Come un Pac Man ormai circondato da torme di fantasmi, Enrico Letta - con qualche cedimento al nervosismo tipo quel «se cade il governo pagherete l’Imu» - teorizza "all’attacco" e corre di qua e di là cercando di conquistare il massimo dei punti e la via d’uscita senza rimetterci (politicamente) la pelle. Ma i fantasmi che minacciano il suo cammino hanno sempre più nomi: non solo quelli generici di economia, giustizia, riforme, partiti, ma anche quelli specifici di Imu, Iva, Pil, legge elettorale, Forza Italia, Pd; oltre all’incombere del re dei fantasmini, Silvio Berlusconi coi suoi processi. Ecco, in breve sintesi, i più ingombranti. Economia: due rischi concreti soffiano sul collo. Il primo ha (non a caso) preso le fattezze del ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni che, piazzando sul tavolo sia le proprie dimissioni che la determinazione a rispettare il patto di stabilità al 3 per cento (per azzerare lo scostamento dello 0,1per cento ci vogliono 1,6 miliardi per dicembre), ha messo una serissima ipoteca sulla compatibilità tra pacchetto Imu (riformulazione in service tax, ma pure i 2,4 miliardi che vale la seconda rata in scadenza a fine anno) e mantenimento dell’aliquota Iva (costa un miliardo già solo tenerla invariata per i prossimi tre mesi), scatenando così contro di sé, e contro il governo in genere, falchi colombe e piccioni del Pdl, che sperano di spaccare il Pd sul punto di maggior fragilità dell’esecutivo. L’altro rischio è sul fronte lavoro, la crisi ha compattato come una corazzata d’acciaio sindacati e Confindustria che aspettano l’esecutivo al varco dell’approvazione della Legge di Stabilità e delle misure per il rilancio dell’economia, al grido "non conta solo la tenuta del governo, conta ciò che fa". Il patto di Genova, siglato a inizio settembre tra imprese e lavoratori, contiene richieste precise (e comuni) in materia di fisco, politica industriale, efficienza della spesa pubblica: macon l’aria che tira la riduzione del costo del lavoro così come le misure per lo sviluppo sembrano predestinate a bottini magrissimi. E così, la possibilità di una manovra economica aggiuntiva che ha iniziato ad aggirarsi come uno spettro sulla bocca del ministro e del sottosegretario Fassina, il più critico e polemico nei confronti delle promesse-slogan del Pdl dentro lo strano governo di coalizione, può diventare il maggior detonatore per una crisi che faccia saltare il governo, ancor prima di ciò che potrebbero produrre più laceranti divisioni sui temi della giustizia. A maggior ragione dopo l’esito delle elezioni tedesche che, riconfermando totale fiducia alla Merkel, comporteranno la permanenza di quella "dittatura" tedesca sull’Europa che Berlusconi e Grillo continuano a criticare ogni giorno. Giustizia: la prossima pronuncia sul ricalcolo dell’interdizione e poi il (sicuro) ricorso in Cassazione da parte di Berlusconi - la sentenza in questo caso dovrebbe arrivareprima di Natale - faranno riesplodere lo scontro che per ora, tra le bislacche vicende della Giunta del Senato e i temporeggiamenti vari, sono stati nascosti come polvere sotto il tappeto. L’aula di Palazzo Madama dovrà pronunciarsi sulla decadenza del martire Berlusconi, il che è improbabile avvenga prima di metà ottobre. Ma se l’uscita del Cavaliere da Palazzo, in un modo o nell’altro, è data per scontata, a impensierire di più sono le tegole delle prossime pronunce dei giudici: per quel che riguarda Milano, per dire, Berlusconi e i suoi avvocati al momento danno per probabile e imminente un’ordinanza di custodia cautelare (arriverebbe all’indomani della decadenza) per presunta corruzione dei 32 testimoni nel troncone principale del processo Ruby; subito appresso c’è procedimento aperto a Napoli sulla compravendita dei parlamentari, con l’udienza preliminare fissata per il 23 ottobre; per non parlare dei timori che arrivi un nuovo tsunami (ancora) dalla procura di Bari sul temaTarantini-escort. Comunque è chiaro che qualsiasi novità riguardasse il Cavaliere, si rifletterebbe sul governo, come è sempre avvenuto: in che modo? Riforme: Diciotto mesi per cambiare le regole della Costituzione o a casa: un promessa non ancora ritirata e sulla quale, però, l’orologio pare andare andare all’indietro. Dopo la faticosissima approvazione della legge costituzionale sul processo di riforma e dopo che i saggi - con tanto di dispendiose trasferte in località amene atte a favorire la saggezza - hanno partorito una specie di topolino fatto di dichiarazioni di intenti prive di margini di successo, si riparla di: fine del bicameralismo perfetto, Senato delle regioni, premierato forte et similia. Come negli ultimi trent’anni di riforme mancate. Sullo sfondo, quinta colonna e convitato di pietra, la legge elettorale. Tutti d’accordo che sarebbe folle modificare la Costituzione senza mettere mano alle regole per la rappresentanza: ma nessuno ha la forza sufficiente perapprovare una nuova legge. Nel vano agitarsi, l’immobilismo è tale che ormai siamo al paradosso (razionale) di un Grillo che teorizza di chiedere il mantenimento del Porcellum, così da giocarsi al prossimo giro la partita per il succulento premio di maggioranza e, in un colpo solo, vendicarsi di Bersani e dare la "Svolta" al suo movimento. E’ davvero possibile che, in questo scenario, dodici mesi (otto-nove se si levano le pause natalizie, pasquali, elettorali per le europee, estive) bastino non tanto per approvare le nuove regole con doppia lettura e referendum confermativo (cosa pressoché impossibile), ma almeno per metterle seriamente su quel binario - come da impegno lettiano? Partiti: due donne intorno al cor di Letta son venute: la rinascita di Forza Italia, e la lotta per le primarie nel Pd. Due partite parallele in cui la parola chiave è "consenso" e il consenso non va mai d’accordo con quello che Prodi avrebbe chiamato «il sangue che deve scorrere» e che in questocaso può definirsi il fiele delle politiche di un governo costretto a confrontarsi con i dati economici che quotidianamente fioccano con segno meno. La nuova FI sarà intransigente - ponendosi quasi alternativa ai pidiellini di governo - nel giudicare le decisioni di Letta; e ancor di più lo sarà Renzi, spregiudicatamente concentrato a vincere a qualunque costo la partita per la segreteria prima e la leadership poi. Stando così le cose, per sopravvivere Letta dovrebbe inventarsi una mossa del cavallo. E non ha dalla sua la tradizione: Pac Man, infatti, non ha mai giocato a scacchi. Susanna Turco, l’espresso
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