Quei sessanta voti in bilico che fanno tremare Palazzo Madama
 











Il pallottoliere segna una sessantina di dissidenti, tra i 50 e i 60, per l’esattezza. Ma a Palazzo Chigi i conti sono al ribasso. Renzi è convinto che la dinastia “Minzmin”, la fronda cioè capitanata dal forzista Augusto Minzolini e dal democratico Corradino Mineo, non rovinerà il cammino rapido delle riforme e che il requiem del bicameralismo con il nuovo Senato di non eletti, arriverà all’approdo con una maggioranza ampia di 236 senatori. Forse troppo ottimista. Le incognite infatti sono molte. Al netto di dissensi e incertezze comunque, il governo dovrebbe contare su 175 o 183 fedelissimi.
Seppure i “ribelli” del Pd e di Forza Italia sulla riforma del Senato si squagliassero cammin facendo come neve al sole, si può stare certi che cercheranno una rivincita sull’Italicum. E a quel punto il dissenso può diventare maggioranza. Un documento di Francesco Russo a favore del Senato come lo vuole Renzi ma che pone l’alt all’Italicum, è statosottoscritto da una ventina di senatori dem. Ma sono soprattutto i 29 di “Area riformista”, la corrente guidata da Roberto Speranza e che a Palazzo Madama può contare tra gli altri su Miguel Gotor, Maurizio Migliavacca, Valeria Fedeli, Federico Fornaro, Carlo Pegorer, a chiedere la modifica della nuova legge elettorale. L’allarme lo ha lanciato Pier Luigi Bersani, l’ex segretario per il quale non si può scherzare con il fuoco e l’Italicum «va corretto», punto e basta.
Lo ripetono in tanti nel Pd e trovano sponda negli alfaniani. Nel governo è il ministro Maurizio Martina ad avanzare dubbi e ad incalzare: «L’Italicum francamente è da migliorare». Gotor nella riunione di corrente elenca minuziosamente i cambiamenti che la riforma del Senato non può ignorare, a cominciare dai Grandi elettori a cui è affidato il compito di scegliere il capo dello Stato. «A meno che non si voglia un presidenzialismo strisciante, una svolta autoritaria pericolosa... «, si scalda.
Nell’assemblea deisenatori ieri sera viene appunto presentato il documento firmato dal drappello che si autodefinisce dei “facilitatori”. Russo illustra le ragioni del Senato di non eletti, che sarebbe «un errore incomprensibile frenare». Insomma sul Senato elettivo anche il capogruppo Luigi Zanda si sente più tranquillo. I “dissidenti” dem che porteranno il loro emendamento fino al voto dell’aula sono 19: Vannino Chiti, Felice Casson, Walter Tocci, Paolo Corsini i trainer. Tuttavia fanno asse con i forzisti che appoggiano Minzolini e i malpancisti al seguito di Fitto. Lucio Malan che sponsorizza la via mediana di «aggiustamenti per consentire un voto compatto in Forza Italia », confida nell’incontro promesso da Berlusconi con i senatori. Riuscirà a metterli in riga, l’ex Cavaliere? I senatori berlusconiani attendono il leader a Palazzo Madama e immaginano un “serriamo le file” tramite mozione degli affetti: «Io mi sono impegnato con Renzi, non lasciatemi ora solo», dovrebbe essere l’appello diBerlusconi. La tela della maggioranza si sgrana anche nel Nuovo centrodestra.
A dire “no” al Ddl Boschi sono in due: Roberto Fomigoni e Antonio Azzollini si sono uniti alla fronda pro-Senato elettivo. Formigoni l’ha anche twittato, spingendosi ad appoggiare il capogruppo forzista alla Camera, Renato Brunetta con cui non c’è mai stato buon sangue. Ora invece apprezza: «Il lodo Brunetta per elezione dei senatori è una buona idea, come la proposta originaria #ncd di una lista separata contestuale alle regionali ». E ci sono le incertezze leghiste. Roberto Calderoli, uno dei due relatori delle riforme, aveva
già fatto sapere che se lo smottamento contro la Camera delle autonomie composta da senatori non eletti fosse diventato una frana, allora i malumori della Lega sarebbe stato difficile tenerli a bada. In realtà la partita del Carroccio si gioca tutta sul Titolo V e le competenze alle Regioni.
Ma una cosa più di tutte i renziani hanno in odio in queste ore. È il collegamento chedissidenti e malpancisti in casa democratica creano tra riforme istituzionali e nuova legge elettorale. L’ha detto il vice segretario Lorenzo Guerini, l’uomo a cui Renzi ha affidato il partito: «È sbagliato collegare riforme istituzionali e Italicum». Potrebbe saltare tutto se Berlusconi ad esempio si irrigidisse pretendendo una blindatura subito dell’Italicum per votare il nuovo Senato. Il “patto del Nazareno” è sottoposto a continue scosse. Renzi e i suoi conoscono quanto accidentato sia il terreno.
Per questo anche il documento dei “facilitatori” si rivela una mina. Afferma Russo: «Il dibattito sul nuovo Senato ha chiarito a tutti la necessità di mettere mano e cambiare profondamente la legge elettorale così come approvata dalla Camera...». Quindi l’elenco dei tre punti da modificare: le soglie, la parità di genere e, prima di tutto, lo stop alle liste bloccate e a un Parlamento di nominati attraverso le preferenze o i collegi uninominali. GiovannaCasadio,repubblica










   
 



 
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