Letta dimissionario, Consultazioni «rapide»: ci sarà anche Berlusconi
 











Un ultimo Consiglio dei ministri, poi, nel pomeriggio al Quirinale per «rassegnare le dimissioni». Dieci mesi dopo l’arrivo a Palazzo Chigi, catapultato lì da Giorgio Napolitano dopo il fiasco di Bersani, Enrico Letta deve sloggiare più o meno come ci è arrivato: con una manovra di palazzo a seguito delle convulsioni interne del Pd, che nel giro di pochi mesi ha già bruciato due leader, se non tre se ci mettiamo anche la bocciatura di Prodi candidato alla presidenza della Repubblica. Al posto arriva Matteo Renzi, che dice di volere una «legislatura costituente» fino alla scadenza naturale, cioè il 2018 (dunque, visto che finora ha fatto il contrario di quello che ha detto, dovremmo dedurre che si andrà a votare in ottobre, non appena l’italicum-porcellum sarà approvato e funzionante).
Il Partito democratico ieri ha sfiduciato Letta lanciando Renzi verso la guida di un governo «nuovo» (in realtà il governo sarà “vecchio”, perché sostenuto dallastessa identica maggioranza, salvo qualche new entry vendoliana o grillina; l’unica cosa “nuova” è il premier). Il sindaco ha avuto dalla sua la grande maggioranza della direzione dem, che con 136 sì ha approvato il documento presentato dal segretario: una trentina di righe, per invocare «un nuovo esecutivo» che abbia «un orizzonte di legislatura», fino al 2018, per fare le riforme economico-sociali e istituzionali necessarie per il Paese. Il testo si apriva con un grazie a Letta, per «il notevole lavoro svolto in un momento delicato» e «assume Impegno Italia come contributo» (cioè, il programma preparato in extremis dal premier uscente: lo si licenzia mentre se ne «assumono» le linee programamtiche). Ma poi chiedeva subito «una fase nuova». «Non si tratta di una staffetta. Staffetta è quando si va nella stesa direzione e alla stessa intensità, non quando si prova a cambiare ritmo», assicurava il segretario dem. Non si può continuare così, ha puntualizzato il rottamatore. «Siamo difronte a un bivio»: da un lato le elezioni, dall’altro una «legislatura costituente». Il voto anticipato, ha spiegato, «ha un fascino», ma non «risolverebbe i problemi», anche perché non c’è una legge elettorale in grado di consegnare maggioranze stabili (se è per questo nessuna delle leggi maggioritarie più o meno porcelle ci è finora riuscito). Dunque, era la linea Renzi, il Pd deve «rischiare» e «prendersi la responsabilità» di proporre un «patto di legislatura». Un «rilancio radicale», l’apertura di una «pagina nuova».
Il premier, che del Pd è stato vicesegretario, ha assistito in streaming da Palazzo Chigi (e dopo essersi rifiutato ancora una volta di rassegnare le dimissioni prima della riunione democratica) al voto che ha dichiarato chiusa la stagione del suo esecutivo. E ne ha preso atto, non potendo far altro.
Dunque il Pd ha licenziato il proprio premier ma la crisi di governo vera e proprio si apre oggi con le dimissioni di Letta al Quirinale e l’inizio delleconsultazioni che dovrebbero essere, nelle intenzioni di Napolitano, il più rapide possibile, per concludersi forse già domani. Anche se resta un’incognita, che sarà sciolta dopo il colloquio tra Letta e Napolitano: se, cioè, il presidente del consiglio vorrà trasformare la crisi da extraparlamentare (non c’è stato un voto di sfiducia in parlamento a questo esecutivo) in parlamentare chiedendo un voto delle Camere. Cosa che il Pd, naturalmente, vorrebbe proprio evitare, mentre Forza Italia e Movimento Cinque Stelle lo chiedono esplicitamente.
