La presa del potere senza ricorso ai ludi cartacei è stata un capolavoro non solo tecnico, ma soprattutto comunicativo. L’operazione Renzi-al-governo è stata veicolata e percepita da un indifferente e distratto popolo italiano come normale, ineluttabile, facente parte di un corso di eventi già scritti, non importa da chi, ed in virtù dei quali meritevole di essere inscritta nella rassicurante quotidianità improntata al “se è così, è giusto che sia così”. Se una analoga operazione di potere priva dei passaggi democratici (pensiamo al voto di 136 iscritti all’associazione privata denominata Partito Democratico) fosse stata intrapresa da altri sarebbero saltati treni, profanate chiese, distrutti monumenti, costruite barricate sul modello ucraino, o almeno organizzato qualche girotondo radical-chic. Con Renzi niente di tutto questo. Grazie alla scaltra manovra a tenaglia – la Merkel dall’esterno, Napolitano dall’interno – l’ex primo cittadino delcapoluogo toscano è stato catapultato “di diritto” a Palazzo Chigi. Sebbene senesi, i Chigi non erano forse anche loro toscani? Concluse quelle seccanti formalità quirinalizie, con riti, formule e firme, non sostituibili dalla tecnologia e non affidabili alla insostenibile leggerezza di Twitter in pieno stile postmoderno, il primo fine settimana del governo Renzi merita, tuttavia, alcune preoccupate considerazioni. Innanzi tutto le parole del commissario europeo agli affari economici, Olli Rehn, il quale, dal G20 in corso di svolgimento a Sydney, ha affermato che il neo ministro dell’Economia, Padoan (ex vicepresidente dell’Ocse, ex segretario generale della fondazione ItalianiEuropei ed appena nominato presidente dell’Istat), anch’egli al G20, “sa cosa deve essere fatto”. Una inquietante dichiarazione che ha confermato la totale assenza di autonomia del nostro Paese in tema di politiche economico-finanziarie e, quindi, di sovranità politica nazionale ormai alienata alle burocrazieantidemocratiche di Bruxelles. A sconcertare di più non è tanto la protervia dell’eurocrazia imperante, quanto il fatto che tale sinistro “avvertimento” – non solo al nuovo inquilino di Via XX Settembre, ma a tutto il popolo italiano – sia stato inviato ancor prima che le istituzioni nazionali abbiano conosciuto il programma di governo di Renzi e soprattutto che il nuovo esecutivo abbia ottenuto il voto di fiducia dal Parlamento. Altro motivo di inquietudine è rappresentato dalla nomina dei due nuovi titolari degli Esteri e della Difesa: due nomi e due curricula da far tremare i polsi per l’approssimazione e l’incompetenza fatte assurgere al rango di criteri selettivi per quei ruoli istituzionali, per di più in un complesso frangente politico-diplomatico di estrema delicatezza. Se Renzi avesse proposto quei nominativi con l’intento provocatorio – dunque squisitamente politico – di far emergere in tutta la sua evidenza l’inutilità di quelle cariche – ormai titolari di mere funzioninotarili – dove cioè il ruolo di ministro degli Esteri e della Difesa è ricopribile da un qualsiasi individuo privo di competenze ed abilità, allora – dicevamo – quelle proposte, quelle denunce eclatanti, avrebbero incontrato il nostro favore incondizionato. Aver spacciato la nomina delle due neo-ministre come piacevole novità e gradita discontinuità, ricadendo nella datata retorica delle pari opportunità e degli assurdi equilibri di genere, ha invece alimentato il sospetto che quei posti-chiave siano stati assegnati alle due esponenti democratiche in quanto donne e non in quanto titolari di specifiche competenze tecniche. Quel medesimo sospetto che sorse al momento del varo del governo Letta, con la ministra dell’Integrazione nominata sulla base di rari requisiti politici: essere donna ed essere nera. Ma il vero capolavoro di strategia comunicativa d’accatto Renzi l’ha raggiunto nominando ministro per la Pubblica amministrazione una donna, giovane e incinta. Un distillato dibuonismo, polically correct, mediaticità ed una captatio benevolentiae oltre Tevere, dove da un anno queste qualità sono tenute insieme dal collante della mediocrità e del pauperismo d’immagine a fini comunicativi. Facile fin d’ora prefigurare la poppata in pieno Consiglio dei Ministri con rimbalzo immediato su blog, social network e cinguettii entusiasti. Guai a chi oserà storcere il naso. Degni di menzione, infine, i pronti rallegramenti al neo premier toscano da parte del Presidente francese, Hollande. Una solerzia, forse, spiegabile alla luce di un recente convegno organizzato lo scorso 6-7 febbraio ad Atene da uno dei principali settimanali d’oltralpe, il Nouvel Observateur, con il sostegno, tra gli altri, manco a dirlo, del New York Times. Tema dell’incontro: l’Europa, la crisi, la crescita dei populismi. Unici ospiti italiani, Mario Monti e Massimo D’Alema, l’ex capo del governo del quale proprio Padoan fu consigliere economico ai tempi della merchant bank di Palazzo Chigi.Tout se tient. Stefano De Rosa
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