Sono riuniti in un hotel (e la cosa non ha mancato di suscitare perplessità e polemiche) di Francavilla, in provincia di Chieti, per limare gli ultimi dettagli. Poi, stilato un documento finale, lo sottoporranno a governo e Parlamento. Trattasi dei 35 saggi (due, urbinati e Carlassare, si sono dimessi strada facendo) nominati da Enrico Letta per mettere a punto la riforma della Costituzione. Tra le novità (si fa per dire) principali ci sono lo stop al bicameralismo perfetto, l’introduzione della sfiducia costruttiva, il rafforzamento del ruolo del premier, il taglio dei parlamentari e modifiche al sistema elettorale. Tutte cose delle quali si parla da tempo e non si capisce proprio se servivano dei "saggi" per metterle nero su bianco. La proposta del comitato dei relatori presieduto da Luciano Violante - condivisa (il che la dice lunga) nelle sue linee essenziali anche dal ministro per le Riforme Gaetano Quagliariello, che sarà presente aFrancavilla - è quella di confermare il sistema parlamentare, non presidenziale o semipresidenziale alla francese; ma solo in apparenza, perché è previsto un rafforzamento dei poteri del premier (in nome della cosiddetta governabilità, ovviamente). La dicitura è una specie di ossimoro, «governo parlamentare del premier» (Violante lo chiama «parlamentarismo fortemente razionalizzato»): la fiducia della sola Camera (non del Senato, trasformato in Camera delle Autonomie) è accordata direttamente a lui (o lei), che ha anche il potere di nomina e revoca dei ministri. Se non è presidenzialismo, poco ci manca. È inoltre introdotto il sistema della sfiducia costruttiva, con l’obbligo cioè di indicare una maggioranza alternativa. Attraverso la modifica dei regolamenti parlamentari si punta poi a un notevole snellimento dell’iter legislativo, con tempi certi per i ddl governativi. L’ultimo colpo assestato al parlamento, che ormai da anni, complice anche leggi elettorali assurde, non svolge piùil ruolo che gli assegna la Costituzione. Già, il porcellum, quella legge che tutti dicono da sette anni di voler cambiare ma poi non lo fa nessuno. A questo riguardo la proposta che i saggi fanno propria (anche se la materia non è ufficialmente inserita tra quelle di cui devono discutere) è quella di Roberto D’Alimonte rilanciata e "aggiornata" dallo stesso Violante: sistema proporzionale (finto, perché c’è il doppio turno "alla francese", non per nulla la proposta è stata ribattezzata Porcellò) con voto di preferenza e secondo voto di genere per garantire un’adeguata presenza femminile in Parlamento; sbarramento del 5% per tutte le liste, indipendentemente dal fatto di essere coalizzate o meno (per «evitare che i partiti-scheggia condizionino la vita parlamentare», sic); premio di maggioranza per chi raggiunge il 40%. Se nessuno raggiunge il traguardo - è questa la novità che avvicinerebbe il sistema nazionale a quello in vigore per i Comuni - è previsto il ballottaggio tra il primoe il secondo arrivato (partito o coalizione). In attesa della riforma costituzionale che supera il bicameralismo, poi, per il Senato un unico premio a livello nazionale sostituirebbe la lotteria dei premi regionali evitando la formazione di maggioranze diverse come accaduto a febbraio. Insomma, qualcuno a buon diritto considera questa proposta abbastanza ambigua tra maggioritario e proporzionale tale da mettere d’accordo tutti, non a caso si sposa bene con la proposta di riforma costituzionale, altrettanto ambigua tra parlamentarismo e presidenzialismo. Se a questo si aggiunge il taglio del numero dei parlamentari - alla Camera la sforbiciata prevede di far scendere il numero di deputati da 630 a a 480; per Palazzo Madama si dovrebbe invece passare da 315 a 120 senatori - si capisce come tutto l’impianto delle riforme - costituzionale e elettorale - vada verso una riduzione della rappresentanza effettiva: abbassando il numero dei parlamentari si alza di fatto la soglia disbarramento ben oltre il 5% (meno posti sono disponibili, più voti devi prendere). Con tanti saluti alla democrazia. Ro.Ve.
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