“Le perdite subite dall’Africa sotto forma di uscita di capitali illeciti rappresentano il doppio di quanto il continente riceve in aiuti internazionali”. L’atto d’accusa è stato lanciato dall’ex segretario delle Nazioni Unite, Kofi Annan, introducendo un rapporto dell’Africa Progress Panel, presentato a Johannesburg, in Sudafrica. Secondo Kofi Annan, il G8 dovrebbe inasprire le regole per impedire che le sue società attive nel settore minerario favoriscano e incoraggino la corruzione e l’evasione fiscale. Due fattori, ha detto il premio Nobel per la pace 2001, che frenano la crescita economica del continente africano. “È inaccettabile che alcune aziende, spesso sostenute da funzionari disonesti, pratichino una evasione fiscale contraria a qualsiasi etica e si servano dei costi di trasferimento e delle società anonime per massimizzare i loro profitti, a danno di milioni di africani, privati dell’accesso a diritti fondamentali come il cibo, lasalute e l’istruzione” si legge nel rapporto, ripreso dal Financial Times. Pertanto, l’Africa Progress Panel, un gruppo di monitoraggio fondato nel 2006 da Tony Blair e presieduto da Annan, chiede alle aziende registrate nei Paesi del G8 di “pubblicare una lista completa delle loro filiali e anche tutte le informazioni concernenti le loro entrate su scala internazionale, i profitti e le imposte pagate nelle differenti giurisdizioni”. Inoltre, i dieci membri dell’organismo, cui fanno parte anche l’ex presidente della Nigeria, Olusegun Obasanjo, l’ex direttore generale dell’Fmi, Michel Camdessus e il cantante Bob Geldof, chiedono alla comunità internazionale, e al prossimo G8 di giugno in Irlanda del Nord, di vigilare per evitare che gli investitori utilizzino “le società offshore” e i paradisi fiscali che “minano gli sforzi dei riformatori africani” e “facilitino l’evasione fiscale e la corruzione privando l’Africa di entrate che dovrebbero essere utilizzate per lottare contro lapovertà”. Tra i Paesi che hanno regole troppo “accomodanti” in materia di finanza ci sono nei primi posti: Svizzera, Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone. Nel suo rapporto, Kofi Annan cita il caso dell’Eurasian Natural Resources Corporation (Enrc) il colosso minerario nato nel 1994 in Kazakhstan e quotato a Londra. L’ex segretario delle Nazioni Unite lo accusa di “trading opaco” su alcune concessioni nella Repubblica Democratica del Congo, costate al Paese africano circa 725 milioni di dollari. Secondo quanto riporta il Financial Times, il Congo è in perdita per 1,36 miliardi di dollari tra il 2010 e il 2012, in seguito a presunte sottovalutazioni di obbligazioni statali congolesi in cinque accordi minerari, tre dei quali siglati con Enrc. Il colosso minerario, precisa il giornale londinese, ha acquistato concessioni minerarie in Congo tramite Dan Gertler, un uomo di affari israeliano e commerciante di diamanti, che ha parlato di “accordi puliti”. L’Enrc è accusata difrode e di tangenti oltre in Africa, anche in Kazakhstan e in Gran Bretagna. Ma non è l’unica. Secondo l’ong britannica Oxfam, solo nel 2010, l’Africa ha esportato per 333 miliardi di dollari di petrolio, gas e minerali, ma oltre 200 miliardi di dollari sono andati persi a causa di traffici finanziari illegali. Secondo un’inchiesta pubblicata nel 2011 da Swiss Trading SA, la multinazionale Glencore ha privato lo Zambia di immense entrate fiscali praticando rifatturazioni interne, non dichiarazioni doganali, rinvii di perdite e coperture di rischi. Sono tante le multinazionali straniere che sono coinvolte in giri d’affari loschi nel continente africano. Sono ancora di più i Paesi che le “proteggono” e che sono loro complici. Nel 2010, la Global Witness, un’organizzazione non governativa, ha accusato il governo di Londra di non aver denunciato alle Nazioni Unite le società britanniche responsabili di contribuire al traffico illegale di minerali che alimenta da anni la guerra civilenel Congo. L’Onu infatti prevede severe sanzioni per chiunque sostenga attraverso il commercio illegale di risorse minerarie i gruppi armati congolesi, quali le Forze democratiche del Congo e l’Esercito di resistenza del Signore. Nel suo dossier, dal titolo “Di fronte a un fucile, cosa si può fare?”, l’ong accusava nello specifico la britannica Amalgamated Metal Corporation e la tailandese Thaisarco, colossi del commercio minerario, di “rifornirsi da mediatori locali che a loro volta finanziano gruppi armati che controllano ampie porzioni nell’est del Paese”. Secondo la Global Witness, “il fatto che i governanti locali non esigano che le aziende operanti sul posto presentino regolarmente i conti delle loro attività, che il Ruanda e il Burundi non controllino i trasporti alle loro frontiere e che i diplomatici non si occupino direttamente di accordi e operazioni minerarie, sono tutti elementi che favoriscono il perpetuarsi di un conflitto che negli ultimi 12 anni ha già causatola morte di migliaia, se non milioni di persone”. Francesca Dessì
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