DOSSIER ILVA 6: la bufera infinita...
 











Ilva, Camusso: "Ottime ragioni per intervento pubblico
"Da lungo tempo diciamo che la siderurgia è un settore strategico per il nostro paese, che non si può perderla, e quindi questa è un’ottima ragione per prevedere un intervento pubblico". Il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, dopo aver partecipato a Taranto, in fabbrica, a un’assemblea dei lavoratori Ilva commenta le vicende del siderurgico. Il leader della Cgil è a Taranto per partecipare ad una assemblea di quadri e delegati sui temi del lavoro, mentre stamattina dalle 6 alle 8, i delegati della Fim Cisl Taranto-Brindisi hanno presidiato le portinerie dell’Ilva, incontrando i lavoratori. A ognuno è  stato consegnato un volantino con le proposte per un confronto con il governo sulle scelte in atto. "Siamo solo sindacato. Non mendichiamo ascolto dal governo, lo meritiamo. Perché serve andare oltre - recita il volantino - la logica della facile contrapposizione tra chi dice dicambiare tutto e chi non vuole cambiare nulla". La Fim si sofferma sul "valore della partecipazione e della solidarietà, che si realizza prima nella proposta - sottolinea l’organizzazione sindacale - e dopo nella protesta".
L’ipotesi di un intervento pubblico per l’Ilva, come auspicato dal premier, convince anche il segretario generale Fiom Maurizio Landini. "Ritengo che Renzi dica una cosa giusta - ha dettoa Repubblica - siamo di fronte alla necessità di salvare un pezzo decisivo del sistema industriale italiano. Ed è importante che si pensi a un intervento pubblico". "Ora è indispensabile mettere in campo un’operazione strategica che non può portare sia chiaro a una riedizione del ’modello Alitalia’ ". "Questa volta - insiste il sindacalista - serve un’operazione vera di politica industriale. Non si può pensare di scaricare ancora i debiti di una società su tutta la collettività per regalare agli stranieri di turno un’ impresa strategica". Landini, quanto al rischio chel’intervento del governo si scontri con le regole europee che vietano gli aiuti di Stato, risponde: "L’industria pubblica esiste in Francia come in Germania. Qui si tratta di salvare un’industria strategica. Anche la nostra Costituzione prevede l’intervento pubblico nell’economia. Poche storie! Non se ne esce fuori senza una vera strategia di politica industriale".
Dall’altra parte ci sono i Riva, con Claudio Riva, figlio di Emilio, fondatore del gruppo siderurgico. Sull’Ilva "siamo pronti a fare la nostra parte", dice sottolineando la disponibilità
della famiglia a intervenire: "Gli azionisti - (Riva con il 90 per cento e gli Amenduni con il restante 10 per cento, ndr) - sono disposti a investire e a fare la loro parte per contribuire alla soluzione del problema". Il presidente di Riva Fire e consigliere delegato di Riva Forni elettrici, insiste affinché i Riva vengano "coinvolti o quanto meno interpellati nelle decisioni che verranno prese in merito all’Ilva, nonostante lasocietà sia commissariata".r                                                                                        Ilva, ecco il piano di Renzi per far intervenire lo Stato: commissario e Cassa depositi
C’è un “piano B” per l’Ilva. Il governo è pronto a chiedere l’amministrazione straordinaria per il gruppo siderurgico. Sostanzialmente dichiararne il fallimento e applicare la legge Marzano, il nostro “Chapter 11”, riservato ai grandi gruppi con più di 500 addetti e oltre 300 milioni di debiti. Un default pilotato, insomma. Un decretolegge ad hoc potrebbe essere varato nei prossimi giorni, o addirittura questa sera visto che è stata convocata una riunione del Consiglio dei ministri. I tempi saranno comunque strettissimi. L’Ilva, dopo che le sono arrivati i 125 milioni della seconda rata del prestito bancario, ha i soldi per pagare gli stipendi dei suoi 11 mila dipendenti di dicembre, la tredicesima e il rateo del premio di produzione. Niente di più. Mentre ci sono 350 milioni di debiti scaduti con i fornitori e 35 miliardi di richieste per danni ambientali, sotto varie forme, da parte della comunità tarantina. Nessuno in queste condizioni comprerà mai la società. Non gli anglo-indiani di Arcelor-Mittal, il più grande gruppo europeo dell’acciaio, alleati con Marcegaglia; non l’italiano Arvedi che in ogni caso ha chiesto l’aiuto finanziario del Fondo strategico italiano, braccio industriale della Cassa depositi e prestiti, controllata dal ministero dell’Economia con la partecipazione delle Fondazioni di originebancaria. Sia Mittal sia Arvedi, infatti, hanno presentato offerte considerate inaccettabili dal governo. Ma in particolare gli anglo-indiani hanno posto paletti insormontabili dal punto di vista economico e politico. Così non ci sarebbero garanzie sul futuro dell’impianto. «Non si svende la più grande acciaieria d’Europa», spiegano a Palazzo Chigi. La produzione dell’acciaio resta strategica se si vuole rilanciare l’attività industriale crollata del 25 per cento in questi lunghi anni di recessione. Da qui il “piano B” del governo.
Giovedì scorso si sono riuniti a Palazzo Chigi il premier, Matteo Renzi, il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, e il commissario governativo dell’Ilva, Piero Gnudi. Ne è emersa la convinzione che senza il passaggio all’amministrazione straordinaria la questione Ilva sia destinata a finire in un vicolo cieco. Con il rischio che prenda forma uno scenario sociale esplosivo, per le ricadute dirette su Taranto e gli altri siti produttivi (NoviLigure e Cornigliano) e indirette sulle migliaia di piccole aziende fornitrici. Non per nulla ieri sono arrivati i commenti positivi dei sindacati all’ipotesi dell’amministrazione straordinaria.
