“Yankee go home!”: lo slogan della dissidenza
 











Per definizione, un impero è un’organizzazione politico-territoriale di consistente ampiezza, retta da un sovrano che, di solito, ha il titolo di imperatore. Possiamo trovare molti esempi di questo genere nel corso della storia, da quello romano a quello coloniale inglese, ma di certo, nessuno può essere paragonabile per estensione, a quello statunitense odierno. Certo, ufficialmente non esiste alcun “impero americano”, ma praticamente è evidente come il mondo sia invaso dal made in the Usa e come venga plasmato, sempre maggiormente, a sua immagine e somiglianza. Quello portato avanti dalla Casa Bianca è un imperialismo culturale, economico e sociale, alimentato dalla propaganda ingannevole del politically correct ed intenzionato a rendere il mondo una grande merce. È l’impero mondiale del neoliberismo, che ha il mercato come suo imperatore ed una schiera di marchi multinazionali come suoi soldati. Questi, mediante il dogma del consumo,particolarmente esaltato in Occidente, sono capaci di controllare ed omologare tutto: dal cibo, ai vestiti, alle persone stesse. Per dirla alla Noam Chomsky: “Una multinazionale è più vicina al totalitarismo di qualunque altra istituzione umana”.
L’ideologia del neoliberismo è, di fatto, un’anti-ideologia. Questo tipo di impero, da un lato non porta avanti idee, ma solamente cose, dall’altro non permette a nessuna idea di interferire con i suoi piani. Chiunque ci provi viene condannato come “terrorista”, nemico della libertà e della democrazia. È stata questa la tattica che ha permesso numerosissimi colpi di Stato dagli anni ’50 ad oggi. Ma, proprio perché, è ormai evidente che nella politica americana non ci sono in ballo valori morali ma interessi materiali, questa retorica inizia a vacillare. Il Venezuela, la Siria e la Crimea ne sono un esempio lampante. Al contrario di quello che i mass media vogliono far credere, l’ormai defunto Chavez, al-Assad e lo stesso Putin, non sonovisti, almeno non da tutti, come “dittatori”, ma come baluardi dell’autodeterminazione dei popoli, in opposizione all’imperialismo globale statunitense. La difesa della differenza contro la volontà di rendere uguali, la ricerca di equilibrio interno in opposizione alla necessità di espansione esterna, la centralità della politica rispetto all’economia e non il contrario: queste sono le due visioni del mondo, caratterizzanti del nostro secolo, che si contrappongo quotidianamente.
Eclatante, in questo senso, appare la decisione del McDonald’s, principale simbolo del fenomeno di americanizzazione, di abbandonare la Crimea per problemi “tecnici”, offrendo lavoro ai suoi dipendenti, non a caso, in Ucraina. Come è noto, da poco la penisola posta sulla costa settentrionale del Mar Nero, ha deciso volontariamente di annettersi alla Russia. Questa decisione, che ha scatenato l’ira di Washington, è stata giudicata da Obama come “una chiara violazione del diritto internazionale”. Il presidenteamericano, dimenticandosi delle sue ben peggiori azioni e di quelle dei suoi predecessori, ha così enfatizzato il braccio di ferro con la Russia. In questo scenario, la scelta della catena più grande di fast food al mondo, potrebbe generare un boicottaggio radicale in tutti i paesi non allineati con gli Stati Uniti, peraltro già invocato dal leader nazionalista russo Vladimir Zhirinovsky, non solo contro di essa, ma anche contro altre multinazionali statunitensi. Del resto, non sarebbe nemmeno la prima volta. Già in Bolivia, nel 2012, sia il McDonald’s che la Coca-Cola dovettero chiudere i battenti, per una questione non solamente politica, ma soprattutto culturale, affermando: “non siamo riusciti ad imporre il nostro marchio tra le abitudini alimentari del popolo boliviano”. Anche la politica di nazionalizzazione di Hugo Chavez in Venezuela, riassunta nello slogan “terre libere: uomini e donne libere”, ha rappresentato un esempio di resistenza alle politiche occidentali, sempre menocuranti delle necessità della Terra e della salute dei cittadini.
Grazie al “sogno americano” il modello statunitense è riuscito ad affermarsi in tutto l’occidente ed a giustificare decenni di soprusi internazionali. Ha imposto il suo sistema, capitalista di stampo neoliberista, promuovendo le logiche del mercato come le uniche possibili. Adesso, però, “lady Usa” ha di fronte a sé una schiera sempre più folta di Stati, intenzionati a mostrare come il “sogno”, in realtà, fosse un “incubo”, ed impegnati a far passare tante nottate insonni a tutta la Casa Bianca. Conseguenzialmente, per tanti marchi multinazionali, dopo un’espansione planetaria che non sembrava aver limiti, potrebbe essere arrivato il tempo di una ritirata forzata, dettata dall’orgoglio, dall’etica e dalla cultura dei popoli precedentemente conquistati. La speranza, anche per i molti Europei dissidenti, è quella di poter assistere al più presto alla decadenza della società dell’apparenza e del consumo, molto distantedai valori classici di virtù e giustizia del Vecchio Continente. Bisogna solamente decidere da che parte stare. E chissà, magari la prossima volta, anche in Italia, Obama non sarà accolto con i tappeti rossi, ma dal coro unanime: yankee go home! Lorenzo Pennacchi









   
 



 
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