DOSSIER
EPIDEMIOLOGIA E PREVENZIONE
 











VALUTAZIONI DI IMPATTO SANITARIO, SORVEGLIANZA EPIDEMIOLOGICA E STUDI DI INTERVENTO NELLE AREE A RISCHIO.
Alla fine di agosto 2013 è stato approvato un provvedimento congiunto dei Ministeri di salute e ambiente che stabilisce i criteri metodologici utili per la redazione del rapporto di valutazione del danno sanitario (VDS). In presenza di uno «stabilimento [ritenuto - n.d.r.] di interesse strategico nazionale» tale documento dovrà essere predisposto annualmente dagli Enti interessati (ASL, ARPA). Il rapporto di valutazione deve informare dello stato di salute connesso a rischi attribuibili all’attività dello stabilimento in esame, fornire elementi di valutazione per il riesame dell’autorizzazione integrata ambientale per indirizzarla a soluzioni tecniche più efficaci nel ridurre i potenziali esiti sanitari indesiderati, valutare l’efficacia in ambito sanitario delle prescrizioni. Il decreto di definizione dei criteri di valutazione del dannosanitario era previsto dal Decreto n. 207/2012, varato per garantire la produzione dell’ILVA di Taranto e l’applicazione dell’Autorizzazione integrata ambientale.Le materie affrontate dal decreto sono di interesse rilevante per la sanità pubblica, il contenuto epidemiologico dei criteri proposti è elevato e le implicazioni per la prevenzione sono grandi. E’ pertanto necessario un approfondimento sui contenuti e sulle possibili conseguenze di tale decreto, iniziando dalla comunità degli epidemiologi. Il documento, del resto, si presenta al lettore in parte come un testo di suggerimenti procedurali generali, in parte come una scheda tecnica complessa con definizioni operative stringenti, talora di difficile comprensione per chi non è un esperto di risk assessment (RA). La discussione sui vari aspetti, dunque, potrà essere utile per la sua più consapevole e completa comprensione e applicazione.La procedura indicata è riferita ai siti industriali di interesse strategico, al momento soloTaranto, che nella maggior parte dei casi – da Taranto a Marghera, da Priolo a Piombino – sono anche siti di interesse nazionale per la bonifica. A causa di conclamate e verificate condizioni di contaminazione delle matrici ambientali, acqua e suolo, molti di questi siti sono stati studiati in profondità sia sul versante ambientale sia su quello della salute.1,2 E’ ovvio che il sito di Taranto rappresenta la priorità e al contempo il banco di prova per altre situazioni simili.Nel documento si sostiene che «valutazioni epidemiologiche e valutazioni del rischio sono tecniche basate su approcci teorici diversi. Ne consegue che la procedura di VDS assumerà una struttura matriciale composta da due direttrici indipendenti, finalizzate rispettivamente alla stima del danno attuale e futuro, articolate su più livelli commisurati alle diverse necessità delle valutazioni specifiche». Viene poi descritto il meccanismo valutativo, articolato su tre livelli in sequenza, che affida agli studiepidemiologici il compito delle valutazioni di stato passato e attuale, e al risk assessment il ruolo di motore della procedura definita di valutazione del danno potenziale, che potrebbe portare alla ridefinizione delle prescrizioni sull’impianto, anche mediante riapertura dell’AIA. Su questo meccanismo si aprono molti interrogativi, per esempio sulla separazione dell’epidemiologia e della valutazione di rischio su due direttrici indipendenti, ovvero sui meccanismi del motore del sistema rappresentato dal risk assessment.La sola analisi di questa prima parte ci pare alimenti almeno tre domande:Perché separare epidemiologia da valutazione del rischio? L’epidemiologia è disciplina per la misura del rischio mediante osservazione pianificata della realtà, così come il risk assessment è mirato a valutarlo avvalendosi di dati della tossicologia e dell’epidemiologia. La novità della VIS è appunto l’integrazione di queste componenti, inserite in un percorso condiviso con i portatori diinteressi.3,4La separazione tra la valutazione di cosa è successo fino adesso e la previsione di cosa può succedere in futuro, se può essere accettabile sul piano editoriale, non può esserlo su quello sostanziale, a meno di chiarire che deve essere la stessa équipe, necessariamente multidisciplinare, a essere coinvolta nelle due attività, con forte interazione di competenze. Perché concepire due procedure indipendenti senza prevedere le interazioni reciproche? Senza una buona epidemiologia non ci può essere un valido RA, e viceversa senza