D’altra parte né Mittal, né tantomeno i lombardi di Arvedi, significativamente indebitati, hanno indicato nell’offerta una cifra per rilevare la società. Questo è il punto. L’Ilva continua a perdere intorno ai 25 milioni al mese (ne perdeva quasi 70 prima dell’arrivo di Gnudi che ha cambiato tutta la prima linea di comando), nel 2012 e 2013 ha perso un miliardo l’anno, ha due terzi dello stabilimento di Taranto sotto sequestro, non ha praticamente le risorse per fare la manutenzione, e soprattutto deve rispettare i vincoli posti dal piano di risanamento ambientale che complessivamente richiedono un esborso di 1,8 miliardi di euro. Così i grandi acciaieri europei scommettono sul tracollo dell’Ilva, perché ci sarebbe un concorrente in meno e quote da spartirsi, mentre sui mercati globaliavanzano i produttori asiatici, russi e brasiliani. Anche questa partita si sta giocando intorno alla crisi dell’ex Italsider. Eppure a Taranto si potrebbe ancora produrre acciaio di qualità in condizioni redditizie purché liberi del “fardello” del passato. L’amministrazione straordinaria servirebbe a questo, a non cedere l’azienda, bensì gli impianti. Il modello di riferimento sarebbe quello dell’Alitalia dei cosiddetti “capitani coraggiosi”: una bad company su cui scaricare il cumulo di macerie, controversie giudiziarie comprese, accumulato negli anni (ai Riva, azionisti di maggioranza, sono stati sequestrati dalla magistratura 1,2 miliardi di euro per dirottarli al risanamento ambientale); una new company sulla quale costruire il futuro dell’acciaieria, con le banche creditrici, con nuovi soci privati, con un intervento pubblico attraverso il Fondo strategico. Una volta ripulita, insomma, l’Ilva avrebbe ben altro appeal. E allora non si tratterebbe più di «svendita» e potrebbe — acondizioni di mercato sulle quali Bruxelles non potrebbe eccepire sollevando il pericolo di aiuti di Stato vietati dai Trattati — entrare in campo anche una sorta di statalizzazione. Ipotesi che il Renzi, nell’intervista ieri a Repubblica, considera al pari delle altre. Questa, potrebbe anche essere un’ipotesi tattica (dove troverebbe i soldi, non meno di 2-3 miliardi, il governo?) per far vedere a Mittal che lo scenario può anche cambiare. Ma si vedrà. In ogni caso il ricorso alla “legge Marzano” dovrebbe permettere — secondo quanto è trapelato da chi nel governo ha in mano il dossier — al commissario straordinario di venire in possesso in tempi rapidi dei 1,2 miliardi sequestrati ad Emilio Riva e sul cui patrimonio c’è stata la rinuncia degli eredi. Certo il fratello Adriano ha fatto ricorso contro il sequestro ed è in atto una battaglia legale. Ma questo è un altro capitolo del groviglio tarantino. Roberto Mania,repubblica Renzi sull’Ilva: "Valutiamo l’intervento pubblicoper salvarla. Non faccio saltare Taranto"
"A Taranto, ad esempio, stiamo valutando se intervenire sull’Ilva con un soggetto pubblico. Rimettere in sesto quell’azienda per due o tre anni, difendere l’occupazione, tutelare l’ambiente e poi rilanciarla sul mercato". Lo afferma il premier Matteo Renzi in un’intervista a ’Repubblica’.
Per l’Ilva, spiega Renzi, "ci sono tre ipotesi. L’acquisizione da parte di gruppi esteri, da parte di italiani e poi l’intervento pubblico. Non tutto ciò che è pubblico va escluso. Io sono perché l’acciaio sia gestito da privati. Ma se devo far saltare Taranto, preferisco intervenire direttamente per qualche anno e poi rimetterlo sul mercato ".                  Ilva, arrivata prima offerta non vincolante da ArcelorMittal
Una cordata formata dall’indiana Arcelor Mittal e dal gruppo italiano Marcegaglia ha presentato una proposta non vincolanteper l’acquisto degli stabilimenti del gruppo siderurgico Ilva. Lo ha riferito una fonte sindacale e successivamente l’arrivo dell’offerta è stato confermato dal portavoce del commissario Piero Gnudi, il quale ha ricevuto ieri la lettera con la proposta. "E’ arrivata ieri e non è  vincolante", ha detto il portavoce del commissario Gnudi. Secondo la fonte sindacale si tratta di un impegno che ancora non contiene un’offerta economica ma dà 30 giorni di tempo ai rappresentanti del gruppo siderurgico per accogliere o respingere le intenzioni della cordata formata da uno dei maggiori produttori d’acciaio al mondo.
Nella proposta di acquisto, come era già stato anticipato nelle settimane scorse da fonti sindacali, Arcelor si impegnerebbe a mantenere la produzione e i livelli occupazionali e a presentare il piano industriale e quello ambientale. Lo scorso 13 novembre la Fiom-Cgil aveva detto, dopo un incontro con il commissario Gnudi, che erano in arrivo due offerte e il portavocedell’Ilva aveva confermato che Gnudi avrebbe dato aggiornamenti su questo entro una-due settimane.
