La "cresta" milionaria sui rifiuti da smaltire del passante ferroviario
 











È stato indagando su un traffico di rifiuti in una cava nel novarese che la magistratura è riuscita a scoprire una truffa da 13 milioni a Rfi per l’appalto della costruzione del Passante ferroviario di Torino. Gigantesco l’appalto, gigantesca la truffa e gigantesca la mole di rifiuti sotto accusa: centomila tonnellate di pietrisco e rocce amiantifere, quanto la stazza di una nave da crociera, ottenute dallo smantellamento della massicciata di Porta Susa e Torino Stura. Si tratta di appalti che valevano milioni di euro, ma che sono riusciti a far fruttare con guadagni ben superiori al dovuto dagli imprenditori coinvolti nel business. imprenditori che — almeno questa è l’ipotesi di accusa — avevano gonfiato le spese per lo smaltimento di rifiuti speciali, di cui invece si sono disfatti per pochi soldi trattandoli come rifiuti semplici. Per questa vicenda la procura di Novara e la Dda di Torino hanno chiuso le indagini su 24 persone: si tratta per lopiù di imprenditori che avevano preso in appalto da Rfi lavori relativi al passante ferroviario torinese, oltre a trasportatori, titolari di alcune discariche e persino tecnici di laboratorio, coordinati da Nicola Salio, un procacciatore d’affari astigiano sui cui conti correnti transitavano bonifici milionari.
In particolare tra l’agosto del 2008 e il maggio del 2009 la società alessandrina Arfer, amministrata da Enrico Peola, assistito dall’avvocato Giovanni Lageard, era stata incaricata da Rfi di smantellare 43.553 tonnellate di pietrisco dalla massicciata che doveva lasciare il posto alla nuova stazione di Torino Stura. Solo una parte di quel materiale di risulta era contaminata dall’amianto, ma per assicurarsi guadagni maggiori era stato fatto credere al committente che tutto doveva essere smaltito come rifiuto speciale a 110 euro la tonnellata (invece di 1820 euro). L’appalto così era lievitato da 8,3 a 27,7 milioni anche perché servivano nuovi mezzi, corsi per gli operai emateriale incapsulante per trattare l’amianto. Strumenti che poi in grandissima parte non erano stati usati perché non erano necessari. Sulla scrivania dei committenti, tuttavia, erano state depositate fatture false per l’acquisto di 766 tonnellate di inglobante, quando ne erano state comprate appena 84. Non solo: sia il pietrisco contenente amianto sia l’altro, erano stati alla fine smaltiti come rifiuto inerte, assicurandosi un guadagno illecito e generando una truffa ai danni di Rfi di oltre 10 milioni. Il materiale, secondo la procura, sarebbe finito prima in una cava a Caltignaga, poi smaltito abusivamente da impianti di recupero a Cossato o Volpiano (falsificando i cosiddetti formulari di trasporto rifiuti o addirittura le analisi di laboratorio e simulando fittizi trattamenti che non venivano eseguiti) e infine buttato in una cava non autorizzata a Vigevano.
In maniera analoga la Arfer aveva fatto tra il novembre del 2009 e il febbraio del 2010 a Porta Susa, quando i lavoriper la costruzione della nuova stazione avevano imposto la distruzione della vecchia massicciata tra corso Vittorio Emanuele e via Stradella. Come ha dimostrato un sequestro dei carabinieri del Noe, su almeno 55.680 tonnellate di pietrisco recuperato durante i lavori, circa 32.590 tonnellate sarebbero state da smaltire come rifiuto speciale. In questo caso secondo la procura l’»ingiusto profitto» ammonta a oltre due milioni e mezzo, su un importo totale di cinque milioni e mezzo. Tutto il pietrisco, infatti, era stato portato in normali discariche per rifiuti inerti, «utilizzando — come scrivono i magistrati — referti analitici ottenuti
in modo fraudolento e pilotando sia l’esecuzione del campionamento che le analisi». Solo l’intervento della polizia giudiziaria, che sequestrò 20 mila tonnellate ancora da smaltire, in quella circostanza riuscì a bloccare lo scempio ambientale. Federica Cravero-Ottavia Giustetti,repubblica









   
 



 
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