uno specifico RA (cioè attinente alla realtà in studio) sarà poi molto difficile la gestione del rischio. Infatti, l’epidemiologia ha un ruolo forte e fondamentale in tutte le quattro fasi del RA: nella valutazione del pericolo, nella definizione della relazione esposizione-risposta che può essere utilmente usata al pari della relazione dose-risposta di provenienza sperimentale, nella distribuzione dell’esposizione nella popolazione, nellacaratterizzazione del rischio, cioè nella stima di quale proporzione della popolazione esposta subirà l’effetto (rischio attribuibile tra gli esposti o frazione eziologica). In particolare, sulla valutazione dell’esposizione ci pare importante considerare che a fronte dell’approccio valutativo per singolo inquinante si sta facendo strada un approccio basato sulla misurazione della dose interna assorbita da più inquinanti, riassumibile nel concetto di esposoma,5 con numerosi progetti europei in corso di realizzazione o di attivazione (Exposome, Helix, HEALs).Ci si chiede perché non utilizzare lo strumento di valutazione integrata di impatto ambientale sulla salute (VIIAS) che sarebbe scientificamente adeguato, messo a punto sulla base dei risultati dei due progetti europei INTARESE e HEIMTSA.6 Se fino a pochi anni fa il rischio predittivo era affidato alla tossicologia, i nuovi approcci sviluppati recentemente nel solco della VIS, com’è appunto la VIIAS, sono in grado di valutare cosa equanto si può guadagnare in termini di risparmio di malattie e morti premature se si definiscono scenari alternativi di prevenzione primaria.Riteniamo che proprio tale approccio sia appropriato in aree ove i pericoli sono conosciuti, la popolazione esposta è stata definita, i rischi sono stati stimati. In altri termini, in siti dichiarati per legge da bonificare e nei quali sia stato compiuto un ciclo completo di studi, la strada non dovrebbe essere quella della valutazione post-hoc del danno, bensì o la valutazione ex-ante dell’impatto prevenibile adottando scenari di intervento diversi, oppure direttamente l’effettuazione di studi di intervento. In questa impostazione il risk assessment avrebbe rilevanza per la definizione degli scenari e per la pianificazione degli interventi.La seconda linea di procedura proposta nel decreto definita per la «valutazione del danno potenziale» assumerebbe maggiore interesse se evolvesse in una valutazione preventiva di impatto, prevedendo le fasi dicoinvolgimento dei portatori di interessi, dalla progettazione ai risultati, in primo luogo dei più esposti e suscettibili. La cadenza temporale almeno annuale prevista per la VDS potrebbe essere assorbita, almeno in parte, da un sistema di sorveglianza ambiente-salute adeguato, che è l’attività di sanità pubblica idonea per controllare nel tempo e nello spazio l’impatto positivo, neutro o negativo delle decisioni adottate, e che era già prevista nei documenti preparatori al decreto in oggetto.Entrando nello specifico del RA, riteniamo che due aspetti siano di particolare rilevanza nel testo del decreto: la valutazione individuale delle singole sostanze vincolata al superamento di valori di legge e l’uso delle funzioni di rischio derivanti dagli studi tossicologici (Hazard Quotient per le sostanze non cancerogene e Slope Factor per le sostanze cancerogene).Vediamo in dettaglio. La possibilità di esaminare l’impatto sanitario di una singola sostanza (di concentrazione C1) vienevincolata al superamento o meno dei valori di riferimento di legge (figura 1 del decreto). In altre parole, se sulla base dei dati ambientali disponibili la sostanza tossica in questione non supera i valori stabiliti per legge (o i valori stabiliti da WHO? Non si comprende nel testo), la valutazione non viene eseguita. Tale “censura” comporta ovviamente una sottostima del rischio sanitario, specie se riprodotta su più sostanze inquinanti. Infatti, da una parte i valori di riferimento per le sostanze tossiche sono in continua rivalutazione (si veda solo per esempio l’intera letteratura scientifica sugli effetti delle polveri che individua effetti sanitari per livelli ben al di sotto dei valori di legge), dall’altra l’esposizione di quote grandi di popolazione a livelli anche molto bassi può comportare effetti sanitari importanti, e, in aggiunta, gruppi più suscettibili possono essere vulnerabili a livelli anche molto inferiori alle soglie. Inoltre non possono essere trascurati glieffetti sinergici tra varie sostanze. Dunque, la “censura” significa ignorare tali possibili impatti.L’uso