Problemini e Problemoni
 











In Italia il periodo dei giri di valzer, se mai vi fu, è definitivamente chiuso.
La nazione ha a che fare con problemi di entità quasi insormontabile, che si susseguono con ritmo oramai quotidiano. Ad esempio, l’urgente questione sulle modalità di celebrazione delle esequie e di tumulazione dei prigionieri della seconda guerra mondiale. O che dire della cogente questione per cui le aggravanti del reato di discriminazione non debbano limitarsi a quelle rivolte al soggetto transessuale ma debbano essere allargate (alla luce delle nuove frontiere dell’identità di genere) anche ai transgender.
O ancora, l’emergenza relativa alla determinazione del numero dei defunti e delle modalità della loro esecuzione nei campi di prigionia dell’Europa centro-orientale negli anni quaranta dello scorso secolo, temi su cui – non riuscendo gli storici a mettersi d’accordo – si è ben pensato di varare un apposito disegno di legge da approvarsi con procedurad’urgenza e auspicio quirinalizio.
Come se non bastasse questa singolare ondata di stravolgimenti che hanno costretto il legislatore alla più estenuante maratona parlamentare che la storia repubblicana ricordi, in attesa che si aggiunga alla mole normativa anche un DL sul menù da proporre ai migranti sui traghetti della Tirrenia che andranno a prelevarli a Bengasi, altre piccole incombenze vanno a distrarre i rappresentanti del popolo dal loro ruolo istituzionale.
Mille problemi, anzi, problemini. Routine, farraginosa burocrazia, ordinaria amministrazione che tuttavia qualcuno dovrà pur decidersi di sbrigare.
Ad esempio, l’assessore all’educazione del comune di Milano ha detto che sempre più bambini, alla mensa scolastica, divorano in pochi istanti il cibo nel piatto, e se possono portano via gli avanzi, dato che quello sarà il loro unico pasto della giornata.
Oppure i dati recenti sulla povertà: gli indigenti sarebbero una quindicina di milioni. Qualcosa si dovrà purfare.
Anche la produzione industriale è causa di qualche grattacapo. Non si vende più un’automobile neanche a piangere, il mercato immobiliare è tracollato. Dal nostro Mezzogiorno in pochi anni sono emigrate due milioni di persone.
I grandi economisti albionici della London School of Economics, nei giorni scorsi, hanno tracciato un quadretto edificante della nostra nazione: tempo dieci anni, dicono, dell’Italia come la conoscevamo non sarà restato nulla. La portata e la velocità del declino, aggiungono, è tale che – salvo miracoli – per ricostruire il Paese potrebbero volerci secoli.
Se a tutto ciò si aggiunge che ogni anno c’è quel centinaio di miliardi abbondanti da pagare per gli interessi sull’euro e per il fiscal compact, appare evidente che qualche problemino in effetti potrebbe emergere.
Tutte seccature cui prima o dopo i legislatori, sottraendo tempo prezioso al contrasto all’omofobia e al “negazionismo”, saranno costretti ad affrontare. E qualcosa stanno giàfacendo: una decina di euro in più in busta paga ai dipendenti, grazie a un bell’aumento infinitesimale delle detrazioni d’imposta. Qualche milione di euro al fondo per le social card, qualche sgravio sui contributi se si assume un ultracinquantenne disoccupato da due anni. Insomma, riforme strutturali, vere iniezioni di fiducia.
Intanto tasse e balzelli imperversano: il barile è vuoto, ma qualcosa da raschiare sul fondo, forse, ancora c’è. Ah, a breve verrà aumentato anche il prezzo delle sigarette. Quaranta centesimi a pacchetto. Vabbè, tanto fa male, no? Si muore di cancro. Morite di fame, è meglio. Fabrizio Fiorini

 









   
 



 
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