All’acquisizione di Ilva è interessata, oltre alla cordata ArcelorMittal con Marcegaglia, anche l’indiana Jsw Steel . Inoltre nei giorni scorsi, durante un’audizione in commissione Industria al Senato, il presidente di Federacciai Antonio
Gozzi ha detto che il gruppo Arvedi gli avrebbe riferito di essere disponibile a intervenire per l’acquisizione dell’Ilva di Taranto assieme alla Cdp e ad altri partner italiani "a condizione che ci sia una razionalizzazione del mercato siderurgico italiano". In precedenza Cdp aveva escluso un intervento diretto nell’Ilva, confermando però che l’acciaio è comunque un settore strategico e che Cassa "potrebbe investire in società interessateall’Ilva".                                                                              "Ilva nella top 30 delle industrie più inquinanti d’Europa"
Secondo l’Agenzia europea dell’ambiente (Aea) l’Ilva di Taranto  risulta nella top 30 degli impianti Ue più inquinanti. Lo stabilimento tarantino è stato classificato al 29esimo posto. Al 33esimo si piazza la centrale termoelettrica Federico II di Brindisi Sud. L’inquinamento dell’aria e i gas serra prodotti dall’industria in Italia fra 2008 e 2012 sono costati alla società fra 26 e 61 miliardi di euro. A fare i conti in termini diimpatto su salute e ambiente, che include morti premature, costi per la sanità, giorni lavorativi persi, problemi di salute, riduzione dei raccolti agricoli, è l’Aea che, solo per il 2012, stima fra i 59 e i 189 miliardi i danni provocati agli europei dalle emissioni di 14.325 industrie. Una cifra, quest’ultima, pari al Pil della Finlandia o alla metà del Pil della Polonia. Il costo medio pro capite per gli europei si stima fra i 115 e 368 euro. Ad essere responsabili della metà dei danni sono appena l’1% degli impianti europei, cioè 147.
Nella top 30 dei maxi-inquinatori Ue, oltre all’Ilva di Taranto in Italia, otto impianti si trovano in Germania, sei in Polonia, quattro in Romania, tre in Bulgaria e Gran Bretagna, due in Grecia, uno in Repubblica Ceca, Estonia e Slovacchia. A contribuire di più al conto dei danni complessivi però sono Germania, Polonia, Gran Bretagna, Francia e Italia, che hanno le maggiori industrie.
In Italia l’Aea registra 1.329 impianti e stila unaclassifica dei più inquinanti: dopo l’Ilva di Taranto al 29esimo posto in Europa, al 33esimo posto si piazza la centrale termoelettrica Federico II di Brindisi Sud, al 50esimo posto la raffineria di Gela Spa, all’80esimo la raffineria di Augusta della Esso italiana, al 92esimo posto la Saras raffinerie sarde Spa a Sarroch, al 106esimo posto la centrale di Vado Ligure a Quiliano e al 108esimo posto la centrale elettrica di Fiume Santo (Sassari).
"Secondo lo studio dell’Agenzia europea - ha annunciato il co-portavoce nazionale dei Verdi Angelo Bonelli - che ha calcolato i costi economici, sanitari e sociali dell’inquinamento, l’Ilva di Taranto è nella top 30 degli impianti Ue più inquinanti con un danno medio di 2,5 miliardi di euro provocato per le emissioni nel periodo di 4 anni (2008-2012). Questo studio lo consegneremo alla Procura di Taranto e sarà di supporto nel processo per dimostrare quanti danni sono stati provocati. E’ più che
mai urgente - ha aggiunto - che si smetta diessere tolleranti o di fare regali a chi inquina. Si applichi il principio chi inquina paga e agli inquinatori che non bonificano si sequestrino i beni e il patrimonio con cui avviare il risanamento ambientale del territorio e risarcire le popolazioni danneggiate: lo Stato - ha concluso il leader dei Verdi - dovrebbe investire in innovazione tecnologica, nell’economia pulite, nei trasporti sostenibili invece di danneggiare ambiente ed economia".                           Ilva caos
E’ stata aggiornata al 21 novembre prossimo l’udienza preliminare dell’inchiesta ‘Ambiente Svenduto’, processo ‘Ilva-gate’, in seguito alla decisione del GUP Vilma Gilli, che si è riservata di deliberare sulle oltre seicento richieste di costituzione di parte civile presentante alla prima udienza preliminare.
E’ di qualche giorno fa la notizia del ricorsoeffettuato dalla famiglia Riva in Corte di Cassazione contro il decreto del GIP di Milano Fabrizio D’Arcangelo, che ha disposto il trasferimento all’Ilva della somma di 1.2 miliardi di euro posti sotto sequestro dal Tribunale di Milano, nell’ambito dell’inchiesta per frode fiscale a carico di Emilio e Adriano Riva.
Il Commissario Straordinario dell’Ilva aveva chiesto il trasferimento delle somme per portare avanti, secondo le sue affermazioni, i lavori per la realizzazione delle urgenti prescrizioni dell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia), ai fini dell’abbattimento dell’inquinamento.
La Commissione Europea, sollecitata da Peacelink, ha cominciato a investigare su queste somme concesse al gruppo siderurgico, che sarebbero invece dovute rimanere a garanzia anche del futuro di Taranto, e che costituiscono un pericolo potenziale per il Tribunale di Milano il quale, a procedimento penale concluso, potrebbe non recuperare quei fondi in quanto la garanzia monetaria è statasostituita da titoli Ilva. Titoli che potrebbero perdere in futuro il loro valore iniziale, lasciando lo Stato con carta straccia tra le mani e senza nessuna possibilità di risarcimento.