delle funzioni di rischio derivanti da studi tossicologici (Hazard Quotient e Slope Factor) segue le indicazioni tradizionali del risk assessement dell’EPA degli Stati Uniti. Tale approccio è stato recentemente criticato e superato da un documento del National Research Council.7 In sostanza, è stato auspicato, dove disponibile, l’uso di funzioni concentrazione-risposta per la stima dell’impatto sanitario che derivano dagli studi epidemiologici piuttosto che dagli studi tossicologici e sperimentali. Questo approccio è stato anche usato, per esempio, nel Global Burden of Disease della WHO8 per il calcolo della mortalità complessiva attribuibile all’inquinamento atmosferico (6% per ogni variazione di 10 ?g/m3 nel PM2.5). Viene utilizzato dall’EPA nella valutazione dell’impatto sanitario di fonti diffuse e puntuali dell’inquinamento atmosferico (BenMap)9 ed è in progressl’applicazione in Italia per una valutazione su scala nazionale (progetto CCM: Valutazione integrata impatto ambientale e sanitario dell’inquinamento atmosferico, VIIAS).10 L’approccio epidemiology-based vs. il toxicology-based risolve anche la contraddizione nella separazione degli effetti cancerogeni rispetto agli esiti non neoplastici. Infatti, nell’analisi dose-risposta tale separazione è artificiale, perché gli esiti non neoplastici possono verificarsi senza una soglia ed essere lineari anche per le basse concentrazioni. Allo stesso modo, l’impatto delle sostanze cancerogene varia e richiede un quadro analitico flessibile ma coerente con il quadro indicato per gli effetti non cancerogeni. La separazione non è quindi scientificamente giustificata e porta a risultati molto difformi nella valutazione di impatto.Tutto questo indirizza a evitare sperimentazioni di procedure di RA in situazioni di danno conclamato, dove la preoccupazione pubblica è alta e le conoscenze sono sufficientiper interventi necessariamente urgenti.Riassumendo, il meccanismo a due vie indipendenti proposto nell’allegato da una parte propone un pregevole sebbene laborioso uso dell’epidemiologia per valutazioni post-hoc, senza chiarire cosa accadrebbe in caso di esito negativo per la salute della popolazione, previsto con la frase «i danni alla salute della popolazione sono ragionevolmente attribuibili allo stabilimento». La filiera basata invece sul risk assessment può arrivare ad attribuire allo stabilimento «rischi che impongono la riapertura dell’AIA finalizzata all’ulteriore contenimento dei contaminanti che li originano». In questo caso, caratterizzato da un complesso susseguirsi di passaggi che porterebbero dalla fase 1 alla fase 3, ci domandiamo se sono stati fatti studi pilota o esercizi di fattibilità per capire se, come e in che tempi si può arrivare alla fine del percorso, cosa su cui nutriamo molti dubbi.In conclusione, occorre lavorare per un miglioramento dei contenutidell’allegato. In caso di un’applicazione nella presente versione, ci sentiamo di asserire che in molte situazioni le condizioni e conoscenze sono tali da poter entrare direttamente nella fase finale del percorso proposto, risparmiando tempi e risorse impiegabili subito per azioni preventive e studi collegati di intervento. E’ questo il caso specifico di Taranto, dove le conoscenze acquisite e le iniziative attivate da ARPA e ASL rendono realistica la messa in opera di un programma di sorveglianza di medio e lungo termine,11,12 e interventi urgenti per l’abbassamento dell’esposizione dei gruppi di popolazione a maggiore rischio. In questo caso, una rapida valutazione dell’impatto attuale e potenziale dell’inquinamento da polveri in termini di mortalità e morbosità è una facile guida per il monitoraggio del funzionamento dell’AIA e degli scenari di intervento futuri.BIBLIOGRAFIAPirastu R, Ancona C, Iavarone I, Mitis F, Zona A, Comba P; SENTIERI?Working Group. SENTIERI - Studioepidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento: valutazione della evidenza epidemiologica. Epidemiol Prev 2010;34 (5-6) Suppl 3:1-96.Pirastu R, Iavarone I, Pasetto R, Zona A, Comba P. SENTIERI - Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio dainquinamento: Risultati. Epidemiol Prev 2011; 35(5-6) Suppl 4:1-204.European Centre for Health Policy. Gothenburg Consensus paper. Brussels, WHO Regional Office for Europe, 1999.Kemm J (ed). Health Impact Assessment: Past Achievement, Cur- rent Understanding and Future Progress. Oxford, Oxford University Press, 2013.Wild CP. The exposome: from concept to utility. Int J Epidemiol 2012;41(1): 24-32.
