Spiritualità senza retorica fra ritmi di tutto il mondo
 







di Gianfranco Capitta




Non era un successo scontato, anche se oramai i grandi «festival contenitore» a tema si riempiono sempre di folle interessate a qualsiasi branca del pensiero (facendo sorgere qualche dubbio, ovviamente). Ma, nato in grande discrezione, il festival Divinamente Roma dedicato alla spiritualità (simile nell’argomento a quello lanciato da qualche tempo a Torino da Gabriele Vacis) è diventato in questa settimana uno degli appuntamenti di massa della città. Nonostante il tema potesse far pensare all’ennesima invasione/intrusione capitanata da Ruini e confratelli, la manifestazione curata da Pamela Villoresi (con un ventaglio ampio di sostenitori, dal ministero all’Eti, dal comune all’Arcus), ha usato l’opportunità dei teatri solitamente chiusi in questo periodo, con l’occasione in più di poter accedere ad alcune location di solito poco visibili o frequentabili, dagli Horti Sallustiani alla Sala Accademica del Conservatorio di Santa Cecilia, al vecchio ecaro teatro Goldoni all’interno di Palazzo Altemps (anche se il numero degli spettatori ha poi fatto trasferire da qui al Valle la Passione di Mario Luzi interpretata dalla stessa Villoresi). E anche gli artisti sono stati molto eterogenei, da Luis Bacalov a Antonella Ruggiero, fino ai bambini della comunità ebraica romana che festeggiavano Purim.
Soprattutto è stata una grande occasione, senza discorsi e retorica, di confronto diretto tra linguaggi artistici provenienti da religioni, culture, paesi diversi e lontani. In questo senso l’appuntamento più «esplicito» e fascinoso è stato quello con Jordi Savall, il mago dell’archetto che ha guidato per l’occasione voci, suoni strumenti e movimenti, dentro un percorso unitario e senza fratture, che portava da una riva all’altra del Mediterraneo, mentre ogni nota prendeva letteralmente corpo nella grazia indiana di Shantala Shivalingappa. La danzatrice di Madras (che molti ricorderanno come Miranda nella Tempesta di Peter Brook, o per lemolte presenze negli spettacoli del Tanztheater di Pina Bausch) traduceva nella sua danza Kuchipudi la grande sinfonia che i musicisti costruivano. Con il suono dei loro strumenti provenienti da lontano, e con la voce che si inalberava fondendo la preghiera con il pensiero amoroso. Tradizioni iberiche ed ebraiche, nordafricane, arabe e asiatiche si fondevano in questo davvero programmatico Peregrinaje de las Almas, senza forzature e fratture, sui passi impagabili e fantasiosi della danzatrice, e con un grande coinvolgimento degli interpreti con il pubblico. E considerando la retorica papale di questa settimana santa, scoprivano una possibilità ben più umana di misurarsi con temi e emozioni importanti.
Oggi DivinaMente Roma dà ancora un appuntamento raro: quello con il Sacred Concert di Duke Ellington eseguito dalla Jazz Studio Orchestra diretta da Paolo Lepore (alle 16 alla basilica di San Marco in Piazza Venezia, gratuito come tutto gli altri appuntamenti della manifestazione). Edomani, a conclusione, quella che risulterà una iniziativa di grande valore civile, oltre che artistico, benché fosse stata programmata con grande anticipo rispetto ai dolorosi fatti di questi giorni in Tibet. Yungchen Lamo (che nella sua lingua vuol dire proprio «dea della canzone») canterà la sua Tibetan Prayer, che risuonerà particolarmente tragica e attuale. L’artista, molto vicina al Dalai Lama con cui condivide l’esilio in India, è stata resa nota nel mondo da Peter Gabriel, ed è considerata universalmente l’ambasciatrice del dramma del Tibet, perché i suoi canti raccontano e sostengono la speranza di libertà del suo popolo, oggi di tragica attualità. Alla casa del cinema a Villa Borghese alle 11 della mattina.de Il Manifesto









   
 



 
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