Nel frattempo, sull’Ilva e dell’Ilva si sente di tutto. Si dice che il Governo starebbe cercando nel Gruppo Arvedi un’alternativa ad Arcelor-Mittal, con una partecipazione della Cassa Depositi e Prestiti. Ma tecnicamente la Cassa Depositi e Prestiti non potrebbe intervenire per il salvataggio di un’azienda in deficit. Si starebbe quindi considerando la creazione di una nuova società esente da debiti e dagli oneri del pesante passato del gruppo siderurgico. Il Fondo Strategico italiano, FSI, collegato alla Cassa Depositi e Prestiti, rappresenterebbe la soluzione al problema. Esso è infatti una holding partecipata come socio di maggioranza dal Gruppo CDP e come socio di minoranza dalla Banca di Italia.
La gara per l’acquisto dello stabilimento, quindi, è entrata nel vivo, visto che pochi giorni faArcelor-Mittal, insieme a Marcegaglia, ha presentato l’offerta non vincolante che riconfermerebbe gli attuali livelli di occupazione, l’intenzione di investire per il rilancio della produttività e la volontà di rilevare l’Ilva nella sua interezza territoriale con Taranto, Genova e Novi Ligure.
Arcelor-Mittal chiederebbe, inoltre, la creazione di una ‘bad company’ in cui far confluire tutti i passivi e le numerose problematiche dell’Ilva.
La cordata si impegnerebbe a garantire i posti di lavoro. Ma cosa ne sarebbe dell’attuazione dell’Aia, fissata dall’ultimo decreto governativo con il Piano Ambientale?
Il futuro di Taranto sarebbe legato a quello di Piombino e di Terni, come si vocifera. Il Governo vorrebbe forse nazionalizzare la siderurgia italiana, ma per gestirla in che modo? Continuando sulla falsariga del non rispetto ambientale e della salute umana, quale fattore competitivo in grado di garantire i posti di lavoro? Appare del tutto impossibile conciliare una produzionelanciata al massimo, così come vorrebbe il gruppo Arcelor, il potenziamento del settore strategico dell’acciaio, il rilancio della produzione di Taranto con la messa a norma e le bonifiche. I fondi per realizzare le modifiche strutturali dell’Ilva arriverebbero da dove? C’è qualcosa che non torna.
Non esiste un piano nazionale di politica economica elaborato per settori produttivi, con visioni a lungo termine, che vada al di là del decreto “Sblocca Italia”, tutto incentrato sul consumo di suolo, sulla cementificazione, sullo sfruttamento selvaggio dell’ambiente. Non esistono piani di sviluppo delle diverse aree del Paese, quali il Mezzogiorno, carenti di idee e di fondi per il rilancio dell’economia, l’infrastrutturazione, la crescita sociale, culturale. Manca una politica di grande respiro, attraverso la quale poter affrontare con efficacia le problematiche specifiche delle singole aree e settori del Paese. E Taranto ne è un esempio lampante. L’insipienza e la sciatteria con lequali si sta affrontando la questione ne sono una chiara testimonianza.
Inoltre, il rinnovato pressing del Governo per far approvare in fretta il DDL 1345 sui reati ambientali mira a una veloce riforma che depotenzi il processo Ilva: la punibilità del reato in questione sarebbe affidata a regolamenti degli enti territoriali locali e il reato alla fine potrebbe anche non sussistere più se non fosse dimostrata l’alterazione irreversibile dell’ecosistema necessaria alla definizione dello stesso. Il Ministro della Giustizia, interrogato in merito alla conclusione del processo Eternit, ha affermato, inoltre, che il Governo ha già definito una nuova disciplina della prescrizione dei reati, che arriverà presto in Parlamento.
La confusione nella quale versa il Paese nasce da una concezione del Governo quale ente destinato a occuparsi, più o meno, in maniera teatrale e televisiva, delle varie questioni che di giorno in giorno si presentano e che, per loro natura (si pensi ai dissestiidrogeologici) non possono esser rinviate e posposte.
Tutto è affrontato à la carte, senza piani, senza visione. La questione Taranto meriterebbe di esser inserita in un ben diverso contesto, molto più ampio, riguardante le problematiche industriali, economiche, ambientali nazionali. Invece, tutto è lasciato all’iniziativa del giorno dopo giorno, del decreto dopo decreto, mettendo pezze a destra e a sinistra. Si vive e si governa sul momento, il selfie testimonia l’azione, un avanzare vuoto e senza meta che spreca energia e tempo senza arrivare alla radice dei problemi, che rimangono irrisolti per il futuro.
Il rilancio del Sud passa attraverso alcuni punti cardine quali energia, riconversione produttiva, cultura, ambiente, coesione sociale.
Nella società moderna, scrive Bauman, il tracollo del pensiero e della progettazione di lungo periodo, la scomparsa e l’indebolimento di strutture sociali che consentano di inserire l’individuo in un progetto più ampio, favoriscono la‘fragilizzazione’ dei diritti e acuiscono la solitudine dei singoli individui stessi, ai quali viene chiesto di sopportare il peso intollerabile delle non-scelte operate dai governi.Antonia Battaglia                    Ilva, ok a seconda tranche da 125 milioni del prestito-ponte: salvi stipendi e tredicesime
Le banche hanno dato il via libera alla seconda tranche del prestito ponte all’Ilva. Lo riferiscono fonti vicino alla gestione commissariale. Il prestito vale 125 milioni ed era stato richiesto dal commissario Piero Gnudi venerdì scorso. Le banche coinvolte sono Intesa, Banco Popolare e Unicredit.