Quanto agli alleati, Scelta civica già promuove il progetto di legislatura di Renzi. Più cauti il Ncd di Alfano, l’Udc e i Popolari, preoccupati di finire a fare da sostenitori di un governo non di larghe (e nemmeno striminzite) intese, ma proprio di centrosinistra tout court e dunque chiedono a Renzi un programma che tenga conto delle loro istanze (addio ius soli, coppie di fatto, ecc). Vendola sembra chiudere, ma dentro Sel si agita unafronda tentata dall’ingresso nel governo. M5S e FI saranno opposizione, ma Berlusconi fa sapere di voler proseguire con le riforme. Tanto che sarà lui in persona - condanna o non condanna - a recarsi al Quirinale per le consultazioni.
Si parla molto di Lucrezia Reichlin: è donna, economista di fama internazionale, ha lavorato alla Bce, è stata in Unicredit, sarebbe la persona giusta. Lei dice: “Non ho sentito nessuno in Italia” e sta aspettando risposte dalla Bank of England, la Banca centrale d’inghilterra, cui ha inviato il suo curriculum per il posto di vicegovernatore (a Londra scelgono così i banchieri centrali, sul mercato). Racconta qualche renziano che la Reichlin e Renzi si erano conosciuti durante la campagna per le primarie 2012, quando il leader Pd cercava interlocutori economici dopo aver perso Luigi Zingales: stima reciproca tanta, ma conciliare due caratteri così forti non è semplice. A fianco di un ministro tecnico, comunque, ci saranno due vice politici chevigileranno sull’ambizioso programma che sta scrivendo Filippo Taddei, l’uomo della politica economica nella segreteria.
Primo punto: un taglio delle tasse duraturo, alimentato da coperture strutturali e non una tantum come quelle usate da Enrico Letta anche nel suo testamento presentato due giorni fa, il documento Impegno 2014. L’idea di offrire l’Economia proprio a Letta è durata un’ora, immediate le smentite imbarazzate. Dei nomi noti che riempiono i giornali in questi giorni l’unico papabile è Tito Boeri, economista della Bocconi che al Welfare dovrebbe introdurre la riforma del contratto unico a tutele crescenti, ideata proprio da lui. Molto più difficile che entrino l’imprenditore Oscar Farinetti e lo scrittore Alessandro Baricco, quasi impossibile poi che Andrea Guerra lasci Luxottica, cui è legato da milioni di euro di stock option.
Il primo passo è l’applicazione di un rigoroso manuale Cencelli della lottizzazione partitica: per Ncd resteranno Maurizio Lupi (Trasporti) eBeatrice Lorenzin (Sanità), delicato il ruolo di Angelino Alfano (sempre all’Interno? E può fare il vicepremier? Renzi è nervoso). Il Pd cerca di offrire qualcosa a Sel, sperando almeno in un appoggio esterno: se non entreranno i leader (tipo Gennaro Migliore), gira il nome di Paola Balducci, giurista, ex Verdi. Anche la minoranza del Pd avrà la sua quota: dovrebbe essere riconfermato Andrea Orlando, all’Ambiente o in un altro dicastero. Anche l’attuale capogruppo del Pd alla Camera Roberto Speranza potrebbe trasferirsi al governo e molti deputati sperano che la guida del gruppo tra i renziani adatti al ruolo vada a Matteo Richetti.
L’ex lettiano, ora renziano e sempre franceschiniano Dario Franceschini avrà sicuramente un ministero, forse Cultura, forse qualcosa di più. Si prepara Michele Emiliano, sindaco di Bari. Per l’Agricoltura è pronto Ernesto Carbone, che in quel ministero ha già lavorato e che da tempo spera di tornarci da numero uno. Gaetano Quagliariello va a occuparsi distrutturare il partito, Ncd, e lascia le Riforme alla super renziana Maria Elena Boschi. Tra le cariche che contano quella su cui c’è maggiore incertezza è la Giustizia: il nome di Michele Vietti non è credibile, la responsabile Giustizia del Pd Alessia Morani resta al partito. Vedremo, forse il Quirinale vorrà dire la sua in materia. Renzi conta di risarcire Roberto Reggi, un tempo braccio destro immolato dopo una battuta feroce sui bersaniani durante le primarie 2012, sarà almeno sottosegretario.









   
 



 
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