Povero Eni. L’ente chiamato a gestire ed inventare il fabbisogno energetico dell’Italia (dalla fascista Agip all’era Mattei) con illuminate partecipazioni alle politiche di sviluppo delle nazioni produttrici di energia, diventato poi un feudo del regime dei partiti di centrosinistra durante la così definita “prima repubblica”,svenduto di fatto dalla banda dei Quattro (Amato, Prodi, Ciampi, Draghi) grazie agli advisors Rothschild a “investitori” Usa (i “fondi”) che ora reclamano il suo spezzatino e l’abbandono della golden share, è stato ora graziosamente offerto alle cure della presidente Emma Marcegaglia. E cioè della signora-imprenditrice che già ai tempi della sua guida della Confindustria sollecitava ulteriori privatizzazioni, liberalizzazioni, delocalizzazioni nel nome del noto e nefasto “libero mercato” che uccide il lavoro nazionale. La scelta della Marcegaglia alla presidenza dell’Eni – soltanto in parte per così dire mitigata dalla promozione adAmministratore delegato di Claudio Descalzi, comunque soggetto alle turbative degli azionisti privati stranieri dell’ex “ente pubblico” – è sintomatica. Non si tratta affatto di un’operazione di maquillage a beneficio delle “pari opportunità” (così è stata sbandierata la tripla presidenza femminile Marcegaglia-Eni, Todini-Enel e Grieco-Poste), ma di una precisa scelta di scomponimento e ulteriore svendita della più grande compagnia multinazionale italiana, già fiore all’occhiello delle partecipazioni statali. La scelta della Marcegaglia all’Eni è un atto di subordinazione e genuflessione di Renzi agli angloamericani. Non a caso di politica energetica “europea” (e cioè, appunto, da offrire in monopolio a Washington e Londra) Renzi ha parlato sia con David Cameron che con Barack Obama. Quest’ultimo ha offerto – e Renzi ha supinamente accettato – forniture futuristiche di shale gas (gas da scisto), e ha incassato la promessa italiana di ridurre la propria dipendenza dalle forniture diPutin. Un ordine transatlantico che è costato la poltrona a Paolo Scaroni, al di là dei buoni risultati ottenuti nella sua gestione. E non a caso la nomina della imprenditrice è giunta, sulle scrivanie dei media, con l’annuncio di una ulteriore serrata dell’azienda di famiglia che, dopo aver licenziato in blocco i lavoratori dell’impianto di pannelli fotovoltaici di Taranto, ha, in queste ore, rivolto un aut-aut ai 169 lavoratori della Marcegaglia Buildtech di Milano: o trasferiti, con gli stessi stipendi, ad Alessandria, o da “esodare” dalla fabbrica del “Bicocca Village” meneghino. Ultimo problemino – ma Renzi non si scomporrà certo. Nel 2008 il fratello della Emma, Antonio Marcegaglia, amministratore delegato dell’azienda di famiglia, patteggiò 11 mesi per una tangente di oltre 1 milione e 150 mila euro data a un dirigente di Enipower. Era un’appalto che la Marcegaglia non poteva non afferrare… r.e.
|