Il nazionalismo irrompe a Levante
 











Il primo ministro giapponese Shinzo Abe non è nuovo a stupire. Va controcorrente su vari aspetti politici o storici che in molti credevano ormai consolidati e fuori discussione.
Il suo primo atto di governo fu, di fatto, un inatteso gesto di sovranità. La richiesta di sfratto (di parte) della base militare di occupazione militare americano-atlantica di Okinawa.  Certo, proprio di recente giunta ad un’intesa di compromesso in funzione anti-cinese.
In politica economica l’esecutivo di Tokio ha adottato una linea di totale digressione rispetto alle politiche di rigore e di tagli sociali imposta generalmente a tutto l’Occidente. Liquidità iniettata per superare la depressione con investimenti in grandi opere e in sostegno delle industrie nazionali.
Ma è ora un altro evento – che sta sconcertando i politicamente corretti - a imporre una riflessione agli uomini liberi di tutto il mondo.
Shinzo Abe, dichiarato “riformista” ai tempi dellasua vittoria sul partito conservatore liberale già per lunghe decadi al governo nipponico, dopo aver avviato una riforma costituzionale per rompere i vincoli di forzata smilitarizzazione, ha deciso nella settimana appena trascorsa, di onorare il ricordo dei 2 milioni e cinquecentomila morti nipponici nella seconda guerra mondiale e degli eroi e dei patrioti giapponesi, lo Yasukuni.
Immediate le reazioni negative delle cinesi Singapore e Repubblica popolare e del Sud Corea. L’occupazione della Cina negli Anni Trenta dello scorso secolo, culminata nella presa della città imperiale di Nanchino nel 1937 e nella restaurazione della dinastia manciù nell’autonomo Manchukuo, resta un ricordo nefasto per i cinesi di etnia han.
Tanto  quanto viene reputato tuttora in Francia e in Russia nefasto, nello stesso conflitto, sia l’occupazione tedesca di gran parte del territorio francese e sia dell’Urss europea (anche se ritenuta una liberazione gradita a una buona metà dei francesi e degliUcraini e dei cosacchi) e sia l’occupazione italiana dell’Albania. O dei territori mediterranei e africani già precedentemente colonizzati.
Ma qual era il messaggio che Abe ha voluto lanciare e diretto a chi - con la sua visita al Tempio Yasukuni sette decadi dalla fine della seconda guerra mondiale?
Indubbiamente, come per un omaggio postumo a Yukio Mishima, si tratta dell’effetto storico di un risorgente nazionalismo nipponico. Che trae origine dalle fondamenta tradizionali della storia del Giappone e da una causa prossima geopolitica: il risveglio economico della Cina popolare e il parallelo declino della potenza occupante, gli Stati Uniti.
Il Giappone, ridotto a nano politico e colonia militare Usa dal 1945 ad oggi (come le altre due ex potenze dell’Asse, Germania e Italia; tutti e tre costellati di imponenti basi militari atlantiche) sta riscoprendo la sua storia e la sua cultura, abbandonando la demilitarizzazione a cui era stato costretto dallasconfitta.
Soltanto  nel 2012 Tokio ha ampliato il budget della difesa fino a 45,8 miliardi di dollari, con una progressione di incremento che ha raggiunto il 2,2% su base annuale. Rispetto, ad esempio, all’Italia, non soltanto ha dato corso al contratto per i contestati F35 (una fornitura imposta agli Stati soggetti dagli Usa) ma ha ottenuto il rafforzamento del dispositivo militare con un incrociatore, un sottomarino da 2900 tonnellate,  elicotteri SH-60k, aerei ricognitori e droni.
Non è un caso che esista da tempo un motivo di crisi tra Cina e Giappone. Pechino e Tokio si contestano reciprocamente il possesso delle isole Diaoyu/Senkaku e che appena nello scorso novembre vi sia stato un  atto giapponese – supportato dagli Usa – di intervento negli spazi contesi, un’area ricca di materie prime.
Naturalmente il rafforzamento militare nipponico è diventato una necessità strategica anche degli Usa. Fallita di fatto la politica di progressiva conquista degli exsatelliti Urss di Mosca nell’Asia centrale e meridionale (l’assedio previsto da Zbignew Brzezinki ne “La Grande Scacchiera”, miseramente tramutatosi in un boomerang sia in Afghanistan che in Iran e sia dopo lo sconsiderato innesco della “Rete” – al Qaida – supportata fin dai tempi di Carter), Washington ha scelto il “male minore” e cioè, appunto, l’alleanza militare con un Giappone da riarmare.
Un rasoio a doppio taglio. Il riarmo del Giappone, seppure inteso come contraltare alla definitiva perdita della maggiore base militare nell’Asia centrale e alla perdita di controllo di Kirghizistan ed Uzbekistan, non può che rivelarsi come un inatteso regalo alla rinascita nazionale nipponica.
Il trattato di intesa militare nippo-americano siglato lo scorso ottobre è stato ritenuto da Chuck Hagel, segretario alla Difesa statunitense un  “riequilibrio” per la sicurezza dell’area Asia-Pacifico.
Ma l’omaggio di Shinzo Abe al Tempio Yasukuni che onora i morti giapponesi nella secondaGuerra mondiale suona non esattamente simile. Lorenzo Moore









   
 



 
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