Come da copione, ora tutta la pressione è nei confronti di Mosca, come se fosse la Russia ad aver dato l’avvio alla crisi e non invece il nuovo governo ucraino (filo-europeo), messo in piedi sull’onda di "proteste di piazza", il cui primo atto è stato quello di bandire la lingua russa parlata da non meno del venti per cento della popolazione (in alcune regioni, quelle orientali, è quasi la totalità). Una vera provocazione, seguita alla discutibile deposizione di Yanukovich, che Mosca continua a considerare il legittimo presidente dell’Ucraina. Ma tant’è. Dopo l’iniziale titubanza di alcuni partner europei, Obama l’ha spuntata ed ecco che viene riesumato il G7 apposta per condannare «l’aggressione» di Mosca. La Casa Bianca ha diffuso una nota congiunta che sancisce l’isolamento internazionale di Vladimir Putin: «Noi, i leader di Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti, e il presidente del Consiglio europeo e ilpresidente della Commissione europea - esordisce il comunicato - ci uniamo per condannare la chiara violazione della Russia della sovranità e integrità territoriale dell’Ucraina». Nessun dubbio su dove pende il piatto della bilancia: gli Usa, i suoi alleati occidentali e i vertici di Bruxelles sono schierati a fianco di Kiev. Un successo di Obama, ma di corto respiro, se non altro perché si tratta del G7 e non del G20, quello che tutti ormai considerano il vero centro della governante mondiale, l’organismo in cui sono presenti anche i nuovi colossi del “Brics”, come Brasile, Cina, India e che rappresenta i due terzi del commercio e della popolazione mondiale. Lì, dove non mancano le tensioni con gli Usa, difficilmente Obama otterrebbe la stessa unanimità. La prova è nella telefonata tra Russia e Cina. Il ministro degli esteri russo Lavrov e il collega cinese Wang Yi si sono parlati al telefono e hanno registrato una «larga convergenza» (alla Cina la partita ucraina ricordaquella del Tibet). Tanto più che il viceministro russo Grigori Karasin si è detto «assolutamente convinto che nessuno in Russia vuole una guerra con l’Ucraina». Come dire che ciò che interessa Mosca non è invadere il paese, ma mantenerla nella propria sfera di influenza economico-politica, come è stato finora. Cioè prima che l’Occidente decidesse di forzare la mano verso l’ingresso in Europa dell’ex repubblica sovietica. Comunque, il G8 di giugno a Sochi per ora è solo congelato, essendo caduta nel vuoto (anche per la freddezza soprattutto della Germania) la minaccia di cacciare la Russia dal “Gruppo degli 8”. Resta la condanna: «Le azioni russe in Ucraina - si legge nella nota del G7 - violano i principi e i valori che animano il G7 e il G8. Quindi abbiamo deciso per il momento di sospendere la nostra partecipazione alle attività connesse alla preparazione del G8 di giugno a Sochi, fino a quando non tornerà il clima in cui il G8 sia in grado di avere una discussionesignificativa». Forse anche dietro pressione di Merkel, che sostiene di aver convinto Putin ad accettare una mediazione Ocse, il G7 tende un po’ (ma solo un po’) la mano invitando «la Russia a risolvere eventuali preoccupazioni circa la sicurezza o tutela dei diritti umani nei confronti di Kiev con negoziati diretti, e/o tramite una mediazione internazionale sotto l’egida delle Nazioni unite o l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. Siamo pronti a collaborare con questi sforzi. Chiediamo inoltre a tutte le parti interessate - concede il G7 - a comportarsi con il massimo autocontrollo e senso di responsabilità, pur di diminuire le tensioni». La missione Osce dovrebbe partire a breve: gli osservatori dovrebbero «monitorare e prevenire il conflitto, assicurare la protezione dei diritti umani dei membri delle minoranze, prevenire conflitti al confine, promuovere il rispetto dell’integrità territoriale e mantenere la pace, la stabilità e la sicurezza nellaregione». Ma sono frasi di circostanza, tanto per far vedere di voler essere obiettivi, anche se in realtà la scelta di campo è nettamente a favore del governo provvisorio di Kiev, a cui il G7 promette appoggio pressoché incondizionato non solo politico ma anche (e soprattutto) economico (l’Ucraina ha debiti astronomici con la Russia ed è in piena crisi finanziaria): «Ci impegniamo - afferma il “Gruppo dei 7” - a sostenere l’Ucraina nei suoi sforzi per ristabilire l’unità e la stabilità politica ed economica del Paese. A tal fine, sosterremo il lavoro dell’Ucraina nel negoziato su un nuovo