Per ben due volte le simulazioni al computer sul più grande disastro petrolifero nella storia degli Stati Uniti non avevano dato i risultati sperati, e così alla Halliburton decisero di farli sparire. Lo ha ammesso la stessa società, riconoscendo di aver distrutto alcune prove dell’incidente sulla piattaforma Deepwater Horizon nel golfo del Messico, avvenuto nell’aprile del 2010 e definito il più grave disastro ambientale nella storia degli Stati Uniti. Lo ha fatto sapere ieri il dipartimento di Giustizia Usa, annunciando che la società pagherà una multa di 200mila dollari, il massimo previsto dalla legge. Inoltre garantirà la sua collaborazione alle autorità statunitensi per il proseguimento dell’inchiesta penale sull’esplosione, che provocò la morte di 11 persone. Nel tentativo di ripulirsi la coscienza, la società ha anche fatto una donazione volontaria di 55 milioni di dollari alla National fish and wildlife foundation, un associazione che sioccupa della tutela dei mari. In realtà l’ammissione della Halliburton è la conclusione di uno scaricabarile che va avanti da tempo tra la società di servizi petroliferi texana e la compagnia britannica British Petroleum, proprietaria del 65% del pozzo petrolifero in questione. Le indagini del governo statunitense, infatti, hanno stabilito che l’incidente al pozzo Macondo è stato causato dal collasso della struttura di cemento che rivestiva il pozzo. In seguito all’incidente, la Bp, proprietaria del pozzo, e la Halliburton, che aveva contribuito alla costruzione insieme ad altre società, cominciarono ad accusarsi a vicenda per il crollo della struttura. A cavallo tra il 2011 e il 2012 la Bp – alle prese con i costi miliardari delle spese di pulizia dell’enorme marea nera – chiese alla Halliburton un risarcimento da 20 miliardi di dollari. In particolare, già a dicembre 2011, i britannici accusavano i texani di aver distrutto prove legate ai test condotti sul cemento usatodalla stessa Halliburton per costruire il pozzo all’origine del disastro. Nel tentativo di contrastare le accuse, all’inizio di maggio l’azienda texana ha avviato un’indagine interna per stabilire se il numero di “centralizzatori” – dei collari metallici che aiutano a mantenere il tubo ben centrato – avesse giocato un ruolo nell’esplosione della piattaforma. La Halliburton, infatti, aveva raccomandato alla Bp di installarne 21, ma l’azienda britannica aveva scelto di usarne solo sei. Tuttavia le simulazioni in 3d al computer sono giunte alla conclusione che i centralizzatori non sono stati la causa del disastro. A quel punto i dirigenti della Halliburton hanno preferito far finta di niente, e hanno ordinato ai tecnici di distruggere i test, continuando ad accusare la Bp di aver ignorato le sue raccomandazioni. Ora è probabile che la Bp tornerà alla carica cercando di rifarsi sulla Halliburton per rientrare almeno in parte dei costi dei risarcimenti per il danno economico eambientale. In sede penale, il 30 gennaio del 2013 il tribunale ha accolto il patteggiamento da 4 miliardi di dollari proposto da Bp come risarcimento dei danni provocati dall’incidente. In seguito al disastro la Bp ha anche predisposto un piano di risarcimenti ai locali stimandone i costi in 7,8 miliardi di dollari. Tuttavia finora è stato raggiunto un accordo soltanto in meno di un caso su quattro e continuano ad arrivare nuovi reclami, a un ritmo di circa 10 mila al mese. Per questo di recente la compagnia britannica si è rivolta alla corte di New Orleans sperando di riuscire a rivedere i termini degli accordi stipulati a livello locale. Alla Bp sostengono di essere stati costretti a pagare centinaia di milioni di dollari per danni inesistenti.f.c.
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