Briggs DJ. A framework for integrated environmental health impact assessment of systemic risks. Environ Health 2008;7:61.National Research Council. Science and decisions: advancing risk assessment. The National Academies Press, 2008.Lim SS, Vos T, Flaxman AD et al. Acomparative risk assessment of burden of disease and injury attributable to 67 risk factors and risk factor clusters in 21 regions, 1990-2010: a systematic analysis for the Global Burden of Disease Study 2010. Lancet 2012; 380(9859):2224-60.www.epa.gov/air/ benmap/www.viias.itPaci E, Terracini B, Clementi ML. Cosa si deve fare a Taranto? Prevenzione, indagini esaustive, promozione della salute e niente medicalizzazione. Epidemiol Prev 2012;36 (6):298.Forastiere F, Biggeri A. Interventi di sanità pubblica a Taranto: la sorveglianza ambientale ed epidemiologica. Epidemiol Prev 2012;36(6):299-301.
Fonte: Epidemiol Prev 2013; 37 (6), Periodo: novembre-dicembre, pagine: 349-351-(...)
Partecipazione e metodo scientifico devono viaggiare insieme
L’epidemiologia scalza, quella fatta da lavoratori e cittadini, è sempre stata di casa sulle pagine di Epidemiologia&Prevenzione, e l’auto-organizzazione della difesa della salute e dell’ambiente è considerata unvalore.In questi anni in molte realtà italiane il patto di fiducia tra le istituzioni (tecniche e politiche) e la cittadinanza è venuto meno di conseguenza in situazione di crisi ambientale i cittadini cercano di capire da soli quanto accade loro intorno.
Per esempio a Firenze gli abitanti hanno installato una centralina di rilevazione dell’inquinamento atmosferico e pubblicano i dati sulla qualità dell’aria più velocemente dell’ARPA (a gennaio la centralina compirà un anno e ne sentiremo parlare); a Torino, nonostante l’impegno dell’Agenzia per la protezione ambientale, i cittadini raccolgono soldi fra i residenti per finanziare un biomonitoraggio ‘indipendente’ prima dell’avvio del nuovo inceneritore; a Sarroch (CA) la comunità locale ha costituito una bioteca pubblica dove si custodiscono campioni biologici dei cittadini per condurre ricerche finalizzate al controllo degli effetti sulla salute dell’inquinamento ambientale; a Taranto le associazioni ambientaliste fanno pressioneperché la ASL fornisca i dati dei codici di esenzione per controllare l’evolversi della diffusione dei casi di tumore senza aspettare i tempi lunghi dei Registri; nella cosiddetta terra dei fuochi la gente ha sentito l’esigenza di costruire via facebook un proprio ‘registro tumori’ fatto di foto e biografie. La proposta di ricerche epidemiologiche partecipate costituisce una tendenza in crescita, e non solo in Italia.