programma con il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, l’Unione europea, e ad attuare le riforme necessarie». Anche per questo, Putin si è sbrigato a mettere tutti di fronte al fatto compiuto. L’occupazione militare della Crimea ormai è compiuta, portata a termine rapidamente, senza sparare un solo colpo (e forse era già preparata) e con l’appoggio della maggioranza dellapopolazione). Il presidente russo può trattare da una posizione di forza: vengano pure i mediatori dell’Ocse. Anzi, come risposta alle accuse della Casa Bianca, giudicate da Mosca come «minacce inaccettabili», ecco nuovi blitz in altre regioni dell’Ucraina orientale: dopo l’irruzione di alcune centinaia di filorussi nel palazzo della Regione di Donetsk, il loro “comandante” Pavel Gubarev, ha annunciato di aver «preso il potere». Gubarev era già stato «eletto» governatore due giorni fa, ma ieri il presidente ucraino ad interim Oleksandr Turcinov aveva nominato un governatore non gradito ai filorussi. Il parlamento regionale di Donetsk ha anche annunciato di voler convocare un referendum sullo status della regione, come ha fatto la repubblica autonoma di Crimea. Stesso copione anche ad Odessa dove sul palazzo del Consiglio regionale di Odessa sventola la bandiera russa. Circa 700 manifestanti pro-Mosca hanno infatti fatto irruzione nell’edificio mentre era in corso una riunione diemergenza sulla situazione in Ucraina. Ucraina: le amicizie paranaziste dell’amministrazione Obama Un sondaggio New York Times/Cbs del 9 settembre scorso mostra che il 62% degli americani non ritiene che gli Stati Uniti debbano svolgere un ruolo di leadership nel mondo o cercare di risolvere i conflitti internazionali. Nel 2003, la maggioranza dell’opinione pubblica – 48 contro 43 – era a favore del ruolo-guida americano. Segno che i disastri delle guerre in Afghanistan e Iraq non sono passati invano; e che quindi, oltre a qualche possibile sanzione nei confronti della Russia, gli Stati Uniti non andranno molto più in là. Un dato interessante da rilevare è comunque questo. Gran parte dei gruppi e lobbies che negli ultimi mesi hanno cercato di sensibilizzare l’opinione pubblica e la politica americane sulla sorte dell’Ucraina hanno legami profondi con le organizzazioni della destra radicale e xenofoba ucraina. A organizzare le proteste anti-Ianukovich in molte città americane,soprattutto Chicago, è stato l’“Ukrainian Congress Committee of America” (Ucca), un gruppo che è diretta emanazione della vecchia e neo-fascista “Organization of Ukrainian Nationalists”. L’Ucca, basato ovviamente negli Stati Uniti, mantiene legami molto stretti con il partito ultra-nazionalista ucraino Svoboda, all’avanguardia della rivolta contro Ianukovich e il cui leader, Oleh Tyahnybok, ha chiesto la liberazione del suo Paese dalla “mafia moscovita-giudaica”. Sempre Tyahnybok, nel 2010, ha definito il boia nazista John Demjanjuk “un eroe che si batte per la verità” e intrattiene rapporti molto stretti con i gruppi neo-nazi ucraini (tra questi, Right Sector, che ha sovrinteso all’organizzazione di molte delle proteste di piazza Maidan). Proprio Tyahnybok è stato visto accanto al senatore americano John McCain, quando questi lo scorso dicembre ha portato la sua solidarietà agli occupanti di piazza Maidan. Tyahnybok gode peraltro di un filo diretto con il Dipartimento di Stato Usa,attraverso Victoria Nuland, la principale assistente di Kerry. La Nuland ha incontrato a febbraio Tyahnybok e in una telefonata intercettata con l’ambasciatore Usa a Kiev ha espresso il suo desiderio che Tyahnybok si tenga per il momento “fuori dai giochi” ma che si consulti con il nuovo primo ministro ucraino sostenuto dagli Stati Uniti, Arseniy Yatsenyuk, “almeno quattro volte a settimana”. I legami delle amministrazioni americane con l’ultradestra ucraina, in funzione antirussa e antisovietica, erano da tempo noti. Ronald Reagan, per esempio, accolse personalmente alla Casa Bianca nel 1983 Yaroslav Stetsko, l’ucraino che sovrintese al massacro di 7.000 ebrei a Lvov, definendo “il suo sogno il nostro sogno”. E Lev Dobriansky, a capo dell’Ucca, divenne ambasciatore Usa alle Bahamas. Quei legami e quell’intreccio di interessi e solidarietà tra estrema destra ucraina e Stati Uniti, tipici degli anni della “guerra fredda”, sembrano tornare d’attualità oggi, in un periodocontraddistinto da un nuovo “raffreddamento” dei rapporti tra Mosca e Washington.
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