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J. P. Morgan contro il “socialismo” dell’Europa |
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Sono trascorsi alcuni giorni da quando una notizia è apparsa nei mezzi di comunicazione. Ci riferiamo al report emesso da J.P. Morgan sulle costituzioni europee.Per la verità, il documento della banca d’affari americana è datato 28 maggio, ma solo alcune settimane dopo è stato oggetto di approfondimenti e commenti. Proprio su questi ultimi riteniamo doverose alcune puntualizzazioni. Ma procediamo conordine. Il 28 maggio scorso J.P. Morgan – uno dei centri di potere finanziario mondiale ritenuto responsabile della crisi che nel 2007-2008 prese avvio dai mutui subprime – produce un documento intitolato "The Euro Area Adjustment: About Halfway There" nel quale, in sintesi, afferma che nei paesi dell’Europa del Sud, fra i quali l’Italia, i sistemi politici e lecostituzioni adottate dopo la caduta del fascismo al termine della Seconda guerra mondiale sono inadatte a favorire l’integrazione dell’area euro. Il concetto di fondo contenuto nel report è che le idee socialiste hanno influenzato le costituzioni adottate del secondo dopoguerra e che ora rappresentino un ostacolo sulla via della stabilità politico-istituzionale, premessa alla crescita economica. Per J.P. Morgan, infatti, la persistente crisi che in un primo momento presentava cause riconducibili al mondo economico, avrebbe poi assunto connotati di natura politica. Ed ecco, allora, che ad entrare nel suo mirino siano state – neanche a dirlo – le protezioni fornite dalle costituzioni al diritto dellavoro. I commenti, sia contrari sia favorevoli alla tesi del report, ai quali abbiamo fatto cenno, apparsi tanto sulla carta stampata quanto in rete, sono stati contraddistinti da un comune vizio di origine non rilevato (o non voluto rilevare) da alcun pretesoanalista. Si è assistito, cioè, ad un disinvolto sillogismo, abilmente veicolato, in base al quale, attraverso un gioco di specchi deformanti, l’affarismo spregiudicato in stile J.P. Morgan o Lehman Brothers e l’insofferenza per le protezioni sociali sarebbero sovrapponibili al fascismo degli anni Venti, Trenta e Quaranta del Novecento in quanto entrambi – speculazione finanziaria efascismo – dialetticamente all’antitesi rispetto al socialismo delle idee e a quello trasposto nelle costituzioni. Niente di più storicamente e giuridicamente infondato. Sarebbe fin troppo semplice sostenere quanto i regimi europei ispirati all’ideologia fascista, pur nelle diverse realizzazioni spazio-temporali, presentassero nei loro fondamenti teorici e nei loro programmi politici evidenti richiami al socialismo nazionale e quanto, di contro, le logiche plutocratiche ed il capitalismo finanziario senza frontiere fosseroavversati. Nel caso specifico dell’Italia – paese che nel documento di J.P. Morgan sembra più di altri soddisfare le condizioni di stato del Sud Europa, appartenente all’eurozona, con passato fascista e con insopportabile costituzione socialdemocratica – un altro dato ci permette di confutare il pressappochismo di oltre Atlantico e la malafede evidentemente interessata di molti pseudo commentatori ben felici di menare fendenti al contempo contro speculazione e dittatura per rinverdire benemerenze antifasciste semprevantaggiose. La nostra Costituzione nella Parte I, Titolo III – Rapporti economici (articoli 35-47) presenta evidenti ed imbarazzanti richiami all’esperienza storica del fascismo e, nella fattispecie, a quel fascismo di sinistra che ebbe il suo momento storico di massimo fulgore durante la tragica esperienza della Repubblica Sociale Italiana, ma che già in pieno fascismo-regime, soprattutto ad opera di un coraggioso sindacalismo antagonista ed anti- corporativo, seppe promuoverestraordinarie realizzazioni giuridiche a favore della famiglia, del lavoro, della previdenza, dell’assistenza, del risparmio, della produzione. Di quegli ambiti sociali di intervento pubblico, cioè, che i poteri dei quali J.P. Morgan è espressione e proiezione tendono a smantellare con pervicacia ideologica. La lettura anche approssimativa dei trenta articoli della Carta del Lavoro del 1927 fugherebbe dubbi e perplessità agli scettici circa la (diretta) derivazione delle norme"economiche" della vigente Carta costituzionale da quelle ispirate dal Legislatore di uno Stato rivoluzionario e totalitario. Legislazione fascista e finanza creativa – comunque la si pensi – non possono e non devono essere assimilate, tanto meno confuse da una strumentale e fuorviante comune matrice antisocialista. Sulle verità storiche non si deve transigere. Stefano De Rosa
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