In Canada ci sono già esperienze di coinvolgimento istituzionalizzato delle comunità nella sorveglianza epidemiologica di alcuni fattori di rischio. Per quanto le statistiche continuino a ricordarci che un terzo degli italiani non è in grado di capire un testo scritto, il livello culturale del Paese è cresciuto, e Internet fa la differenza. In questa situazione, dopo aver ribadito il proprio saldo ancoraggio a un ideale di salute pubblica e la necessità del rigoroso rispetto per le regole del metodo scientifico, quello che E&P può e vuole fare è dare in positivoil proprio apporto per mostrare da un punto di vista tecnico che cosa può funzionare e cosa invece può essere fuorviante, quali possono essere i punti di forza e quali invece gli eventuali errori e le debolezze insiti nelle diverse proposte provenienti dal basso.In questo momento ci sembra utile esplicitare alcuni possibili problemi derivanti dalla recente richiesta di utilizzare a livello nazionale i codici esenzione ticket (048) come metodo per monitorare i trend dei tumori in zone a forte rischio ambientale.9 dicembre 2013Esenzioni ticket e approccio epidemiologicoNegli scorsi mesi l’associazione PeaceLink di Taranto ha raccolto dalle ASL i dati relativi alle persone che usufruiscono dell’esenzione dal pagamento del ticket sanitario per malattia tumorale (codice 048). Lo scopo, confrontare il numero di malati nei diversi rioni della città analizzandolo in funzione della distanza dall’ILVA.Una iniziativa simile è stata fatta propria dal Movimento 5 Stelle, che ha esteso la raccoltadati anche ad altre “patologie di probabile causa ambientale”.Lo scopo dichiarato: avere dati “istantanei” e studiarne l’evoluzione temporale come “primo passo per compiere ulteriori indagini più affinate da un punto di vista epidemiologico” (PeaceLink)Ma è davvero così? Ecco che cosa dicono gli epidemiologi.1. Come si giustifica l’iniziativa Cinque Stelle e di altre associazioni ambientaliste sull’uso delle “esenzioni ticket” come indicatore della frequenza di una certa malattia?La molteplicità delle esposizioni ambientali con un possibile effetto sulla salute preoccupa i cittadini e le comunità. Purtroppo, a fronte di tale preoccupazione, la risposta delle istituzioni sanitarie e ambientali è talvolta tardiva e inadeguata. Di fronte a tale debolezza delle istituzioni, il “fai da te” epidemiologico è una tentazione forte per rispondere a problemi che, volenti o nolenti, sono complessi e articolati.2. Perché il dato epidemiologico delle esenzioni ticket per patologia è distorto?Siprenda l’esempio di Taranto e dell’iniziativa di PeaceLink. L’associazione tarantina si è posta come obiettivo conoscere il numero di cittadini malati di tumore in un’area (per esempio, il rione Tamburi a Taranto) per paragonarlo a quello di altre aree (per esempio, quartieri di Taranto distanti dall’ILVA). Hanno pensato di farlo raccogliendo dalle ASL i dati sulle esenzioni dal pagamento del ticket sanitario per tumore (codice 048).In questo modo si pensa di costruire una mappa della malattia. Purtroppo, però, i dati raccolti con le esenzioni da sole non sono attendibili a questo scopo perché restituiscono un quadro non corrispondente alla realtà. Infatti possono fornire dati sottostimati (si conteggiano meno malati di quelli effettivi) perché:l’esenzione non è richiesta da tutti i pazienti con tumore. Infatti una serie di persone (quelle con un basso reddito familiare, chi ha la pensione sociale o la pensione al minimo, con più di 60 anni, e i relativi familiari a carico, idisoccupati registrati nei centri per l’impiego, i cittadini con invalidità civile, di guerra, del lavoro, con cecità, sordomutismo) sono già esenti dal pagamento del ticket. E’ ovvio che costoro non hanno motivo di chiedere l’esenzione per tumore, quindi non appaiono nel conteggio basato sul codice 048.In alcuni casi l’iter per l’ottenimento dell’esenzione 048 potrebbe non iniziare, o essere interrotto, perché il paziente muore prima della richiesta di esenzione. Risultato: si “perdono” dei casi di tumore.Risulta chiaro dunque che il confronto tra distretti è fortemente distorto dalla sottostima (diversa per ogni distretto) attribuibile alle persone che sono affette dalla patologia, ma che non si registrano per l’esenzione.Ma lo strumento del ticket può anche fornire dati sovrastimati (si conteggiano più malati di quelli effettivi), perché lo stesso codice di esenzione 048 Tumori è assegnato anche a pazienti con tumori benigni e a comportamento incerto, a tumori ormai in fase diremissione, o a pazienti che devono sostenere terapie sostitutive o di mantenimento. Ossia, persone che non si ammaleranno, che non si sa se si ammaleranno mai, che sono guarite o in via