Enrico Letta ed i suoi ministri si sono messi in testa di modificare la Costituzione senza conoscerne il testo. Un pressapochismo in grado di favorire le difficoltà che contraddistingueranno il cammino dei disegni di legge di riforma della seconda parte della legge fondamentale. Ieri, forse in preda al troppo entusiasmo, il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini, si è lasciato andare ad una dichiarazione imprudente. “Il disegno di legge – ha spiegato l’ex segretario del Pd – sarà trasmesso al Senato dove il governo chiederà la procedura di urgenza per dare certezza e ridurre i tempi di discussione e approvazione del provvedimento. Il Parlamento aveva dato mandato otto giorni fa al governo di tradurre in un ddl il contenuto della mozione entro il 30 giugno. Il governo lo approva con molto anticipo sui tempi fissati”. L’avvocato di Ferrara potrebbe essere facilmente smentito attraverso la lettura dell’ultimo comma dell’articolo72 della Costituzione. “La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelli di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi”, questo il contenuto della norma approvata dai costituenti. Non si capisce quindi come si possa pensare di individuare scorciatoie rispetto al normale procedimento di revisione costituzionale. Le tesi stravaganti sull’urgenza si uniscono a quelle sul referendum consultivo da convocare prima della modifica definitiva delle prerogative di Parlamento e Palazzo Chigi. “Abbiamo costeggiato l’articolo 138 della Costituzione, rafforzandolo: il referendum o i referendum potranno essere richiesti anche se il voto sulla riforma sarà dei due terzi delle Camere”, ha rimarcato il ministro delle Riforme, Gaetano Quagliariello, a margine della riunione del Consiglio dei Ministri.Anche in questo caso è interessante comparare le dichiarazioni del docente universitario eletto nelle liste del Pdl con il secondo, il terzo e il quarto comma dell’articolo 138 della legge fondamentale. Unica norma deputata ad individuare la disciplina delle modifiche costituzionali. “Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti”, questo il contenuto dei commi citati. Per evitare di procedere in questo modo, sarebbe necessario approvare un disegno di legge di riforma costituzionale prima di avviare il procedimento patrocinato dal governo delle “larghe intese”. Ilreferendum, inoltre, è regolato da una legge del 1970, articolato con cui si amministra l’intero istituto. Anche in questo caso, sarebbe necessario un aggiornamento delle norme. Sempre che Palazzo Chigi non decida di convocare un referendum dribblando, ad esempio, le competenze della Corte Costituzionale sulla materia. Sullo spinoso tema delle riforme sono arrivate ulteriori precisazioni da parte del Dipartimento per le Riforme costituzionali, organismo inedito arrivato con il governo di Letta. “Il cosiddetto Comitato dei 40 esisterà quando il ddl sarà approvato, ecco perché questi mesi saranno occupati da una relazioni di esperti. Ciò vuol dire che non ci saranno né sovrapposizione, né perdita di tempo, ma una specie di staffetta”, questo il chiarimento fornito da Gaetano Quagliariello, durante la conferenza stampa in cui ha illustrato il ddl costituzionale approvato dal Cdm nella sua ultima seduta. “Il Parlamento com’è ovvio avrà piena sovranità - ha aggiunto - e il campo sgombroda altri organismi”. Le lungaggini – se ci possiamo permettere l’utilizzo di questo termine – sono dietro l’angolo. Si ha la pretesa di complicare una procedura chiara e lineare. Stupisce l’assenza di dure prese di posizione, perlomeno dai banchi delle opposizioni. Di Pietro e l’Italia dei Valiori hanno avuto il coraggio di denunciare l’esautoramento delle Camere, un tema su cui ritorneranno – non c’è spazio per dubbi – i costituzionalisti avversi alla formula del semi-presidenzialismo o del premierato all’italiana. Matteo Mascia
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