Gnudi ha infatti comunicato ai sindacati che la situazione economica non si è ancora sbloccata: le banche, dopo l’incontro di venerdì, non hanno ancora sbloccato l’ultima tranche del prestito ponte da 125 milioni che permetterebbe
Il management dell’Ilva dunque puòprocedere con il pagamento stipendi e tredicesime ai dipendenti nel mese di dicembre, dopo che la situazione si era fatta tesa: gli operai avevano infatti minacciato di occupare la fabbrica.                                              
Ilva, riprende udienza a Taranto: gip decide su parti civili
E’ iniziata nella palestra del comando dei vigili del fuoco di Taranto l’udienza preliminare legata all’inchiesta sull’Ilva chiamata Ambiente svenduto. Sono 52 gli imputati (dopo la morte dell’ex patron dell’Ilva, Emilio Riva), ovvero 49 persone e tre società, vale a dire Ilva spa, Riva Fire (la holding del gruppo che controlla Ilva) e Riva Forni Elettrici.
Il gip Vilma Gilli dovrà sciogliere la riserva sulle richieste di costituzione diparte civile, oltre 1100. Il ministero dell’Ambiente, il Comune e la Provincia di Taranto hanno chiesto ciascuno un risarcimento di 10 miliardi di euro. L’istanza di costituzione di parte civile è stata presentata anche dalla Regione Puglia, dal Comune di Statte, da quasi 500 lavoratori, da cittadini, associazioni, movimenti ambientalisti.
Alla sbarra ci sono i vertici dell’Ilva, politici, amministratori e funzionari di enti e ministeri per il disastro ambientale che sarebbe stato provocato dallo stabilimento siderurgico durante la gestione privata della famiglia Riva, iniziata nel 1995. In tutto sono 286 le persone offese indicate dalla Procura nella richiesta di rinvio a giudizio.
Prima offerta per Ilva da Marcegaglia e gli indiani
Entra nel vivo la gara per la conquista dell’Ilva. ArcelorMittal, leader mondiale del settore siderurgico con una produzione di 91 milioni di tonnellate, ha presentato l’offerta non vincolante per l’acquisto del gruppo italiano.La multinazionale dell’acciaio, che in Italia ha scelto come partner il gruppo Marcegaglia, ha così deciso di compiere il primo, significativo passo in una competizione che si annuncia ancora ricchi di colpi di scena e che a breve potrebbe anche vedere in campo la Cassa Depositi e Prestiti. La prima mossa ufficiale, comunque, porta per ora la firma di ArcelorMittal.
Secondo quanto risulta a Repubblica nell’offerta presentata non ci sarebbero ancora indicazioni economiche, mentre verrebbero riconfermate il mantenimento degli attuali livelli di occupazione, l’intenzione di investire nel gruppo per il rilancio della produzione e la volontà di rilevare l’Ilva nella sua interezza. Il gruppo, infatti, poggia essenzialmente sui tre poli di Taranto, per l’attività fusoria, di Genova e di Novi Ligure, per le attività di laminazione. Fondamentale, per ArcelorMittal è poter contare non solo sulle attività produttive di Taranto, ma anche sullo stabilimento di Genova-Cornigliano, che harinnovato i suoi impianti e che, soprattutto, mette a disposizione un milione di metri quadrati affacciati sul mare, una piattaforma logistica ideale da cui servire i mercati europei.
Le condizioni poste dal commissario straordinario del governo Piero Gnudi, che alle banche nei giorni scorsi ha chiesto di procedere con la seconda tranche del prestito-ponte, sono sostanzialmente note: preservare l’occupazione e attuare tutti gli investimenti in materia ambientale. Argomenti che non possono essere messi in discussione, come ha più volte spiegato anche il ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi. ArcelorMittal chiede però di concentrare in una "bad company" tutte le partite "incagliate" e le sofferenze dell’Ilva, riunendo attività e occupati nella nuova "good company" che entrerebbe nella rete internazionale del gruppo che produce acciaio in oltre sessanta Paesi del mondo.
Mentre appare in questo momento più defilata la posizione del gruppo indiano Jindal, resta invececonfermato l’interesse per l’Ilva da parte del gruppo Arvedi. A sostegno della famiglia siderurgica potrebbe presto scendere in campo anche la Cassa Depositi e Prestiti. L’amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini ha infatti confermato nelle scorse settimane l’interesse di Cdp per un settore "strategico" come quello dell’acciaio, in un Paese che è ancora il secondo produttore europeo.Massimo Minella,repubblica                                                                                                          Ilva, Confindustria Taranto "Le ditte avanzano 50 milioni"
"Le nostre aziende continuano a soffrire, nonostante l’Ilva abbia rispettato gli accordi assunti con noi, erogando i pagamenti così come previsto, siamo comunque tornati a maturare crediti per oltre 50 milioni di euro". E’ l’allarme lanciato da Vincenzo Cesareo, Presidente di Confindustria Taranto, nel corso di un incontro sul caso Ilva che si è svolto nella sede dell’Associazione, a cui hanno partecipato i rappresentanti istituzionali, i deputati Michele Pelillo (Pd) e Gianfranco Chiarelli (Forza Italia), imprenditori, sindacati e associazioni di categoria.
