La lenta agonia del Porto di Napoli
La Campania dei veleni
 











La lenta agonia del Porto di Napoli
Passeggiando all’interno del Porto di Napoli, non possiamo non notare interi moli lasciati al loro triste destino, tesori architettonici che vivono nel più completo abbandono, piazzali trasformati in grandi parcheggi, per lo più abusivi.
Per quelle aziende che vi operano con discreti risultati, nonostante la crisi economica, esistono mille difficoltà nel cercare un po’ di spazio in più per poter sviluppare le loro attività.
Le contraddizioni del Porto di Napoli sono figlie di politiche miopi che invece di puntare allo sviluppo, per tanti anni hanno mirato esclusivamente alle clientele, e tante volte si è pensato esclusivamente ad ottenere una concessione utile solo per sottrarre spazio ad eventuali concorrenti.
In questo triste panorama, era davvero scontato l’abbandono delle navi della Linea Messina, ora accolte a braccia aperte in quello di Salerno.
Per qualcuno tale addio suona come un vero eproprio schiaffo, ma di fronte ai costi troppo alti ed alla qualità davvero scarsa di servizi offerti, con spazi angusti ed attracchi rallentati, che altro ci si poteva aspettare?
Le navi della Messina scaricavano 35mila contenitori all’anno, mentre gli attracchi erano una quindicina al mese, in media 180 l’anno.
Per il porto di Salerno è una grande occasione per rafforzare il trend di crescita che ha caratterizzato le performance anche in questi anni di crisi.
A favore della scelta di Salerno hanno inciso i costi più contenuti. La sosta nello scalo partenopeo è più salata per mancanza di spazio all’interno del terminal contenitori che si trascina dietro la necessità di liberare le banchine nel più breve tempo possibile.
Tutto dovrebbe essere programmato nei terminal al fine che il deposito dei contenitori nei piazzali sia il più breve possibile.
Infatti se non si rispettano i tempi previsti, scattano penali che vanno oltre i normali costi da pagare alterminalista.
Per quanto riguarda la questione dei controlli, capita spesso che un container sia esaminato, in tempi diversi, da dogana, guardia di finanza, forze di polizia ed ispettori sanitari con il risultato di poter rimanere bloccato per giorni.
Il porto di Napoli rimane preda del disordine, di una vera e propria aggressione da parte di chi lo utilizza solo come parcheggio a raso sotto gli occhi impotenti delle istituzioni.
Un triste epilogo per una struttura che ospita ben nove milioni di passeggeri in transito ed è considerata una delle maggiori a livello europeo, ma dove mancano assistenza ed accoglienza.
Basta vedere cosa sono costretti a subire i croceristi in arrivo, tra inseguimenti di tassisti ovviamente abusivi e truffatori in agguato dietro ogni transenna. La cosa più triste, però, è che di fronte a tale scempio, si continuino a produrre solo chiacchiere. Giuseppe Parente
La Campania dei veleni
A Polvica, in provincia di Napoli, eprecisamente nella località denominata Difesa, sorge una cava tristemente nota per essere stata ricettacolo di sversamenti chimici di ogni sorta. La cava è l’esempio lampante del fatto che non sia vero il fatto che in Campania non sappiamo differenziare il rifiuto; la camorra, che in questo è ben più avanti dei nostri squallidi amministratori, lo fa dal 1980, data in cui iniziarono gli sversamenti a Cava Difesa, secondo anche quanto emerso dalle indagini giudiziarie.
Un sito in cui per 20 anni si sono sversati esclusivamente rifiuti tossici industriali ed in particolare i solventi; ci verrebbe quasi da dire in ossequio ad un rigido quanto macabro piano di differenziazione. La cosa più imbarazzante è che su Cava Difesa esiste una sentenza definitiva della magistratura del 2008 che ha acclarato la presenza di 500mila metri cubi di solventi chimici, residui di fonderia, metalli pesanti e numerosi bidoni, che non si è riuscito nemmeno a capire cosa contengano di preciso, sul suo fondo.Il problema è che l’avidità dei “soliti ignoti” li ha portati a scavare così in profondità da mettere in contatto il fondo della cava con la falda acquifera (leggi efficienza delle ecomafie contro incuria dello Stato). Prova ne è un laghetto, dall’aspetto innocuo, che compare ogni anno verso maggio per poi sparire verso settembre-ottobre. Le indagini della magistratura hanno appurato che purtroppo non si tratta di un lago d’acqua piovana. Infatti la sua superficie, è in costante movimento poiché in collegamento con la falda sotterranea. Inoltre, la stessa acqua di falda, intrisa di sostanze tossiche, è usata dai contadini per irrigare i campi a valle. Il comune di Roccarainola si era offerto di bonificare il sito già nel 2006 ma ad oggi non è stata intrapresa alcuna azione di risanamento.
L’associazione di volontari “Rifiutarsi” presente su facebook e in rete (www.rifiutarsi.it), attivissima nel territorio Nolano, ha denunciato più volte pressole istituzioni e a questo giornale, la situazione incresciosa della cava e del suo anomalo laghetto tossico, senza ricevere alcuna risposta e, come se non bastasse, ci fanno notare ancora gli attivisti di “Rifiutarsi”, tre settimane fa un incendio in un capannone industriale ha provocato la dispersione di tonnellate di polveri tossiche e residui chimici nell’atmosfera a meno di cento metri dalla tristemente nota cava di cui sopra.
I sindaci dei comuni interessati, interpellati sulla pericolosità della situazione, furbescamente sviarono ogni domanda mentre la gente continua a mangiare indisturbata i numerosi prodotti agricoli coltivati nella zona, senza che nessuno la ragguagli sui gravi rischi per la salute di una tale contaminazione incrociata.
Intanto, mentre l’urna dei tumori continua a tenere con il fiato sospeso la gente in attesa della prossima estrazione vincente, la sentenza del 2008 e l’auspicata bonifica della cava giacciono moriture in chi sa quale cassetto da svariatianni. Antonio Casolaro
 









   
 



 
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