Siamo l’unico paese al mondo che con la costituzione del nuovo governo non avrà il ministero della Salute, prima chiamato della Sanità. Sarà accorpato nel dicastero del superministro Maurizio Sacconi, che ha anche la competenza sulle politiche sociali e del lavoro (ovvero il welfare). Tutto normale? Assolutamente no; è la politica del «calderone». Anche se, purtroppo, esiste una norma legata alla legge finanziaria 2008 (art. 1, c. 376, l. 244/2007) che di fatto ha smantellato questo ministero che esemplificava finora anche simbolicamente un diritto eguale per tutti. Tutta la difesa della salute del cittadino viene delegata al decentramento regionale, che potrebbe a questo punto rendere differenziali l’assistenza e le cure, secondo un orientamento guidato solo dal prelievo fiscale. Secondo il principio tanto caro ai «federalisti»: tanto paghi e tanto ti sarà ridato. Addio servizio universale. 30 anni dopo l’approvazione el’entrata in vigore della Riforma sanitaria (legge 883 del 1978), si fa passare una norma che è la semplice abolizione del Sistema sanitario nazionale. Si torna anacronisticamente a un’organizzazione per enti (Aziende sanitarie) o ai barracconi assicurativi - che si spacciano per mutue private - sul modello di quanto già fatto negli Usa. Con la Riforma del sistema sanitario, la costituzione della Conferenza Stato-Regioni e la realizzazione delle Aziende territoriali si è tentato comunque di mantenere un Fondo sanitario nazionale (garantito dal ministero), che doveva riequilibrare l’intervento tra le diverse realtà locali e la realtà centrale. Non è stato tutto «rose e fiori», tuttavia c’è sempre stata un’istituzione che doveva garantire il principio universale della salute per tutti, possibilmente gratuita (persino per il figlio di Montezemolo, si è verficato). Nel corso degli anni - con la legge 92del 1993 e la 229 del ’99 - si è intervenuti a favore di un maggiore undecentramento, con l’obiettivo di migliorare l’organizzazione dei servizi e dell’assistenza, secondo criteri imprenditoriali. Basti pensare che l’Unità Sanitarie sono diventate nel tempo delle «aziende» organizzate sulla base di normative attente più alla «cassetta» che alle prestazioni. E’ questa, se si vuole, la vera «malasanità». Silvio Berlusconi ha già deciso chi riceverà la delega (ripeto: alla Salute): un «tecnico» come Ferruccio Fazio, ordinario di diagnostica per immagini e radioterapia presso l’università di Milano. Fin qui nulla da obiettare. Semmai è legittimo chiedersi se, con l’abolizione del ministero della salute, sia prevista anche la subalternità di alcune materie specifiche (tipo: quale rapporto esiste tra scienza e etica». Ad esempio: la legge 190 (sull’aborto), la legge 40 (procreazione assistita), la 180 (soppressione delle istituzioni manicomiali), di cui tra in questi giorni cade il ventennale. Tutta questa «materia» rischia di essere trattata come caasisticamarginale, mentre rappresenta la parte costitutiva di una moderna società civile. Come è stato denunciato dall’Anaoo-Assomed (Associazione dei medici dirigenti) si mette in discussione un dicastero che comunque «si è fatto sempre carico delle realtà specifiche - l’adeguato finanziamento del Ssn e dei contratti di lavoro - della sicurezza e della qualità delle cure. insieme alla salvaguardia dei livelli minimi organizzativi e strutturali su tutto il territorio nazionale». La Cgil Medici insiste invece sul ridimensionamento della contrattazione nazionale - bloccata ormai da due anni - che deve preservare l’equilibro del servizio. In Italia, vige (è inutile negarlo) un «federalismo sanitario» di fatto; quindi è indispensabile mantenere un baricentro per garantire la corretta programmazione dell’assitenza e della prevenzione. Il nuovo governo parte, anche qui, col piede sbagliato.de Il Manifesto
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