Se questo è un bio(carburante)
 











Accusati di danneggiare l’ambiente e persino di aggravare la fame nel mondo: per il paradosso dei biocarburanti si avvicina la resa dei conti. Una possibile soluzione è presente in una proposta di direttiva europea che il Parlamento UE discuterà nella plenaria di settembre che però, stando alle ong impegnate sul fronte della lotta alla povertà, le lobby di settore starebbero ostacolando con forza.
E così, organizzazioni internazionali come Oxfam Italia e ActionAid hanno lanciato una petizione su Change.org rivolta non solo all’Europarlamento ma anche al Governo italiano, in cui si chiede di limitare la produzione di biocarburanti provenienti da materie prime alimentari o che sfruttano ingenti quantità di terra e acqua.
La petizione ricalca lo spirito della proposta di direttiva europea e al tempo stesso prova a migliorarla, correggendone alcuni aspetti critici.
La legge attuale
Il punto di partenza è una direttiva del 2009 (2009/28/CE),che impone un obiettivo: entro il 2020 il 10 per cento dell’energia usata per i trasporti deve provenire da fonte rinnovabile. L’Europa ha stabilito inoltre che i biocarburanti emettano almeno il 35 per cento in meno di gas a effetto serra rispetto ai combustibili fossili che sostituiscono, con l’obiettivo di arrivare al 50 nel 2017.
Più carburante, meno cibo
Ben presto ci si è resi conto che tutto questo non era garanzia di progresso, per l’ambiente, anzi. Degli effetti collaterali perversi del maggiore utilizzo dei biocarburanti si parla anche nella lettera che 200 scienziati hanno mandato alla Commissione europea. Il primo effetto negativo della diffusione dei biocarburanti è che molti terreni sono stati convertiti dalla coltivazione di derrate alimentari a quella di materie prime per produrre il combustibile. Il risultato è l’aumento dei prezzi e la minore disponibilità di cibo nei paesi poveri, quelli che ’subiscono’ buona parte delle coltivazioni biofuel.
«L’attualenormativa europea sui biocarburanti ha dei costi sociali ormai non più sostenibili», dice Marco De Ponte, segretario generale di ActionAid. Che aggiunge: «I prodotti della terra utilizzati per produrre biocarburanti nel solo 2008 avrebbero potuto sfamare 127 milioni di persone, riducendo la fame nel mondo di quasi il 15 per cento. Tra il 2009 e il 2013 sei milioni di ettari di terreno - ovvero una superficie grande quasi quanto tutto il centro Italia - sono stati acquisiti da imprese europee in Africa sub sahariana a scapito dei bisogni alimentari delle comunità locali».
Il ’bio’ che danneggia l’ambiente
Il secondo effetto pernicioso è che i biocarburanti attuali hanno in molti casi peggiorato l’inquinamento e danneggiato l’ambiente. A dir poco un paradosso, visto che la direttiva del 2009 serviva invece a tutelarlo, spingendo verso nuove fonti di energia rinnovabile. L’effetto perverso si spiega in due modi. Il primo è che i produttori hanno distrutto foreste per ridare spazioalle coltivazioni destinate al cibo, dopo averle sacrificate per i biocarburanti. Il secondo è che proprio l’olio di palma, principale materia prima per il biocarburante, è anche una delle coltivazioni più inquinanti perché genera infatti molta anidride carbonica. Secondo le stime dell’Institute for European Environmental Policy, i biocarburanti saranno responsabili, entro il 2020 (se le norme non cambieranno), di emissioni pari a circa 14-29 milioni nuove automobili.
"Nel solo 2011 i Paesi dell’Unione europea, Italia compresa, hanno sostenuto la produzione di biocarburanti con ben 6 miliardi di euro - soldi dei contribuenti a sostegno di politiche ’verdi’ che di sostenibile finora non hanno niente", si legge nella denuncia di Oxfam Italia e ActionAid. «Una via d’uscita a questo paradosso è incentivare la produzione di biocarburanti di seconda e terza generazione, che a differenza di quelli di prima generazione non provengono da materie prime alimentari», dice a L’Espresso GianniSilvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club e tra i principali esperti di energie rinnovabili in Europa. Quelli di seconda vengono per esempio da materiale lignocellulosico e dall’arbusto miscanto. Quelli di terza sono basati su alghe, «ma ci vorrà ancora un decina di anni per vederli all’opera», dice Silvestrini.
E questo è proprio uno degli obiettivi della nuova proposta di direttiva europea, che vorrebbe limitare al 5 per cento la quantità di biocarburanti provenienti da colture alimentari (cioè bloccarli agli attuali livelli, senza ulteriori incrementi) e offrire incentivi di mercato per quelli di seconda e terza generazione. Nella bozza si chiede anche di aumentare al 60 per cento la soglia minima di riduzione dei gas a effetto serra per i nuovi impianti al fine di migliorare l’efficienza dei processi di produzione dei biocarburanti e scoraggiare ulteriori investimenti in impianti che danno scarsi risultati nella riduzione delle emissioni.
Per gli ambientalisti tuttociò non è sufficiente perché la direttiva non tiene conto del cosiddetto "cambio indiretto d’uso del suolo". A oggi è vietato deforestare per dare spazio a produzioni di biocarburante. In compenso è permesso deforestare per creare terreno agricolo a uso alimentare dopo averne sacrificato altro per il biocarburante.
In sintesi, i produttori possono fare un "gioco delle tre carte" in cui il risultato è comunque lo stesso: meno foresta (e quindi meno ossigeno per il pianeta) per inseguire il business dei nuovi carburanti "ecologici". La commissaria europea al Clima Connie Hedegaard ha riconosciuto che la proposta «non è perfetta» e che «alcuni biocarburanti sono cattivi come o anche più dei combustibili fossili che sostituiscono». Ma ha anche detto che «questa proposta assicurerà che i biocarburanti europei saranno più sostenibili di quanto sarebbero stati senza di essa». Intanto gli ambientalisti sono stretti nel difficile obiettivo di proteggere la proposta di direttiva spingendo altempo stesso per renderla più severa contro i paradossi del carburante "pulito". Alessandro Longo,l’espresso









   
 



 
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