Amianto: 20 morti alla Olivetti, indagati Carlo De Benedetti e Corrado Passera
 











"Dopo l’Eternit di Casale Monferrato ora tocca all’Olivetti di Ivrea. La Procura di Ivrea ha aperto un’inchiesta su venti morti sospette provocate dall’amianto negli stabilimenti Olivetti dove si fabbricavano telescriventi e personal computer. Secondo quanto anticipato dal quotidiano La Stampa, tra gli indagati ci sono l’ex presidente Carlo De Benedetti e l’ex amministratore delegato Corrado Passera. Le ipotesi di reato sono di omicidio colposo e lesioni colpose plurime. Le indagini sono concentrate sui decessi di una ventina di lavoratori, avvenute dopo la pensione, tra il 2008 e i primi mesi di quest’anno. Si tratta di uomini e donne che tra la fine degli anni settanta e il Novanta avevano lavorato in reparti contaminati da fibre di amianto e che lì avevano inalato polveri nocive che anno dopo anno li hanno consumati e fatti ammalare di mesotelioma pleurico fino ad ucciderli.
Tutto era cominciato – racconta la Stampa – dopo unadenuncia presentata 6 anni fa dai famigliari di una ex dipendente dell’azienda. La donna aveva lavorato nello stabilimento di San Bernardo, a Ivrea, dal 1965 al 1980: morì il 27 dicembre del 2007 a causa di un mesotelioma pleurico maligno. Le perizie avevano dimostrato che quella dipendente si era ammalata per aver inalato talco contaminato con amianto. E per quella storia, grazie anche all’avvocato Enrico Scolari che difendeva la famiglia, fu rinviato a giudizio Ottorino Beltrami, fino al 1978 amministratore delegato della Olivetti. Il processo, però, non si farà, perché Beltrami nel frattempo è morto. Nel frattempo però si scoprono nuovi casi: si era così scoperto che tutti avevano la stessa malattia per contatto con l’asbesto, e che tutti avevano lavorato fino ai primi Anni 90 negli stabilimenti Olivetti: alle Officine Ico, nei capannoni di San Bernardo e nel comprensorio industriale di Scarmagno. Gli atti erano poi stati trasmessi in Procura e erano arrivate le prime denunce. Moltedi queste le aveva presentate la Fiom Cgil del Canavese, che attraverso il legale Laura D’Amico oggi sta seguendo decine di casi. L’impressione è che questa storia sia soltanto all’inizio. Poi c’è la testimonianza di Gino, 74 anni, 31 anni, dal 1962 al 1993, spesi aggiustando le caldaie dell’Olivetti. Oggi Gino è fiaccato dalle chemioterapie: “Eravamo giorno e notte a contatto con le condotte delle caldaie, quelle che trasportavano l’aria e il vapore per far funzionare i macchinari della fabbrica”. Tutto materiale rivestito di amianto. “Ma nessuno, a quell’epoca, se ne preoccupava più di tanto, anche se ogni anno l’azienda ci ordinava di fare le lastre ai polmoni”. Era il 1998 e quel giorno lo ricorda come se fosse adesso. «Faticavo a respirare, uno strazio. Mia moglie un mattino mi trascinò in ospedale per una visita». Gino fu sottoposto ad una tac. E sul referto i dottori scrissero due parole che lui subito non capì: «mesotelioma pleurico». Guardò con occhi carichi di domande imedici e si fece spiegare di cosa si trattasse. Gli spiegarono che aveva contratto l’asbestosi, una malattia dovuta al contatto con l’amianto. Dove? Sul posto di lavoro. Così Gino ha iniziato la sua battaglia per il riconoscimento della malattia professionale. Anni passati da un patronato all’altro, da un ufficio all’altro dell’Inail. Alla fine è riuscito a strappare un piccolo risarcimento. Poco più di 2 mila e 400 euro. «Mi fu riconosciuto un danno fisico soltanto per un breve periodo, fino al 1982. Quattro soldi. E’ stato umiliante».
Fibronit, processo a rischio l’ex patron ottiene il rinvio
Il processo è stato sospeso. O meglio rinviato in attesa che un esperto si pronunci sulla capacità di Dino Stringa, amministratore della Fibronit dal 1969 al 1985, di affrontare un nuovo giudizio. La possibilità, quindi, che tutte le vittime dell’amianto anche e soprattutto quelle che hanno scoperto la malattia solo negli anni scorsi, abbiano giustizia, si allontana. Una conseguenza quasiinevitabile perché il mesotelioma, il cancro causato dalle esposizione alle fibre, ha un periodo di latenza elevato, che oscilla dai 20 ai 40 anni.
Dino Stringa che è stato condannato in via definitiva in due processi ha più di 90 anni e le sue condizioni di salute non sono buone. Ieri l’udienza, dinanzi al giudice monocratico, di un altro processo, quello per la morte di una donna che abitava non lontano dalla Fibronit, la fabbrica che produceva manufatti di amianto e che era la moglie di un operaio dello stabilimento. La signora è morta nel 2004, uccisa dal mesotelioma, contratto perché abitava a ottocento metri dalla fabbrica e perché ha respirato le fibre delle quali erano impregnate le tute da lavoro del marito. Dino Stringa è l’unico imputato, accusato come è già accaduto in altri dibattimenti di non essersi adoperato quando era alla guida della fabbrica per ridurre o eliminare il rischio di dispersione di amianto nell’atmosfera. La difesa dell’imprenditore (rappresentatadall’avvocato Gaetano Castellaneta) ieri ha presentato una istanza per chiedere di valutare la reale capacità di Dino Stringa di affrontare il giudizio. Istanza che è stata accolta dal giudice.
L’udienza è stata rinviata al 15 gennaio quando sarà depositata una perizia, già disposta da un altro Tribunale, che dirà se le condizioni di salute dell’ex amministratore della Fibronit siano compatibili con la capacità di sostenere un processo. Qualora l’esperto dovesse, come probabile, confermare la tesi della difesa e dire quindi che lo stato clinico di Stringa non gli permette di assistere e partecipare ad un dibattimento il processo sarà sospeso. Riprenderà quando e se le condizioni di salute dell’imputato miglioreranno al punto da permettergli di sostenere il dibattimento.
Se la giustizia, quindi, è riuscita a dare risposte ad alcuni dei cittadini ammalatisi e morti a causa dell’amianto (ex operai soprattutto), forse, non potrà restituire la verità processuale a tutti residenti delquartiere Japigia che hanno
scoperto di essersi ammalati soltanto negli ultimi anni. Per la morte di una di loro è arrivata una sentenza definitiva. "Mi auguro, al di là della responsabilità oggettiva dell’ex amministratore verso cui non ci si può accanire, che comunque si trovi il modo di risarcire chi ha subito il danno" spiega Nicola Brescia, presidente del comitato Fibronit che aggiunge: "Speriamo che i lavori di bonifica del sito vengano avviati al più presto".Gabriella De Matteis,repubblica









   
 



 
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