupidaggini che come tali andavano trattate, preoccupandosi più per il tipo di cultura che contribuivano a veicolare che per il merito del loro contenuto.
Detto questo la situazione dell’economia “reale” in Italia rimane di una gravità drammatica.
Ma è proprio sul merito delle proposte per fronteggiare la crisi che sono cominciate a partire le prime scintille fra le componenti dell’eterogenea maggioranza del governo appena insediatosi. A dimostrazione che non basta invitare i politici a passare «dalle parole ai fatti», come spesso si sente ripetere da un certo senso comune radical-qualunquista. I “fatti” in questione possono essere di segno molto diverso fra loro. E alcuni “fatti” possono essere così perniciosi da far rimpiangere che non si sia rimasti sulla soglia di quella “parola” che presto o tardi diventa “parola mancata”.
Berlusconi ha ribadito più volte di pretendere l’abolizione integrale dell’Imu (costo: 4 miliardi) e larestituzione dell’importo già pagato dai cittadini nel 2012 (altri 4 miliardi). Si tratta di una proposta sbagliata e demagogica, anche se si deve in gran parte ad essa la poderosa rimonta che il Cavaliere è riuscito a compiere nel corso della sua magistrale campagna elettorale.
Parliamo di quella che è di fatto l’unica imposta patrimoniale presente nel nostro ordinamento. Circa la metà delle famiglie italiane non pagano, o perché non possiede un’abitazione di proprietà oppure perché usufruisce della detrazione di base attualmente collocata a 200 euro.
È inoltre un tipo di imposta che si adatta molto bene a finanziare gli enti locali perché garantisce un gettito relativamente costante (che cioè non risente delle oscillazioni del ciclo economico) ed è fondata su una base imponibile “non mobile” (non posso spostare la mia casa nel comune limitrofo se questo mi offre un’Imu più bassa).
Della sua abolizione si avvantaggerebbero dunque i cittadini più benestanti – compresiquelli ricchissimi (la cui “prima casa” è solo, appunto, la prima di una lunghissima serie di altre case detenute) – e se ne svantaggerebbero tutti coloro che usufruiscono dei servizi finanziati con i sui proventi.
Naturalmente qui non si vuole negare che l’Imu non presenti dei difetti e che non sia fonte di grandi problemi e difficoltà anche per molte famiglie che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese. Come ha sottolineato Luigi Guiso sul Sole 24 Ore «il 10% delle famiglie italiane ha al contempo un reddito inferiore alla mediana e un valore della casa superiore al 75° percentile della distribuzione dei valori». Sono nuclei famigliari che magari hanno comprato la loro casa molti anni fa o l’hanno ereditata, ma non sono certo dotati di redditi “coerenti” con l’immobile che si trovano ad occupare.
Inoltre la casa è un bene “indivisibile”: non si può venderne un pezzettino per pagare l’Imu. Né si può svenderla all’improvviso, dall’oggi al domani, nel momento in cui la tassaentra in vigore. Dunque è evidente che l’imposta, per quanto di natura patrimoniale, va a incidere direttamente sul reddito corrente delle famiglie. Senza considerare che molti proprietari sono ancora impegnati nel pagamento delle rate del mutuo che hanno contratto per l’acquisto dell’immobile.
Ma a tutti questi inconvenienti si potrebbe ovviare introducendo opportuni correttivi tecnici: dispositivi in grado di tener conto dei reali valori di mercato degli immobili, del reddito delle famiglie, della loro situazione patrimoniale e debitoria, ecc. Non sarebbe difficile arrivare a soluzioni di buon senso che permettano di esentare da questa tassa chi ne ha veramente bisogno, non esentare i ricchi, e magari far pagare ancora di più i super-ricchi.
Non sono solo ragioni di equità che spingerebbero verso queste soluzioni (e che ci rendiamo conto possono fare poca presa su quella parte del paese che concepisce la giustizia sociale come salvaguardia del privilegio o ratifica delladiseguaglianza). Se qualche risorsa può essere rintracciata fra le maglie di un bilancio statale meno sensibile ai dogmi dell’austerità essa deve essere convogliata verso un unico obiettivo: rilanciare consumi e investimenti (la domanda aggregata) e con essi la crescita e l’occupazione. Da questo punto di vista un intervento per sterilizzare l’aumento dell’Iva che scatterà a luglio 2013 sarebbe al contempo più giusto e più efficace di una abolizione integrale dell’Imu.
Purtroppo non sempre lotta politica e buon senso vanno d’accordo. E in politica ancor più che nei western vale il luminoso ed eterno insegnamento del maestro Sergio Leone: «Quando un uomo che propone la sterilizzazione dell’Iva incontra un uomo che propone l’abolizione dell’Imu, l’uomo della sterilizzazione è un uomo (politicamente) morto». Ci prepariamo a tempi grami. In attesa che anche la sinistra trovi un suo Clint Eastwood. Emilio Carnevali









   
 



 
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