di guarigione.Queste considerazioni sono state fatte per semplicità per i tumori e il codice 048, ma valgono anche per altre malattie e relativi codici di esenzione.3. L’indicatore di esenzione per patologia può essere utilizzato per valutare l’andamento delle malattie nel corso del tempo (per dire se i tumori stanno aumentando in un territorio)?No. E per un motivo molto semplice: quando è stato introdotto il sistema dell’esenzione, nel 1999, non tutti i malati hanno richiesto subito l’esenzione, ma lo hanno fatto gradualmente, nel corso degli anni. Quindi è impossibile, andando a ritroso nel tempo, ricostruire l’andamento reale della diffusione della malattia basandosi su questo strumento.4. Le esenzioni per patologia riportano un dato di prevalenza, ma la prevalenza è un buon indicatore dellavelocità di comparsa delle malattie? No. Per avere questa informazione occorrono i dati di incidenza che indicano quanti NUOVI casi di cancro vengono diagnosticati in un anno, mentre la prevalenza non si riferisce ai nuovi casi, ma scatta una fotografia istantanea (in un momento preciso) e dice quante persone in una popolazione vivono dopo aver avuto una diagnosi di tumore nel corso della vita (che sia stato diagnosticato pochi mesi o molti anni prima fa lo stesso). Per capirci:i casi incidenti (cioè i nuovi casi di tumore) in un anno in Italia sono 366.000 (circa 1.000 al giorno, stime AIRTUM per il 2013) mentre i casi prevalenti (cioè le persone in vita che hanno avuto una diagnosi di tumore) oggi in Italia sono 2.800.000 (4,6 % della popolazione; circa una persona su 25)In effetti la prevalenza dipende dalla incidenza e dalla mortalità e quindi risente maggiormente del peso dei tumori con ottima sopravvivenza rispetto a quello dei tumori a elevata mortalità. E se si riesce a curaremeglio le persone con tumore, la loro sopravvivenza, e quindi la prevalenza, a parità di altre condizioni, aumenterà.Di solito, lo studio epidemiologico di incidenza e mortalità, corredato da adeguato controlli di qualità e dei fattori di distorsione, e non quello della prevalenza è l’approccio scientifico che fornisce informazioni utili per intraprendere ricerche sulla relazione tra una esposizione ambientale e una specifica malattia.5. Allora i dati sulle esenzioni sono sempre inutili per l’epidemiologia? I dati sulle esenzioni sono utili in molti casi e per molte malattie, ma solo se integrati in sistemi più complessi, in cui si tenga conto anche di altre informazioni sui cittadini assistiti dal SSN, come i ricoveri ospedalieri, le prescrizioni farmaceutiche, le prestazioni specialistiche. Solo questa osservazione “integrata” (che peraltro è già una realtà in molte regioni italiane) può dare informazioni utili dal punto di vista epidemiologico. Ed è proprio questo il metodo adottatodai Registri tumori, che da anni seguono (“registrano”) l’andamento delle malattie oncologiche in Italia basandosi sull’incrocio di più fonti di dati, tra cui l’anagrafe sanitaria, l’anagrafe comunale, i referti di anatomia patologica, le schede di dimissione ospedaliera, i rapporti con i medici di famiglia, i codici di esenzione (e altri ancora).6. Che cosa occorre fare per aumentare le conoscenze sullo stato di salute della popolazione in rapporto alle esposizioni ambientali?Occorre avviare studi epidemiologici sull’effetto delle esposizioni ambientali che partano da ipotesi di lavoro ben strutturate, che si fondino su dati affidabili di esposizione ambientale, che garantiscano la raccolta di dati accurati. Si tratta di un lavoro complesso, per svolgere il quale occorrono capacità tecniche specifiche e professionalità accreditate. In Italia esistono competenze istituzionali in grado di garantire dal punto di vista tecnico la completezza delle rilevazioni sanitarie, le analisidescrittive e analitiche, anche in rapporto alle esposizioni ambientali, e ovviamente, l’interpretazione dei risultati. La crescita, la formazione e lo sviluppo di tali capacità deve essere favorita e potenziata a livello nazionale, insieme alla capacità di dialogo e di relazione con i cittadini e le organizzazioni.
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Centrale a biomasse da 13 Mwe a Foggia-Invitalia ed Enterra - società a controllo francese attiva nel settore dell’energia - hanno firmato un contratto di sviluppo del valore complessivo di oltre 48 milioni di euro per realizzare a Foggia una centrale elettrica alimentata a biomasse in località Rignano Scalo, nell’area industriale dismessa denominata ’ex zuccherificio Eridania’. L’iniziativa consentirà di creare 130 nuovi posti di lavoro, tra assunzioni dirette e operatori dell’indotto.









   
 



 
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