La Libia “liberata” è una polveriera pronta ad esplodere. Lo hanno denunciato i Paesi della regione del Sahel, in primis il Niger dopo il doppio attentato della scorsa settimana. A sedare le polemiche, è intervento ieri il presidente della Francia, François Hollande, che ha invitato il governo di Niamey a collaborare per “un’azione comune” contro il terrorismo. Hollande, durante un’intervista a France24, Rfi e Tv5Monde, ha comunque escluso l’eventualità di un nuovo intervento militare francese in Libia. “Ci sono regole per tutti gli interventi francesi. Noi interveniamo nella legittimità che ci conferiscono le risoluzioni dell’Onu e in nessun altro quadro”, ha affermato il capo dell’Eliseo, aggiungendo: “Finora non siamo stati chiamati dalle autorità libiche”. Dinamiche che trovano riscontro nella realtà: finora la Francia si fa beffa delle risoluzioni ad hoc, non aspetta la telefonata di nessuno ma interviene solo quando ha degli interessi inballo, vedi Costa d’Avorio e la stessa Libia. “Dunque” ha continuato Hollande, commentando le notizie di stampa che parlano da qualche giorno di un possibile intervento francese, “voglio tagliare corto con questa che non è una notizia”. Secondo il presidente transalpino, bisogna “sostenere gli sforzi delle autorità libiche affinché possiamo lottare contro i terroristi”, ammettendo allo stesso tempo che gli attentatori che hanno commesso il doppio attacco in Niger provengono dal sud della Libia. “È la cosa più probabile. Quindi noi, con le autorità libiche e soltanto con loro, dobbiamo vedere quale cooperazione avviare per mettere in condizioni di non nuocere questi gruppi terroristici”. Hollande ha poi parlato della situazione in Mali affermando che “non c’e più una sola parte del Paese che può essere posto sotto al giogo dei terroristi”. “L’operazione è riuscita militarmente”, ha aggiunto il capo dell’Eliseo, spiegando tuttavia che la minaccia terroristica nel Sahel “non è finita”:“Spetta agli africani sradicare i terroristi, ma la Francia sarà al loro fianco”. La situazione in Mali e in Libia preoccupa l’intera comunità africana. Ieri il presidente del Ghana, John Dramani Mahama, in un’intervista alla Bbc, ha affermato che la crisi maliana e libica dimostrano che la regione del Sahel è diventata “un punto di appoggio che richiama i miliziani”. Nonostante l’intervento francese, ha aggiunto Mahama, la crisi non è ancora finita: “C’è il rischio di attacchi asimmetrici come quelli che abbiamo visto nei giorni scorsi in Niger, e questa è una questione che preoccupa tutti nella regione”. In particolare, i toni si sono alzati dopo le dichiarazioni del presidente del Niger, Mahamadou Issoufou, secondo cui “i terroristi responsabili degli attentati (23 maggio, ndr) provengono dal sud della Libia”. Issoufou ha accusato Tripoli “di destabilizzare i Paesi del Sahel”. Il governo libico ha replicato che il “il gruppo di assalitori responsabile degli attacchi inNiger non veniva di sicuro dalla Libia”, ma “questi elementi arrivano dal Mali”, dove ci sono “ufficiali del vecchio regime di Gheddafi che sono attivi nella regione”. Secondo Frej Najem, direttore del Centro di Studi africani a Tripoli, le accuse del presidente nigerino “sono prive di fondamento”. “Il sud-ovest della Libia è controllato dai Toubou” che non hanno alcuna relazione con i movimenti islamici, ha detto a Jeune Afrique Najem. I Toubou, dalla pelle scura, che vivono in una zona a cavallo tra la Libia, il nord del Ciad e il Niger, controllano, insieme a diverse milizie di ex-ribelli, gran parte della zona di frontiera del sud, desertica o terra di nessuno, dove è florido il contrabbando, il traffico di armi e l’immigrazione clandestina. Il direttore del Centro Studi di Tripoli ha riconosciuto la debolezza dello Stato libico che “esiste solo di nome e non ha alcuna influenza nelle dinamiche libiche e quindi il controllo delle frontiera gli sfugge”. “Sono i thowars chedetengono il potere reale” ha aggiunto. Intanto, l’Areva ha confermato l’intenzione di rimanere in Niger dopo l’attentato che ha colpito la miniera di uranio Somair a Arlit gestita dalla multinazionale nel nord del Paese. “Se ho qualcosa da dire dopo questo attacco scandaloso, è che resteremo in Niger”, ha affermato l’amministratore delegato dell’Areva, Luc Oursel, durante una conferenza stampa a Madrid. Oursel ha espresso solidarietà ai feriti e reso omaggio al “collega che ha perso la vita a Somair” ma ha ribadito che la multinazionale non ha alcuna intenzione di lasciare il Paese e di cedere alle pressioni dei terroristi. Presente in Niger da oltre quarant’anni e attiva nelle miniere di Arlit e Akokan, l’Areva si è aggiudicata lo sfruttamento della miniera di Imouraren, la più importante miniera a cielo aperto in Africa Occidentale e seconda al mondo. Francesca Dessì
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