Ue-Russia. Il ruggito del topo
 











Come un sol uomo, G7 a parte, l’Unione europea ha scelto il suicidio economico nel nome dell’acquiescenza alle politiche di dominio atlantiche riversate sull’Ucraina.
Lunedì 10 marzo la Commissione europea – il governo degli eurocrati non eletti dai cittadini dell’Unione – ha roboantemente dichiarato il rinvio a data da destinarsi dell’accordo con la russa Gazprom per maggiori forniture di gas naturale all’Europa occidentale attraverso le condotte Opal che giungono in Germania attraverso il Mar Baltico (North Stream) e il “commissario” all’energia Ue Guenther Oettinger ha aggiunto l’annuncio di un parallelo rinvio dei negoziati con Mosca sulle modalità di fornitura di gas all’Europa centromeridionale attraverso le condotte (South Stream) che entro l’anno prossimo avrebbero rifornito i Balcani, l’Austria e l’Italia passando attraverso il Mar Nero.
Tale atteggiamento suicida (va bene che questo è stato un inverno anomalo, poco freddo, ma ciò non toglie che peresempio l’Italia assorbe dalla Russia il 30% delle proprie necessità energetiche, soprattutto per uso industriale) è stato determinato dall’ipocrita appiattimento di Bruxelles e degli Stati-colonia atlantici ai desiderata di Londra e Washington, che ritengono essenziale sequestrare tutta l’Ucraina omologandola a Stato-cuscinetto occidentale.
Un’ipocrisia, quella degli “unionisti europei” di doppia fattura. Sia perché è evidente che si tratta di prese di posizione assai simboliche (gli Stati interessati non potranno semplicemente fare a meno delle forniture energetiche russe…) e sia perché, qualunque cosa blaterino le diplomazie occidentali e i burocrati europei, anche i sassi sanno bene che le parti meridionali e orientali dell’attuale federazione ucraina sono abitate da cittadini russi, e che la Crimea è russa dai tempi di Caterina la Grande (nonostante la guerra scatenata nel 1853 da ottomani, inglesi, francesi  e ruota di scorta piemontese per contenere l’imperozarista).
A prescindere dai dati di fatto che la stessa Germania ha più volte richiesto alla Gazprom russa di fornire una più alta quota di energia (la capacità della condotta Opal è di 36 miliardi di metri cubi l’anno) e che non accetterà la sospensione sine die dei negoziati con la Russia, come pure questo sarà il caso delle nazioni balcaniche e meridionali interessate, Bulgaria in primis e Italia di contorno, nonché dalla nota impossibilità Usa di garantire (in ogni caso a prezzi molto più alti) le forniture di gas necessarie all’Europa, è comunque evidente che Bruxelles non ha nessuna carta in regola per continuare a dichiarare “illegale” il referendum che domenica sancirà la secessione della Crimea dalla federazione ucraina e che lo scontato risultato “non sarà riconosciuto”.
I soloni di Bruxelles e le diplomazie coloniali dell’Europa occidentalizzata dichiarano infatti che “La Costituzione dell’Ucraina non prevede la secessione”…
Perché? Forse quella della ex Jugoslavia,vent’anni fa, la prevedeva? No. Ma l’Ue, allora, non perse tempo a riconoscere l’indipendenza di Slovenia, Croazia, Bosnia anche se violava la costituzione jugoslava. E, anzi, aggiungiamo pure il vergognoso caso del Kosovo. Guerre d’aggressione alla Serbia partecipate dall’Occidente, dal suo braccio armato e benedette ex post dalle Nazioni Unite.
E, comunque sia, Kiev non ha un governo legittimo. La defenestrazione del presidente eletto – criticabile e criticato quanto si voglia - è stata un golpe, tanto più perché avvenuta poche ore dopo la firma di una “riconciliazione nazionale” garantita personalmente dai ministri degli Esteri di Berlino, Varsavia e Parigi.
Questa è la verità. Una verità scomoda rimossa da Bruxelles perché non “consona” al destino di un’Europa scendiletto degli angloamericani. Lorenzo Moore
Alla vigilia del 16 marzo – giorno del referendum che sancirà il distacco della Repubblica di Crimea dalla federazione ucraina – la Russia ha deciso di ampliare lemanovre militari già in atto nella regione di Rostov (esercitazioni di aerei di trasporto truppe, paracadutisti e veicoli cingolati) con 4500 unità, con il dispiegamento di ulteriori 8500 militari nel distretto meridionale.
L’annuncio del ministero della Difesa esplicita il coinvolgimento, nelle manovre tattiche, di un ampio spettro di artiglierie (dai lanciamissili Grad-M, agli Uragan, agli Smersh, ai Nona e ai Rapira antitank) e mezzi corazzati.
