Fiscal Compact, pasticcio dei partiti. L’organismo di vigilanza resta un fantasma
 











Dopo una serie di fumate nere, domani potremmo avere i primi nomi in corsa per guidare la “Troika italiana”, l’organismo parlamentare indipendente incaricato di vigilare sul pareggio di bilancio introdotto in Costituzione in ossequio al Fiscal compact, il patto finanziario europeo sui conti pubblici. Ma il condizionale è d’obbligo, perché la speciale commissione doveva in realtà essere operativa da gennaio. Quattro mesi però non sono bastati alle commissioni Bilancio dei due rami del Parlamento per trovare la quadra sui candidati giusti e tutta la partita è rimasta imballata tra veti incrociati dei partiti e procedure del Palazzo. Un pasticcio che sarebbe tutto da ridere, se non ci facesse fare anche l’ennesima figuraccia in Europa: l’Italia, dove tutti si affannano a chiedere la revisione del “patto”, non è neppure in grado di esprimere tre nomi di garanzia perché venga rispettato.
Domani però, sostiene il presidente della Commissione al SenatoAntonio Azzollini, si voterà la prima rosa di 10 nomi che sarà poi trasmessa ai presidenti Boldrini e Grasso che, a loro volta, dovranno eleggere il triumvirato cui affidare il compito, delicatissimo, di fare da cane da guardia alle scelte economiche del governo: in caso di scostamenti dagli obiettivi fissati, i tre potranno costringerlo ad avviare la procedura di correzione, con la spada di Damocle delle pesanti sanzioni europee in caso di inottemperanza. Si capisce allora, visti il peso e la delicatezza dell’incarico, la difficoltà di tirar fuori dei nomi condivisi dai partiti. E infatti, se dopo quattro mesi l’organismo non solo non lavora ma non esiste affatto, è perché il Parlamento ci ha messo del suo.
Anche l’ultima occasione buona, il 10 aprile scorso, è finita con una fumata nera delle commissioni. Niente da fare. La procedura di selezione è andata a sbattere contro le procedure che pretendono una designazione a maggioranza qualificata dei due terzi in entrambe lecommissioni, ovviamente sugli stessi nomi. Implicita la necessità di raggiungere quindi un accordo tra i partiti, cosa possibile alla Camera, grazie a un blocco di maggioranza allineato al governo, improbabile invece al Senato, dove i 27 membri della commissione sono frazionati e quindi capaci di neutralizzarsi a vicenda. Toccherà poi spiegare a Bruxelles che l’authority ancora non c’è ancora perché è stato impossibile mettere d’accordo 9 senatori del Pd con 4 di Forza Italia, 3 di Ncd, 2 della Lega, un autonomista, un vendoliano, un montiano, uno di “Per l’Italia” e un esponente del gruppo Gal.
Ma c’è anche un altro problema, i candidati. La procedura indicata prevedeva che le commissioni vagliassero preliminarmente una rosa di curriculum qualificati. All’incirca 100 i nomi pervenuti da cui estrapolarne 65 prima, poi 10, fino al podio dei magnifici tre. Il recruiting affidato alla politica riserva presto sorprese. Forse i criteri non erano così stringenti, oppure i candidati eranotroppo convinti di sé e degli appoggi di cui potevano godere nel Palazzo. Fatto sta che la pila di cv da selezionare alla fine contiene una serie di incompatibilità di vario tipo, che non riescono ad andare giù a Roma, figurarsi a Bruxelles, dove sarebbero intercettate al volo e rischierebbero di creare ulteriore imbarazzo nella delicata partita sul Fiscal Compact.
L’assenza di un limite d’età, ad esempio, ha fatto sì che nella rosa finissero personaggi autorevolissimi ma non proprio di primo pelo. Ad esempio Maria Teresa Salvemini Ristuccia, professore ordinario di Politica a La Sapienza dal lontano 1975 che per anni ha ricoperto incarichi nel settore pubblico e da consigliere economico del Ministero del Tesoro. Tanti anni, visto che ha compiuto i 77 come altri quattro candidati (Umberto Bettini, Guido Rey, Paolo Savona, Luigi Marzullo).
Altro problema, l’inglese. Per un incarico del genere è il minimo sindacale. Ma tra i cv buoni è saltato quello di Mario Canzo, ex ragionieredello Stato, penalizzato proprio alla scarsa conoscenza della lingua che dovrà incorniciare numeri, rapporti e documenti di bilancio. Da ultimo, molto scivoloso si rivela il concetto di “indipendenza”. Rimesso ai politici, non si capisce più rispetto a chi e a cosa. Di fatto, viene scartato il direttore generale delle analisi economiche del Tesoro, Lorenzo Codogno, perché siede anche sua una poltrona del cda di Enel. Incompatibilità tecnica, dunque.
Ma tra i 65 in lizza è pieno di economisti prestati alla politica o che da tempo vanno a braccetto coi partiti. Esempi. L’ex viceministro ed ex senatore Mario Baldassarri, funzionari parlamentari con incarichi di governo come l’inossidabile Gianfranco Polillo che nel ministero di via XX Settembre ha bazzicato 20 anni ed è assurto a notorietà per le gaffe da sottosegretario del governo Monti (memorabile quella sugli esodati che fece infuriare la Fornero). Nell’elenco anche personalità più schive ma non meno legate ai partiti, come PietroGiorgio Gawronski, candidato nel 2007 alle primarie del Pd. Top secret, per ora, la rosa dei 10 che sarà (forse) disponibile da domani. Ma l’ulteriore selezione tra i finalisti è ancora tutta da giocare.Thomas Mackinson-15 aprile 2014









   
 



 
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