L’insofferenza per il dirigismo ottuso, per l’omologazione delle proposte e delle scelte, per il bere o affogare assurto a sistema, per la logica del male minore, per il servilismo sciocco del novantenne e del suo erede quarantenne è forse il tratto comune che contraddistingue quanti in questo sfortunato Paese non si rassegnano ad accettare le disgraziate norme scritte, votate e propagandate per il bene dello Stato, per il benessere del popolo, per l’ipocrita retorica del “futuro dei nostri figli”. Una insofferenza che da oltre due decenni si acuisce in occasione di ogni riforma, prima, e consultazione popolare, dopo, conformate nell’offerta e negli esiti a logiche maggioritarie, liste bloccate, cerchi magici, soglie di sbarramento e che negli ultimi tre anni è esplosa con una prassi di governo rivoltante, il cui attuale binomio edilizio Quirinale-Chigi rappresenta il punto più acuto di allergia democratica. Poste queste premesse, la recentenotizia che il Tribunale di Venezia, accogliendo un ricorso, ha rinviato alla Corte costituzionale il meccanismo di voto per le imminenti elezioni europee del 25 maggio, è uno di quei sassi nello stagno dell’ignavia, dell’indifferenza in grado di scuotere quella parte di popolazione non ancora cerebralmente atrofizzata e quindi degna di possedere un certificato elettorale. Oggetto del ricorso alla Consulta non è stato lo sbarramento al 4% – soglia al di sotto della quale le formazioni partecipanti non possono accedere al riparto dei 73 seggi spettanti all’Italia – in quanto tale, ma il fatto che tale limite sia privo di quella giustificazione politico-istituzionale costituita dalla retorica della governabilità, moloch al quale da decenni si sono sacrificati segmenti consistenti di popolazione non ritenuti degni di rappresentanza in quanto non disposti a piegarsi alla citata logica del male minore, del naso turato e del voto utile. La previsione di sbarramento percentuale al votoeuropeo, introdotta nel 2009, è totalmente ingiustificata poiché non esiste tra Parlamento e Commissione un rapporto fiduciario tale da dover o poter facilitare la governabilità attraverso il sacrificio delle forze minori. Lo sbarramento, inoltre, viola il principio di uguaglianza del voto previsto dall’art. 48 della Costituzione. Alla piacevole sorpresa per un atto giuridicamente e politicamente condivisibile, chi scrive aggiunge una personale, grande soddisfazione: in assoluta solitudine, queste considerazioni socio-politiche e giuridico-costituzionali furono affrontate, analiticamente sviluppate ed esposte con lucidità nell’articolo dal titolo “In Italia e in Europa la politica non tollera le minoranze. Previsti assurdi sbarramenti anche alle elezioni europee del 25 maggio” pubblicato su “Rinascita” lo scorso 10 febbraio 2014. Vederle assurgere al rango di dibattito parlamentare – con le belle esponenti del Partito democratico schierate ovviamente contro un ricorso che puòmettere politicamente a repentaglio le loro preziose terga – e di giudizio costituzionale, per iniziativa di un tribunale della Repubblica con i medesimi percorsi argomentativi sostenuti su questa testata, è motivo di compiacimento ed intima gratificazione. Resta da vedere, tuttavia, se i giudici costituzionali si uniformeranno, pur con inappuntabili motivazioni giurisprudenziali, al vento omologante che spira tra i menzionati palazzi romani, oppure si adegueranno all’analogo pronunciamento del giudice di pari grado tedesco che a fine febbraio ha dichiarato incostituzionale una soglia di sbarramento al 3% poiché non giustificata da alcuna esigenza di governabilità. Stefano De Rosa
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