Lo spettacolo che offre in questi ultimi giorni quella che viene impropriamente definita la sinistra italiana è diventato più desolante del solito, e mette sempre più in evidenza una profonda mancanza di idee ed una povertà di contenuti, sposate alla strenua voglia di mantenimento del potere ad ogni costo. La politica è sempre più lontana dalle piazze, dalla gente, dal presente e dal futuro di chi subisce le scelte di partiti e rappresentanti eletti, come se esistessero due realtà che mai si sfiorano. Il tango (di una parte) di Sel con il Partito Democratico è una puntata della telenovela della politica italiana alquanto imbarazzante nella sua estrema chiarezza e semplicità. Dopo aver partecipato ad un progetto pseudo-rivoluzionario, che doveva partire dall’Italia e cambiare l’austera Europa con Tsipras, Sel si acquatta in un angolino delle stanze del Governo per saltare sul nuovo carro in transito. Nel nostro Paese si vende tutto. Ladignità morale che dovrebbe accompagnare la politica, gli ideali che dovrebbero essere la spina dorsale delle scelte fatte insieme al popolo, a cui tanto si inneggia in campagna elettorale allorché si sbandierano stelle su sfondo rosso e immagini di Che Guevara, vengono svenduti il giorno dopo la chiusura delle urne. Chi si proclamava difensore ultimo di un territorio, di una questione, di un principio, sparisce, vanificato nell’etere di parole pronunciate per la conquista di un posto, e nulla più. La cosiddetta sinistra è questo amalgama di Partito Democratico, di ex Forza Italia, di centristi, di Sel, di Renzi e della sua falange berlusconianana. Questa è la rivoluzione. Il Líder máximo degli 80 euro che vuole smantellare il Senato e che non riesce a realizzare le riforme promesse, appare un mago illusionista, le cui grandi manovre tendono alla riconferma massima del sistema, alla controrivoluzione e alla protezione del privilegio di quella classe politica che si voleva, a parole,rottamare. Le parole sono svuotate di senso, nella politica italiana. Si tratta di una presa in giro semantica, nella quale al verbo pronunciato è già dato per scontato che non seguiranno giammai le azioni dovute. Nel frattempo, il Paese provvede a se stesso. Solo, o meglio, apparentemente condotto con successo dal Capo carismatico e trionfalista, si va avanti in una perenne lotta per la sopravvivenza ed in una feroce, deprimente, desolante resistenza a tutto. Pochi giorni fa, una denuncia arrivata a Peacelink, ci ha portati a farci carico di un gravissimo problema di sicurezza nazionale: il 6 marzo scorso è arrivata in Italia, precisamente nel porto di Ravenna, una nave carica di granoturco di provenienza dall’Ucraina, altamente contaminato da diossina (risulterebbero superati i limiti di legge di quasi quattro volte). Oltre ventimila tonnellate di materiale destinato ad uso di mangimi per animali sono state commercializzate in Italia. Una parte di questo granoturco é statapoi rivenduta al Montenegro, che, grazie all’allerta europea, lo ha rimandato al mittente. Come è possibile che le autorità italiane, seppur sollecitate con estrema velocità, non abbiamo mai dato conto dell’accaduto e che invece ben due Commissari di questa seppur lenta Europa si siano prodigati in azioni immediate al fianco delle associazioni? Perché tutto ciò che il governo-blob dovrebbe fare a garanzia del benessere, della salute, dei diritti dei cittadini non solo non viene fatto, ma viene anche osteggiato quando a farlo sono i cittadini stessi? Perché è mille volte più facile avere udienza in Europa e poter lavorare su questioni fondamentali mentre a casa si viene continuamente allontanati e trattati come estremisti e polemici? Qualche giorno fa è stato approvato il Decreto-Legge n.91 su varie materie, tra le quali delle disposizioni urgenti per la tutela ambientale. Il decreto lascia mano libera alla grande industria e al Ministero della Difesa nell’usufruire in manieratotalmente incontrollata di una grande fetta delle risorse del Paese. La norma, infatti, non solo continua a garantire l’uso militare di migliaia di ettari distribuiti su tutto il territorio nazionale, ma protegge l’esercizio di attività che potrebbero già aver comportato negli anni la diffusione e l’uso di sostanze particolarmente pericolose per la salute umana. Inoltre, il decreto consente una totale autonomia alle industrie riguardo la tutela ambientale in quanto delega agli operatori (quindi alle industrie stesse) la verifica del livello di inquinamento e la successiva auto-valutazione nel caso di opere di bonifica. La norma approva poi una serie di sanatorie per sostanze altamente tossiche e cancerogene e protegge le aree ad uso militare da qualsiasi sanzione di tipo ambientale. L’articolo 13, in particolare, sulla procedura semplificata per le operazioni di bonifica o di messa in sicurezza (sezione sicurezza ambientale), afferma che l’operatore interessato ad effettuare, aproprie spese, interventi di bonifica del suolo, potrà farlo presentando un progetto con il relativo programma dei lavori. Il Governo sembra aver ceduto in maniera