Porto Torres: lotta comune contro i VelEni del capitalismo
 











Nell’ambito delle indagini nei confronti di Eni e consociate per l’inquinamento della darsena e delle relative mancate bonifiche nell’area di Porto Torres. Domani si terrà infatti un sit-in per richiedere le bonifiche a fronte di una realtà fatta di numeri che parlano da soli. Ecco quelli diffusi dalla Syndial (società collegata Eni e perciò non accusabile di produrre dati a suo sfavore...): arsenico 50 volte il limite, mercurio 10, benzene 139.000, etilbenzene 100, stirene 28, toluene 4.900, para-meta-xilene 3.500, o-xilene 960, isopropilbenzene (cumene) 458, cloroformio 30, cloruro di vinile monomero 542.000, dicloroetano 28.000.000, dicloroetilene 9.980, tricloroetilene 720, tetracloroetilene 100, tricloroetano 1.690. Nient’altro da aggiungere. Quel che segue è una riflessione e un invito alla stessa su come tutelare diritti sanciti in una costituzione stracitata (diritto al lavoro, alla sicurezza sul posto di lavoro, alla salute dei citttadini)e su come conquistarli sul serio in una prospettiva anticapitalista.
Classe e ambiente
La classe operaia, falcidiata dalla desertificazione industriale, è invitata al sit-in. A lei è chiesto di reclamare insieme le bonifiche. A lei che è «una storia di lotte oltre che produttiva». Come si legge in una recente nota del comitato “No chimica verde – No inceneritore”: «Migliaia e migliaia di operai, tecnici e impiegati si sono succeduti e attivati in questo sito. Miliardi di ore di lavoro si sono consumate nella polvere, nel sudore, al caldo al freddo, nel buonumore e nella rabbia e sempre nella fatica e fra i miasmi. Spesso nell’umiliazione e sovente nella malattia. E i licenziamenti a nastro. Ai lavoratori non è stato dato niente gratis e i veleni non li hanno né voluti né disseminati loro». È un passaggio importante che potrebbe superare un certo ecologismo – a volte anche qui manifestatosi – volto a denunciare una complicità operaia fondata sul non aver applicato una sorta diobiezione di coscienza nel processo produttivo. Un ecologismo pure paradossale: facendo derivare da tale “complicità” un ruolo conservativo e individuando nei meri cittadini i soggetti della trasformazione, non ci si rende conto che è sul versante consumeristico che maggiormente si legittimano certe produzioni. Quante vite congolesi costano i nostri telefonini, ad esempio?
Occorre perciò mettere un po’ d’ordine collocando l’agire delle diverse classi sociali nel rapporto con l’ambiente. Le scelte tecnologiche e ambientali dominanti che modellano la nostra vita quotidiana non sono determinate in modo democratico, ma imposte da una piccola minoranza che detiene il potere e la proprietà dei grandi mezzi di produzione. Perciò se si vuole invertire la rotta non si può prescindere da chi (producendo la ricchezza) può decidere che di questa minoranza se ne può fare tranquillamente a meno. A patto che non si scambi la fiducia nella classe e il riconoscimento del ruolo storico di essa daparte di chi scrive (e di chi condivide quanto si scrive) con la sua idealizzazione, e a patto che non si scarichino su di essa le responsabilità delle direzioni politiche e sindacali.
Prospettive di una lotta comune
«I lavoratori hanno un’ottima conoscenza dei problemi dell’inquinamento, perché li vivono quotidianamente; ma è necessario che la partecipino a quegli studiosi che intendono informare la popolazione sugli aspetti più gravi della crisi ambientale. Questa alleanza tra scienza e classe operaia rappresenta il primo stadio di un’azione diretta a risolvere la duplice crisi che sta degradando l’ambiente in cui viviamo e quello in cui lavoriamo. Un primo passo, forse, verso la sopravvivenza!». Così scriveva Virginio Bettini nel 1976 nel libro a più mani “Ecologia e lotte sociali”. Ma se è vero che solo questa alleanza può rappresentare quel “primo passo” non si possono ignorare proprio quegli aspetti relativi alla direzione poco sopra citati. Decenni di sconfitte subite acausa di mediazioni al ribasso da parte delle burocrazie sindacali e arretramenti compatibilisti delle forze della sinistra politica hanno inciso profondamente facendo vivere dentro la classe quel perenne ricatto a spese della salute (in primis la loro) senza peraltro avere la certezza del lavoro. Quanto accade nella vertenza E.On tra sindacati che cercano nuovi acquirenti e difesa dell’occupazione legata alla costruzione di un nuovo gruppo di produzione a carbone ne è un esempio.
Ricattati quindi, traditi, e a volte (pure troppe) incriminati di quella complicità al disastro ambientale che non ha aiutato di certo. Perciò una possibile assenza “della classe” al sit-in non deve suonare come una conferma di chissà cosa. Domani non scade nessun ultimatum. Ma già da domani è opportuno che si raccolgano le riflessioni su come unire questi due mondi così artificialmente separati. L’esproprio pubblico del polo chimico di Porto Torres, senza indennizzo per chi, per giunta, ha avvelenato e sirifiuta di fare bonifiche, è l’unico modo per mantenere le produzioni attuali (riassorbendo i lavoratori espulsi), rilanciare le stesse e riconvertirle sotto il più armonico controllo sociale. Queste proposte non sono mai state fatte nel tempo da quelle forze maggiormente riconosciute all’indomani della Bolognina. Di conseguenza mai si è concepito un lavoro politico all’interno dei sindacati, considerando inoltre “perdita di tempo” quell’attività politica ai cancelli. Questo dovrebbe fare la sinistra. E i comitati piuttosto che invitare gli operai a «divincolarsi dall’abbraccio appestante del cadavere dell’Eni» dovrebbero dare il loro contributo a farli divincolare dalle burocrazie del movimento operaio nella prospettiva di un’offensiva classista.
L’“Assemblea dei lavoratori sardi” che si terrà proprio a Porto Torres sabato 8 giugno (con i protagonisti delle diverse vertenze industriali e non solo) a questo può servire. A meno che non si voglia continuare a mantenere una divisione.A meno che non si voglia fare a meno del tutto dell’industria. Ma questo è un altro discorso... Mauro Piredda









   
 



 
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