"Le nostre aziende - ha aggiunto Cesareo - non si possono più permettere di attendere, non possiamo più pagare stipendi e continuare ad assistere allo scempio di privare il territorio dellapossibilità di un futuro, assistendo ad una sua lenta agonia. Serve la garanzia del Governo, affrontando una strategia di rilancio del sistema siderurgico nazionale". A proposito dello sblocco dalla magistratura milanese degli 1,2 miliardi
sequestrati alla famiglia Riva, il presidente di Confindustria ha detto che "ci troviamo insomma davanti alla cosiddetta coperta troppo corta e a tempi ridotti che ci impongono a scelte nè facili nè indolori. Non sarebbero solo gli operai, a breve, a poter scendere - ha ammonito Cesareo - in piazza ma, come già successo in agosto, potrebbero mobilitarsi da un momento all’altro anche le aziende e le loro famiglie, portando le loro recriminazioni a Palazzo Chigi".r
L’Ilva torna pubblica? Il governo ci pensa
È un tormentone. Persino Lamberto Dini, l’ex capo del governo che 19 anni fa decise di vendere lo stabilimento di Taranto ai Riva, adesso invoca la nazionalizzazione dell’Ilva. L’ex premier si associa quindi a un’ideapiuttosto condivisa di tornare all’acciaio di Stato, riportando l’Ilva, le Acciaierie di Terni (Ast) e la Lucchini di Piombino sotto il cappello della cosa pubblica se nessuno le vuole comprare. Addirittura l’acciaio di Stato ha messo d’accordo due poli opposti come il numero uno della Fiom, Maurizio Landini, con l’imprenditore bergamasco Alberto Bombassei, proprietario della Brembo. Ma è davvero percorribile questa strada?
La premessa è che lo Stato non ha alcuna possibilità di entrare nell’azionariato dell’Ilva, della Ast o della Lucchini, perché una simile azione verrebbe considerata dalla Commissione Europea un aiuto di Stato e comporterebbe multe salatissime per l’Italia. Non a caso Bruxelles sta già indagando sulla questione e il governo italiano entro il prossimo 20 novembre dovrà rispondere a una lunga serie di domande, fra le quali la più importante: «Lo Stato italiano diventerà azionista di Ilva?».
Non basterà un semplice “no”, come risposta. Perché lo Stato dovràspiegare come mai gli 1,2 miliardi sequestrati ai Riva, nell’ambito dell’inchiesta per truffa allo Stato, non siano da considerarsi risorsa pubblica, ma siano da trasferire a titolo di aumento di capitale all’Ilva, a disposizione del commissario straordinario Piero Gnudi. E poi, c’è anche la questione delle garanzie che lo Stato ha posto rispetto al prestito ponte da 250 milioni di euro concesso da un pool di banche. Praticamente, se l’Ilva non dovesse riuscire a restituirli, dovrebbe farsene carico la cosa pubblica e questo, secondo Bruxelles, può essere definito un aiuto di Stato.
Infine la Commissione chiede all’Italia di dimostrare che le bonifiche a Taranto non siano dovute all’inquinamento da parte di Ilva, perché se così fosse non dovrebbe essere lo Stato a sborsare i 119 milioni, ma la stessa azienda, secondo il principio “chi inquina paga”. Il governo ha intenzione di spedire Gnudi già questa settimana a Bruxelles per spiegare come stanno le cose.
Comunque, visto il faroche l’Europa ha acceso sulla questione, è scontato che di nazionalizzazione non si può parlare. Ma al ministero dello Sviluppo Economico il ministro Federica Guidi sta lavorando spalla a spalla con Giovanni Gorno Tempini, amministratore delegato di Cassa Depositi e Prestiti, l’ente che gestisce il risparmio postale, per risolvere l’intricato rebus. Anche la Cdp non può investire in Ilva, perché lo statuto dell’ente impedisce di entrare nel capitale di una società in perdita e l’Ilva perde decine di milioni di euro al mese. Dunque, la soluzione potrebbe essere quella di far entrare Cdp nel capitale dell’acciaieria Arvedi, che investirebbe in Ilva al fianco dei brasiliani di Csn, oppure nella Marcegaglia, alleato italiano della multinazionale ArcelorMittal.
La presenza di una società italiana, sostengono i fautori dell’operazione, sarebbe indispensabile per evitare che Mittal o i brasiliani agiscano cinicamente, ridimensionando l’impianto. Tuttavia, le due opzioni non sono prive diproblemi, perché sia Arvedi che Marcegaglia sono piuttosto indebitate, e il piano di salvataggio dell’Ilva richiede comunque grandi risorse. Inoltre, nel secondo caso, si aggiungerebbe un problema di opportunità, essendo Emma Marcegaglia non soltanto il capo dell’azienda di Mantova, ma anche il presidente dell’Eni designato dal governo Renzi.
Come far entrare Cdp in Ilva è solo uno dei tanti problemi che gravano sull’impianto di Taranto, perché anche gli 1,2 miliardi sequestrati ai Riva - gli stessi su cui la Commissione europea vuole vedere chiaro - non sono ancora arrivati nelle casse dell’impianto siderurgico. Al contrario la quasi totalità dei fondi è gestita attraverso otto trust con sede nel paradiso fiscale di Jersey, un’isola della Manica, di cui è in gran parte depositario il gruppo bancario svizzero Ubs. La banca di Zurigo darà via libera al trasferimento dei soldi in Italia solo quando la decisione della magistratura italiana sarà definitiva. Quindi bisognerà attenderel’appello e il verdetto della Cassazione, mentre l’Ilva ha bisogno di soldi subito. Ecco perché Renzi ha deciso di risolvere la questione Ilva in tempi rapidi.