definitiva il passo alle lobbies industriali e militari, approvando leggi (ricordiamo il recente Ddl 1345 sui reati ambientali) che nulla hanno a che vedere con il conclamato rilancio dell’occupazione perché finalizzate a proteggere gli interessi dei soli gruppi industriali. Pochi giorni fa, una tubatura della base militare Nato, che a Taranto ha una importante presenza navale e cantieristica, si è rotta versando, si dice, una ventina di tonnellate di gasolio e di azoto nel Mar Grande. Taranto, città dei due mari, aveva un fiorente parco di mitilicoltura nel Mar Piccolo, regno degli scarichi ILVA. Le colture di cozze, in seguito alla scoperta, effettuata dalle associazioni, dello spaventoso livello di diossina contenuto nei mitili, stanno timidamente ricominciando in Mar Grande, dove appunto é avvenutol’incidente. A Taranto, simbolo della disfatta del Paese e dell’incessante insuccesso della politica nazionale, non c’è però solo la Nato e l’industria siderurgica ma c’è anche la grande industria petrolifera. Si discute in questi giorni del progetto di estrazione Tempa Rossa, un ricchissimo giacimento petrolifero situato nell’alta valle del Sauro, nel cuore della regione Basilicata. Il progetto prevede una centrale di smistamento del greggio in arrivo nel porto di Taranto, un vero e proprio terminal in mare: il materiale infatti arriverebbe per essere caricato sulle petroliere ed essere poi portato verso diverse raffinerie italiane e straniere. A Taranto, esiste già una delle più grosse raffinerie ENI, il cui impatto sulla salute dei cittadini é stato già denunciato da numerose associazioni. L’ENI chiede il raddoppio della raffineria di Taranto per lavorare il petrolio Tempa Rossa. I problemi che nascerebbero da un progetto di questa portata, punto di convergenza e dismistamento del greggio con il raddoppio dell’attuale raffineria ENI, sono più che evidenti e sono legati non solo alla concentrazione nel porto di Taranto di tutto il petrolio del Sud Italia, ma anche alla pericolosità che trasporti del genere, realizzati con la frequenza del caso, potrebbero produrre incidenti ambientali definitivi per l’ecosistema (che a Taranto é già al limite del collasso). Concentrare nel raggio di pochi chilometri una base navale Nato con i suoi sottomarini, lo stabilimento siderurgico più grande e più desueto d’Europa, una grande raffineria raddoppiata ed aggiungerci il centro di smistamento del petrolio italiano sarebbe una condanna definitiva della vita e della salute di una intera città. Recenti dichiarazioni governative sembrano dar il segnale che il Governo voglia accelerare sul rilascio delle autorizzazioni necessarie al completamento di questi progetti. Con quali garanzie per la città? Come si potrebbero evitare gravi incidenti? Perché il governonon ha mai varato, come altrove in Europa, piani di sviluppo industriale che ponessero al centro il benessere dei cittadini e dei lavoratori? Come intende affrontare il Governo la sfida maggiore rappresentata da questa altissima concentrazione di industrie e di attività ad alto impatto - ILVA, NATO, ENI e Tempa Rossa- nel mare e sul suolo di Taranto? La città condannata a non esistere, resiste anche ai valori di Ipa (idrocarburi policiclici aromatici, potenti cancerogeni) che le associazioni continuano a misurare in totale autonomia, producendo dati totalmente diversi da quelli divulgati da Arpa (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente) ed ILVA, seppur usando le stesse apparecchiature in dotazione ad Arpa ed ILVA stesse. Il Governo tentenna sul futuro della città, pavoneggiando contatti con il Gruppo Arcelor-Mittal, che voci insistenti danno molto interessato all’acquisto dello stabilimento ILVA al fine di chiuderlo e di limitare la concorrenza in Europa. Due visite ditecnici sono state accolte a Taranto di recente e, da fonti vicine al management, ci sarebbero divergenze tra la realtà riscontrata in loco e le informazioni fornite dal Governo italiano. Tutto questo, naturalmente, portato avanti senza consultare né i lavoratori né la città. L’atteggiamento del Governo, per nulla attento alle necessità di Taranto, continua, si acuisce, testimonia quasi di un disprezzo verso una terra che subisce di continuo il potere dei forti, senza avere strumenti efficaci per far sentire la propria voce. La gravità dei problemi del Paese si rispecchia tutta nel dramma di una cittadinanza che sta letteralmente morendo e che si trova a dover affrontare da sola questioni gravissime di portata internazionale. Taranto va avanti nel totale silenzio delle istituzioni, affidata esclusivamente alle associazioni di cittadini che tutto provano e tutto cercano di fare in assoluta coscienza della propria solitudine. Andare a Bruxelles per cercare sostegno allequestioni della città, presentare interrogazioni parlamentari con degli eurodeputati stranieri: questa è la realtà alla quale ci obbliga la politica di questo Paese perché dalle questioni scottanti della mia città, in questo Paese, scappano tutti. Antonia Battaglia
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