Abusivismo, il rischio della sanatoria mascherata
 











Quanti modi ci sono per evitare di fare una cosa? Ammettere esplicitamente di non volerla fare. Oppure, più sottilmente, stabilire una lista di priorità, mettendo in coda quelle più “scomode”. Con le dovute proporzioni, è un po’ quello che è accaduto ieri in Senato, dove l’Aula di Palazzo Madama ha approvato la proposta di legge (presentata dal forzista Ciro Falanga) “Disposizioni in materia di criteri di priorità per l’esecuzione di procedure di demolizioni di manufatti abusivi”. Un titolo fuorviante, secondo le associazioni ambientaliste, che denunciano il rischio di una sanatoria mascherata e di una mole sterminata di ricorsi che provocherà di fatto un ingorgo inestricabile negli uffici giudiziari.
La norma, che adesso dovrà essere approvata dalla Camera per diventare legge, stabilisce una gerarchia d’intervento (composta di 11 categorie) alla quale i pubblici ministeri dovranno attenersi nella demolizione degli abusi: gli immobilipericolanti, quelli non ultimati, quelli utilizzati per attività criminali o appartenenti ai mafiosi e via dicendo. Un criterio comprensibile, che però rischia di innescare conseguenze imprevedibili. Ad esempio, perché i proprietari di un complesso turistico (nell’elenco alla lettera f) o di una seconda casa di vacanze (lettera g) dovrebbero accettare la demolizione dei loro manufatti abusivi se in giro c’è ancora anche solo un immobile di rilevante impatto ambientale, che in lista è posto subito prima?
«Abbiamo consultato numerosi pubblici ministeri, soprattutto in Campania, che sono attivi su questo fronte e tutti concordano con noi che questa sarà la pietra tombale sugli smantellamenti, perché chiunque potrà appellarsi contro la loro decisione» afferma all’Espresso l’ex senatore ecodem Roberto Della Seta, oggi attivo con Green Italia. «Ci saranno migliaia di ricorsi e un ingorgo amministrativo che bloccherà tutto, considerato anche che ogni immobile può rientrare in più di unacategoria» concorda il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza. «Senza contare che, prima ancora di arrivare a questo “risultato”, le Procure rischieranno di dover rifare gli studi tecnici in loro possesso per stabilire le priorità. Sempre ammesso che abbiano i soldi per farlo...»
Nella versione originaria il provvedimento disponeva l’obbligo stringente di verificare le condizioni previste dall’elenco. Alla fine, per non imbrigliare del tutto i pm e per rispondere ad alcune obiezioni sollevate dagli ambientalisti, poco prima del voto è stato approvato un emendamento che consente ai magistrati di discostarsi dai criteri indicati. Ma solo “con riferimento al singolo caso” e a eccezione delle case di abitazione. E in ogni caso i pm dovranno motivare “specificamente le ragioni”. Una circostanza, è facile prevedere, che non fermerà comunque i ricorsi.
La proposta di legge è stata approvata coi voti determinanti di Pd e Forza Italia (che aveva presentato il provvedimento) eil voto contrario di Movimento cinque stelle, Lega e Sel. Ma nel Partito democratico non sono mancati i mal di pancia, tanto che lo stesso capogruppo Luigi Zanda è stato costretto a chiedere il rinvio del voto finale al pomeriggio “per un confronto interno”. Davanti alle critiche, il Nazareno si è poi affrettato a precisare che i criteri adottati per l’abbattimento “sono quelli già indicati e utilizzati dalle Procure della Repubblica della Campania”.
Eppure, per giudicare il provvedimento, forse è sufficiente leggere le dichiarazioni di giubilo degli esponenti del centrodestra, che nella scorsa legislatura avevano cercato in tutti i modi di riaprire i termini per il condono edilizio del 2003 e storicamente contrari a qualunque intervento sugli abusi. Intanto c’è già chi rilancia, come il senatore di Ncd Giuseppe Esposito, cofirmatrio della proposta di legge: «Bisogna distinguere chi ha commesso abusi edilizi per ragioni di necessità e chi invece per motivi speculativi. Ora bisogneràfare di più e meglio, soprattutto per i tanti campani che vivono la profonda ingiustizia di non aver potuto usufruire del condono del 1994». Paolo Fantauzzi,l’espresso









   
 



 
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