Per quanto riguarda l’Acciaieria di Terni, la richiesta di un intervento della Cassa depositi e prestiti è venuta nei giorni scorsi da una deputata di Scelta civica, Adriana Galgano, che ha parlato anche della creazione di una public company ad azionariato popolare e diffuso, in primis dei lavoratori di Ast e dei cittadini ternani e umbri. E non si esclude che la stessa proposta sarà presto formulata anche per l’Ilva. La verità è che Cdp potrebbe entrate in Ast per convincere i tedeschi di Thyssen ad ammorbidire i toni dello scontro. Anche qui la questione va risolta in fretta, perché mentre gli operai di Terni scioperano, i tedeschi di Thyssen si ritrovano a dover pagare penali altissime (si parla di centinaia di migliaia di euro) ai grandi clienti, come Fiat e Indesit, che sono rimaste senza acciaio.
La terza spinosaquestione siderurgica è quella della Lucchini di Piombino e anche qui si spera nello zampino della Cdp. All’unica candidatura del gruppo indiano Jindal, si è affiancata quella degli algerini di Cevital. In entrambi i casi la Cdp cercherebbe di entrare in Lucchini per evitare di lasciare il pieno controllo in mani straniere. Come? Una soluzione l’ha avanzata Antonio Gozzi, presidente di Federacciai che la settimana scorsa ha convocato una riunione straordinaria del direttivo dei siderurgici di Confindustria nel corso della quale i principali produttori italiani di acciaio da forno elettrico si sono riuniti per discutere la proposta di costituire una società consortile partecipata dagli stessi imprenditori, finalizzata a dare vita al progetto per la realizzazione di un impianto di preridotto da 450 milioni di euro. Questo consentirebbe ai siderurgici italiani, magari affiancati da Cdp, di entrare nel perimetro della futura Lucchini, al fianco degli algerini o degli indiani.
«Èimpossibile stimare quanto la Cassa depositi e prestiti dovrebbe investire per presidiare i tre impianti siderurgici, ma comunque stiamo parlando di cifre da capogiro», spiega Marco Bentivogli della Fim Cisl. Che aggiunge: «Comunque puntare sulla nazionalizzazione attraverso la Cdp è pura demagogia. Lo Stato non può sostituirsi al ruolo che le banche hanno smesso di avere. Del resto rischiamo di favorire lo spiazzamento di quei pochi privati che in Italia vorrebbero investire davvero. Piuttosto che pensare all’intervento statale, si cominci a fare una seria politica industriale, risolvendo i nodi strutturali che bloccano gli investimenti nell’industria italiana: l’elevato costo dell’energia, le inadeguate infrastrutture, l’assenza del sistema bancario, lo scarso investimento in tecnologie, la necessità di un sistema coordinato per l’acquisto delle materie prime, dal momento che il loro costo continua a essere instabile. Cdp può avere un ruolo temporaneo ed essere un surrogato di quelloche altrove farebbe una banca, cioè sostenere le iniziative industriali. Una presenza a lungo termine, invece, rischia di essere una riedizione della siderurgia di Stato, che ha portato troppo piombo nei polmoni e mazzette nelle tasche».
Che la soluzione non possa essere l’intervento statale lo dice anche Fabiano Schivardi, professore di Economia alla Luiss: «Va chiarito il perché la produzione di metalli pesanti è così in crisi in Italia, mentre in Germania, ad esempio, lo è meno. Uno dei fattori principali è l’elevato costo dell’energia, che non si riduce con l’intervento pubblico dello Stato nell’Ilva. O si rende sostenibile la produzione di acciaio in Italia, oppure qualsiasi azionista, pubblico o privato, finirà col perdere un sacco di soldi». Gloria Riva,l’espresso
Ilva, primo report sull’Aia: rinviati cantieri e opere più onerose
E’ vero che l’Ilva ha ottemperato al 75% degli interventi dell’Aia in scadenza a luglio 2015, ma si tratta per la maggiorparte di interventi gestionali mentre restano sulla carta le attività impiantistiche con soli 21 cantieri aperti su 85. Ed a conti fatti, se finora sono stati spesi circa 500 milioni di euro, gli 1,8 miliardi ipotizzati dal precedente commissario Enrico Bondi, potrebbero non bastare per mettere in regola lo stabilimento siderurgico più grande d’Europa. E’ la fotografia scattata, con aggiornamento al 30 ottobre, dal dipartimento Aia dello stesso stabilimento Ilva di Taranto. Nel report è scritto che il numero totale di attività del Piano Ambientale da ottemperare entro agosto 2016 è di 160, 75 gestionali ed 85 impiantistiche. Entro luglio 2015 va ottemperato l’80% dei lavori: 115 attività, 73 gestionali e 42 impiantistiche, lasciando all’ultimo anno gli interventi più impegnativi.
Sulla carta l’Ilva rispetta il cronoprogramma e la legge: ha eseguito 87 attività delle 92 che scadono a luglio 2015 ma di queste solo 21 sono opere strutturali, le meno impegnative. Il resto è una serie diprescrizioni gestionali, come presentazioni di programmi ed adempimenti. E se sulla carta risulta che un quarto dei lavori agli impianti è avviato, la realtà è diversa: restano ancora sulla carta i progetti più importanti da realizzare e più costosi, come la messa in regola della disciplina delle acque e la copertura dei parchi minerali, attualmente solo in fase di progetto. All’appello mancano lavori importanti per la riduzione dell’inquinamento come quelli di adeguamento alle migliori tecnologie per ridurre le emissioni di polveri e sostanze pericolose, l’installazione dei filtri a tessuto, il tetto dell’acciaieria 1 ed il sistema di monitoraggio.