Peraltro, sul piano più strettamente politico, la crisi determinata dall’annuncio Ue di imposizione, dal 17 marzo, di sanzioni alla Russia nel caso di una dichiarazione di indipendenza della Crimea, ha condotto il Cremlino ad annunciare eventuali gravi contromisure di embargo economico ai danni dei Paesi legati commercialmente alle forniture russe e a tutto il comparto ex import con Ue e Usa.
Il viceministro russo per lo Sviluppo Economico, Aleksei Likhaciov, ha promesso “sanzioni similari” a quelle eventualmente decisedall’Occidente.
In particolare Mosca ha pianificato, come contromossa, un immediato rifiuto del dollaro nelle contrattazioni commerciali di “petrolio, gas energia e altro” con un cambio regolamentato nelle rispettive valute nazionali, in particolare con quei Paesi come “Cina, India, Turchia e altri per i quali non si vede il perché le transazioni debbano essere concluse adottando la valuta Usa”. Così il ministro alla Sviluppo Economico di Mosca Aleksei Ulyukaiev.
La guerra commerciale in fieri “ a difesa della nostra sovranità dalle minacce” – secondo quanto sta in queste ore legiferando la Duma, il parlamento russo – potrà prevedere il congelamento degli assets delle compagnie occidentali e gli stessi, depositi, visti e permessi di soggiorno degli individui: esattamente quanto gli europei occidentali hanno minacciato di attuare contro la Russia lunedì scorso.
La decisione russa è la diretta risposta alla “risoluzione” del Congresso Usa che martedì invitava  Washinghton“a lavorare con i nostri alleati europei per imporre sanzioni sui permessi di ingresso, e sulle transazioni finanziarie o commerciali dei dirigenti russi di compagnie commerciali o banche, o agenzie pubbliche”.
La stessa Cina popolare, per voce dell’ambasciatore a Berlino Shi Mingde, ha lanciato un allarme sulle possibili devastanti conseguenze di sanzioni alla Russia sull’intera economia mondiale.
Ma l’Occidente, tetragono, sembra voler procedere ad aumentare in ogni modo la tensione internazionale. Straparla e minaccia – come il polacco Tusk – ma con la vista che non sembra andare oltre il suo naso.
La Russia – qui nessuno se ne accorge più, in Occidente – non accetta accuse e indebite reazioni, e non scherza affatto. Come un sol uomo, G7 a parte, l’Unione europea ha scelto il suicidio economico nel nome dell’acquiescenza alle politiche di dominio atlantiche riversate sull’Ucraina.
Lunedì 10 marzo la Commissione europea – il governo degli eurocrati non eletti daicittadini dell’Unione – ha roboantemente dichiarato il rinvio a data da destinarsi dell’accordo con la russa Gazprom per maggiori forniture di gas naturale all’Europa occidentale attraverso le condotte Opal che giungono in Germania attraverso il Mar Baltico (North Stream) e il “commissario” all’energia Ue Guenther Oettinger ha aggiunto l’annuncio di un parallelo rinvio dei negoziati con Mosca sulle modalità di fornitura di gas all’Europa centromeridionale attraverso le condotte (South Stream) che entro l’anno prossimo avrebbero rifornito i Balcani, l’Austria e l’Italia passando attraverso il Mar Nero.
Tale atteggiamento suicida (va bene che questo è stato un inverno anomalo, poco freddo, ma ciò non toglie che per esempio l’Italia assorbe dalla Russia il 30% delle proprie necessità energetiche, soprattutto per uso industriale) è stato determinato dall’ipocrita appiattimento di Bruxelles e degli Stati-colonia atlantici ai desiderata di Londra e Washington, che ritengono essenzialesequestrare tutta l’Ucraina omologandola a Stato-cuscinetto occidentale.
Un’ipocrisia, quella degli “unionisti europei” di doppia fattura. Sia perché è evidente che si tratta di prese di posizione assai simboliche (gli Stati interessati non potranno semplicemente fare a meno delle forniture energetiche russe…) e sia perché, qualunque cosa blaterino le diplomazie occidentali e i burocrati europei, anche i sassi sanno bene che le parti meridionali e orientali dell’attuale federazione ucraina sono abitate da cittadini russi, e che la Crimea è russa dai tempi di Caterina la Grande (nonostante la guerra scatenata nel 1853 da ottomani, inglesi, francesi  e ruota di scorta piemontese per contenere l’impero zarista).
