Tutto inutile: i «sacrifici fatti dagli italiani» (per la verità non da tutti tutti) che non andrebbero sprecati facendo cadere ora il governo (Letta ce lo ripete ogni tre per due) per non perdere l’occasione di «agganciare la ripresa» che sta arrivando non sono serviti a niente perché il tetto del 3 per cento di deficit è già superato e ora l’Europa, cane da guardia dei conti pubblici dei paesi membri, ci chiede un altro conto salato. Come volevasi dimostrare, l’austerity è la cura che ammazza il malato: non solo l’obiettivo è mancato, ma adesso la situazione è peggiorata, visto che la disoccupazione galoppa, le aziende licenziano, i negozi chiudono, i consumi precipitano in un circolo vizioso che ci conduce dritti dritti alla Grecia: senza crescita, è impossibile persino raggiungere gli obiettivi di bilancio che loro stessi (Europa e governo) si sono dati. E così adesso dobbiamo fare i conti con un deficit al 3,1% anziché al 3. Piccola cosa, infondo, ma non per i sacerdoti del dogma del pareggio di bilancio (noi italiani lo abbiamo persino messo nella Costituzione, unico paese in Europa), e dunque ci aspetta una dura punizione. Se il governo italiano confermasse che quest’anno sarà al 3,1% «dovranno essere decise delle misure per rispettare gli impegni», tuona la Commissione europea. Insomma, la legge di stabilità rischia di essere un’altra manovra lacrime e sangue (con buona pace dell’abolizione dell’Imu). Il se è retorico, ovviamente, perché lo sforamento è sicuro al 99%: la conferma della necessità di un aggiornamento al Def che approderà domani in consiglio dei ministri è arrivata anche dal sottosegretario all’Economia, Pierpaolo Baretta, secondo cui le previsioni di un deficit/pil al 3,1% «non sono irrealistiche» e richiederanno «un piccolo aggiustamento» che implica «delle risorse finanziarie» (si parla di 1,5 miliardi), anche se «non servirà una vera manovra correttiva». In questo senso, il fatto che Bruxellesconfermi di aver ottenuto «rassicurazioni» da Saccomanni «sulle misure che saranno prese per non sforare il 3%» significa che il governo italiano agirà proprio nella direzione dell’aggiustamento, perché nel caso in cui il deficit/pil nel 2013 superasse quota 3% alla Commissione non resterebbe altro che riaprire la procedura di deficit eccessivo una volta definiti i conti dell’anno (cioè nella primavera 2014). Sarà pure un «piccolo aggiustamento», ma si tratta di soldi che si vanno ad aggiungere ai circa 5 miliardi (che non si trovano) per finanziare l’abolizione della seconda rata Imu, il rifinanziamento delle missioni all’estero, lo stop dell’Iva, il rinnovo della cassa integrazione. Un rebus quasi impossibile da risolvere. Suona dunque un po’ patetica la replica dell’esecutivo italiano per bocca di un indispettito ministro Lupi: «Va bene il tetto del 3% sul deficit, ma il nostro Paese è sovrano e non è stato ancora commissariato: come rispettarlo lo decide l’Italia, e non uncommissario. Siamo convintamente in Europa», ma «il rigore senza crescita non ci porta da nessuna parte». Sorge spontanea la domanda: a chi lo dice? Non sono i "suoi" governi (Letta ora e prima Monti e Berlusconi) ad aver firmato patti e accordi-capestro con l’Europa? Ro.Ve.
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