La grande ipocrisia di Letta
 











Felicemente in piedi accanto all’albero di Natale, Enrico Letta ha tenuto una conferenza stampa di fine anno inventando per gli italiani incazzati e depressi una narrazione che probabilmente si può riassumere in una sola frase: tutto sta per cambiare, anche se non ve ne siete accorti.
Per cominciare, il premier si è intestato al volo il «cambiamento generazionale» già avvenuto nell’establishment: lui (47 anni) a Palazzo Chigi, con Matteo Renzi (38) come principale azionista e il sostegno fondamentale di Angelino Alfano (41). «È una svolta iniziata il 24 aprile», ha esultato il premier, riferendosi appunto alla sua nomina. E poi: «In questi otto mesi l’Italia ha cambiato pagina», di questo «all’estero si sono già tutti accorti», «è quindi una grande occasione per una generazione», «come nel dopoguerra, appena finito il fascismo», anzi a dire il vero «una svolta generazionale così non è mai avvenuta», pertanto «potremo fare riforme che non sono maistate fatte prima» grazie appunto «alle nuove leadership».
A sentirlo parlare sembrava quasi che lui e i suoi soci fossero quasi il risultato di una rivoluzione scoppiata nelle università, di una sorta di “primavera italiana”: non di un accordo di Palazzo imposto a calci dal tuttora dominus Napolitano (ah: 88 anni), sulla falsariga della coalizione presieduta da Monti (70) e molto voluto ad aprile da Silvio Berlusconi (77).
Già, Berlusconi: sì, c’era anche lui all’inizio e in effetti «la sentenza che ha riguardato uno dei tre leader che avevano fatto nascere questo governo ha provocato delle turbolenze», ha ammesso in puro lettese il presidente del consiglio, ma d’altro canto «nessuno si sceglie il tempo in cui vivere» e quello che è avvenuto (la sentenza) «è un fattore esterno che si è intrecciato con fattori interni», e ciao.
Acqua passata, fa capire il premier, così come alle spalle è (ovviamente) «la fase peggiore della crisi economica», per spiegare la quale Letta silascia andare a un’ardita metafora sanitaria: «L’Italia è un Paese incidentato, che però non è più al Pronto soccorso né in sala operatoria, ma ormai in fisioterapia». Nessun accenno ovviamente alle cause dell’incidente, né ai suoi eventuali corresponsabili nostrani. Quello che conta è che siamo in riabilitazione e lui sta reinsegnandoci a camminare.
Insomma, da un punto di vista comunicativo il messaggio è chiaro: qualcosa tipo “con quello che c’era prima io non c’entro niente, perché rappresento il nuovo e i giovani”, nonché «la capacità di autoriforma delle istituzioni». A proposito, «già da tempo» lui ha «fatto un discorso forte sui costi della politica per togliere gli elementi di privilegio», naturalmente «senza demagogie», perché «sono vicende su cui è facile scrivere dei tweet» mentre ora c’è «una nuova legge sul finanziamento pubblico grazie alla quale agli italiani che non vogliono sostenere i partiti non verrà tolto un euro», una piccola balla date le robuste detrazioniper le donazioni, tutte a carico dello Stato.
Ma transeat, è Natale e nessuno fra i presenti glielo fa notare. Così Letta può ricominciare a cantare il futuro migliore che ci aspetta: «I conti pubblici non sono più fuori controllo e quindi si è in condizione di guardare al 2014 come a un anno in cui cala la disoccupazione, inizia la crescita, si fanno le riforme». Perché, di nuovo, «ci sono le condizioni per cogliere le opportunità» (parola mantra della conferenza stampa) e «l’anno prossimo ci occuperemo di chi è stato distrutto dalla crisi, dei poveri, delle famiglie bisognose che stanno sotto la soglia di povertà»: forse un’ammissione implicita che finora non se n’è occupato nessuno, ma anche questa passa come acqua e quindi Letta può ribadire «ai tanti San Tommaso» che «sarà presto evidente che la prospettiva è positiva».
Ultimo capolavoro di ipocrisia, la risposta su Renzi: lo appoggerà o no come candidato premier? «Una nuova generazione mostrerà che è in grado di vivere inmodo diverso la capacità di fare gioco di squadra», replica Letta con una frase che nemmeno Forlani nei suoi giorni migliori.
Amen: è tutto. Il tizio educato in cravatta ha cercato di far dimenticare di essere stato ministro tre volte, nonché vicepresidente del Consiglio e per quattro anni numero due del Pd. Ha parlato come se fosse appena sbarcato da Marte per riparare i guasti fatti da altri.
Che poi in giro ci si creda o no, questo è tutto da vedere.Alessandro Gilioli,l’espresso









   
 



 
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