A prescindere dai dati di fatto che la stessa Germania ha più volte richiesto alla Gazprom russa di fornire una più alta quota di energia (la capacità della condotta Opal è di 36 miliardi di metri cubi l’anno) e che non accetterà la sospensione sine die dei negoziaticon la Russia, come pure questo sarà il caso delle nazioni balcaniche e meridionali interessate, Bulgaria in primis e Italia di contorno, nonché dalla nota impossibilità Usa di garantire (in ogni caso a prezzi molto più alti) le forniture di gas necessarie all’Europa, è comunque evidente che Bruxelles non ha nessuna carta in regola per continuare a dichiarare “illegale” il referendum che domenica sancirà la secessione della Crimea dalla federazione ucraina e che lo scontato risultato “non sarà riconosciuto”.
I soloni di Bruxelles e le diplomazie coloniali dell’Europa occidentalizzata dichiarano infatti che “La Costituzione dell’Ucraina non prevede la secessione”…
Perché? Forse quella della ex Jugoslavia, vent’anni fa, la prevedeva? No. Ma l’Ue, allora, non perse tempo a riconoscere l’indipendenza di Slovenia, Croazia, Bosnia anche se violava la costituzione jugoslava. E, anzi, aggiungiamo pure il vergognoso caso del Kosovo. Guerre d’aggressione alla Serbia partecipatedall’Occidente, dal suo braccio armato e benedette ex post dalle Nazioni Unite.
E, comunque sia, Kiev non ha un governo legittimo. La defenestrazione del presidente eletto – criticabile e criticato quanto si voglia - è stata un golpe, tanto più perché avvenuta poche ore dopo la firma di una “riconciliazione nazionale” garantita personalmente dai ministri degli Esteri di Berlino, Varsavia e Parigi.
Questa è la verità. Una verità scomoda rimossa da Bruxelles perché non “consona” al destino di un’Europa scendiletto degli angloamericani. Lorenzo Moore
Alla vigilia del 16 marzo – giorno del referendum che sancirà il distacco della Repubblica di Crimea dalla federazione ucraina – la Russia ha deciso di ampliare le manovre militari già in atto nella regione di Rostov (esercitazioni di aerei di trasporto truppe, paracadutisti e veicoli cingolati) con 4500 unità, con il dispiegamento di ulteriori 8500 militari nel distretto meridionale.
L’annuncio del ministero della Difesaesplicita il coinvolgimento, nelle manovre tattiche, di un ampio spettro di artiglierie (dai lanciamissili Grad-M, agli Uragan, agli Smersh, ai Nona e ai Rapira antitank) e mezzi corazzati.
Peraltro, sul piano più strettamente politico, la crisi determinata dall’annuncio Ue di imposizione, dal 17 marzo, di sanzioni alla Russia nel caso di una dichiarazione di indipendenza della Crimea, ha condotto il Cremlino ad annunciare eventuali gravi contromisure di embargo economico ai danni dei Paesi legati commercialmente alle forniture russe e a tutto il comparto ex import con Ue e Usa.
Il viceministro russo per lo Sviluppo Economico, Aleksei Likhaciov, ha promesso “sanzioni similari” a quelle eventualmente decise dall’Occidente.
In particolare Mosca ha pianificato, come contromossa, un immediato rifiuto del dollaro nelle contrattazioni commerciali di “petrolio, gas energia e altro” con un cambio regolamentato nelle rispettive valute nazionali, in particolare con quei Paesi come“Cina, India, Turchia e altri per i quali non si vede il perché le transazioni debbano essere concluse adottando la valuta Usa”. Così il ministro alla Sviluppo Economico di Mosca Aleksei Ulyukaiev.
La guerra commerciale in fieri “ a difesa della nostra sovranità dalle minacce” – secondo quanto sta in queste ore legiferando la Duma, il parlamento russo – potrà prevedere il congelamento degli assets delle compagnie occidentali e gli stessi, depositi, visti e permessi di soggiorno degli individui: esattamente quanto gli europei occidentali hanno minacciato di attuare contro la Russia lunedì scorso.
La decisione russa è la diretta risposta alla “risoluzione” del Congresso Usa che martedì invitava  Washinghton “a lavorare con i nostri alleati europei per imporre sanzioni sui permessi di ingresso, e sulle transazioni finanziarie o commerciali dei dirigenti russi di compagnie commerciali o banche, o agenzie pubbliche”.
La stessa Cina popolare, per voce dell’ambasciatore aBerlino Shi Mingde, ha lanciato un allarme sulle possibili devastanti conseguenze di sanzioni alla Russia sull’intera economia mondiale.
Ma l’Occidente, tetragono, sembra voler procedere ad aumentare in ogni modo la tensione internazionale. Straparla e minaccia – come il polacco Tusk – ma con la vista che non sembra andare oltre il suo naso.
La Russia – qui nessuno se ne accorge più, in Occidente – non accetta accuse e indebite reazioni, e non scherza affatto.Lorenzo Moore









   
 



 
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