Rifiuti, tra i pellami interrati in Salento il nome del calzaturificio: due indagati
 











C’è la firma di una grossa industria salentina del calzaturiero tra i rifiuti interrati scoperti dai carabinieri del Noe a Patù, poco distante dal Capo di Leuca. Nome e logo della ditta che negli anni Novanta produceva ed esportava scarpe in tutta Italia e che già in passato era finita sotto la lente degli investigatori per la gestione quantomeno "allegra" dei rifiuti speciali. Su quel calzaturificio si concentra ora l’attenzione degli uomini del maggiore Nicola Candido, che hanno ricominciato a scavare in località Pozzo Volito, laddove alcune settimane fa avevano già portato alla luce diverse tonnellate di materiali velenosi. Anche questa volta le ruspe hanno tirato fuori da un terreno privato cascami di pellame, plastiche, gomme e grossi quantitativi di colla, gettati alla rinfusa sulla terra nuda e poi ricoperti di altra terra.
Rifiuti che nel canalone che conduce al mare, in uno degli angoli più suggestivi del Capo, proprio non ci dovevanostare. E che sicuramente in quel posto non ci sono arrivati per caso. Stabilire, grazie a sofisticate analisi dei materiali, il periodo in cui sono stati seppelliti sarà un passo importante per le indagini, che consentirà anche di escludere eventuali responsabilità penali dell’attuale proprietario, che quel terreno lo ha comprato solo pochi anni fa. Gli interramenti invece, risalgono indietro nel tempo. Al periodo in cui la produzione calzaturiera in provincia di Lecce era fiorente e le industrie lucravano su tutto.
Le indagini, effettuato dagli stessi militari del Noe tre anni fa, del resto, avevano già evidenziato l’esistenza di un meccanismo non cristallino di smaltimento degli scarti della lavorazione in molte grosse aziende del Salento. Il confronto tra le quantità prodotte e i rifiuti regolarmente smaltiti aveva chiaramente mostrato una gestione irregolare, portata poi all’attenzione della Prefettura, a cui spetta sanzionare i comportamenti illeciti in tema di rifiuti. Oggiquelle irregolarità tornano a galla e si intrecciano con i ritrovamenti effettuati a Patù, dal momento che tra le fabbriche all’epoca visitate dagli investigatori c’era anche quella di cui è riportato il nome sul nastro adesivo trovato sotto terra.
Due sono le persone iscritte nel registro degli indagati dal sostituto procuratore Elsa Valeria Mignone (titolare di molti fascicoli sull’intera mento di rifiuti pericolosi), con l’accusa di discarica abusiva. Nei prossimi giorni i militari ascolteranno altri testimoni, al fine di verificare ipotesi che assumono forma sempre più chiara e che, nel giro di poche settimane, non sono più a carico di ignoti. Ma di qualcuno che, sotto il disastro del Salento, potrebbe averci lasciato impunemente la firma.Chiara Spagnolo        Rifiuti: smaltimento illecito, cinque indagati a Bari
Bari, 16 mag. (Adnkronos) - Cinque persone sono indagate dalla Procura di Bari per un traffico illecito dirifiuti in Puglia. Il Corpo forestale dello Stato, su delega della Procura, ha notificato cinque avvisi di conclusione delle indagini ad ex amministratori e dirigenti della Spes spa, azienda municipalizzata che si occupa della gestione dei rifiuti urbani a Gioia del Colle, ed al titolare di un’impresa locale del settore ambientale. L’indagine, avviata nel 2011 dal Comando Stazione Forestale di Acquaviva delle Fonti e successivamente coordinata dal Comando Provinciale di Bari, trae le mosse da un episodio apparentemente banale di abbandono di rifiuti sul ciglio stradale. Dalle iniziali ricerche per risalire alle responsabilita’ del fatto, si e’ fatta luce su una movimentazione di migliaia di tonnellate di rifiuti da demolizione e costruzione, illegalmente conferiti da imprese operanti in Puglia, fatti transitare per la Spes e smaltiti illegalmente. Secondo l’impianto accusatorio, l’attivita’ illecita sarebbe avvenuta dal 2005 al 2010 e sarebbe svolta con una copertura di apparentelegalita’, grazie ad una delibera del Consiglio comunale del 1998, con la quale si assimilavano ai rifiuti solidi urbani quelli da demolizione e costruzione ed i materiali da scavo, anche contaminati da sostanze radioattive. In tal modo, sostengono gli inquirenti, si sarebbe creato un meccanismo che avrebbe comportato un aggravio sull’ecotassa, con relativo accollo delle spese agli ignari cittadini.repubblica









   
 



 
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