Ancora da eseguire anche bonifica e demolizione dell’altoforno 3, fermo da tempo e la fermata dell’altoforno 5, il più grande d’Europa ed il più problematico sotto il profilo ambientale. Lo spegnimento, secondo quanto riferiscono i tecnici, dovrebbe impiegare circa due mesi e secondo il cronoprogramma dovrebbe iniziare a giugno 2015 mafonti vicine al commissario governativo Gnudi riferiscono che si sta valutando l’ipotesi di iniziare a spegnerlo prima di Natale, anche perché da solo prosciuga la metà della spesa corrente e vale un terzo dei guadagni, insomma è un vecchio motore che consuma più di quanto renda.
La rapidità e l’efficacia dei lavori Aia che mancano ancora all’appello in Ilva dipenderà dalla velocità con cui la magistratura milanese riuscirà a far rientrare in Italia dalla Manica il tesoro sequestrato lo scorso anno ad Emilio Riva (scomparso ad aprile scorso) e suo nipote Adriano, indagati per frode fiscale. Un miliardo e 200 milioni da trasformare in azioni di Ilva spa intestate ad Equitalia. C’è il rischio, tuttavia, che l’enorme cifra non sia comunque sufficiente a coprire tutte le spese previste dall’Aia. Secondo il piano ambientale elaborato dalla precedente gestione commissariale, i costi si aggirano intorno ad 1 miliardo ed 800 milioni. Fra impegni di spesa e spesa effettiva, l’Ilva ha giàsborsato circa 500 milioni di euro. Secondo uno studio degli indiani di ArcelorMittal, che per primi hanno formalizzato l’interesse ad acquisire l’Ilva in cordata con Marcegaglia, il conto è quasi del doppio, intorno ai 3,3 miliardi. Secondo i custodi giudiziari incaricati dal gip Todisco di sorvegliare l’intera area a caldo sequestrata nel luglio 2012 ed ancora sotto sigilli (la produzione è stata autorizzata per legge ma sottoposta al rigido rispetto dell’Aia, l’autorizzazione rilasciata dal ministero per l’Ambiente) per mettere in regola gli impianti servono 8 miliardi.
Da Bruxelles, intanto, tuona la Commissione europea. La direzione generale sulla concorrenza vuol vederci chiaro sui soldi del sequestro milanese sbloccati per decreto legge e sul prestito-ponte delle banche favorito dalla garanzia del governo. In entrambi i casi la Commissione europea ha acceso i riflettori e sospetta che si possa trattare di aiuti di Stato, vietati dalle norme sulla concorrenza e sugliinterventi di Stato nelle aziende private. Forse sarà necessario un nuovo piano ambientale da parte del governo, anche perché il piano industriale, che doveva seguire di pochi giorni quello ambientale non è stato ancora elaborato e mancano i bilanci del 2012 e 2013. Vittorio Ricapito,repubblica
Ilva, la Ue ipotizza aiuti di Stato. Nel mirino prestito ponte e decreto ’Terra dei fuochi’
La Commissione europea indaga su presunti aiuti di Stato concessi all’azienda siderurgica Ilva e chiede al governo italiano risposte entro il 20 novembre. La Commissione vuole capire se "lo Stato italiano diventerà azionista di Ilva". La Dg Concorrenza della Commissione ha inviato, lo scorso 20 ottobre, una lettera di otto pagine al governo italiano - dal titolo eloquente "Presunti aiuti a Ilva" - in cui si chiedono ulteriori informazioni, dopo una prima missiva inviata a fine maggio, su tre presunte misure di aiuto, dal trasferimento di fondi sequestrati dalla magistratura alprestito-ponte concesso all’azienda, passando per le bonifiche di aree inquinate con fondi pubblici.
Nuove grane europee per il commissario governativo dell’Ilva Piero Gnudi, dunque. L’Ue chiede chiarimenti sulla situazione economica dello stabilimento siderurgico più grande d’Europa, sulla sua programmazione industriale e si adombrano sospetti di violazione delle norme sulla concorrenza ed aiuti di Stato alle imprese private, con riferimento alle stampelle concesse dagli ultimi governi a suon di decreti, leggasi sblocco delle somme sequestrate per reati fiscali ai Riva e convertite in azioni di Ilva spa e prestito-ponte concesso dalle banche con la garanzia del governo.
La Commissione europea chiede delucidazioni sulle ultime due leggi approvate sull’Ilva, in particolare la "Ilva-Terra dei fuochi" che prevede il trasferimento delle somme sequestrate dai pm milanesi nell’inchiesta a carico di Emilio Riva (morto ad aprile) e suo nipote Adriano, indagati per frode fiscale. Invirtù della norma, le somme sequestrate sono state sbloccate dal gip di Milano e saranno intestate al fondo unico di Giustizia, gestito da Equitalia per diventare azioni di Ilva. La Commissione quindi si chiede se lo Stato italiano diventerà così azionista del siderurgico. Quanto al prestito-ponte di 250 milioni di euro (per metà già erogato) concesso da un pool di banche con la garanzia della prededucibilità da parte del governo (cioè la priorità di credito in caso di fallimento o insolvenza), la Commissione ritiene che si tratti di un vero e proprio aiuto di Stato (al ministero dello Sviluppo economico si sono tenute riunioni con associazioni di categoria ed enti locali per garantire la priorità al pagamento di fornitori e stipendi).
La Commissione intende fare i conti in tasca all’Ilva. Chiede di indicare l’ammontare delle esigenze di liquidità di Ilva al momento della concessione del prestito-ponte di 125 milioni di euro e copie dei bilanci degli anni 2012 e 2013, nonchéinformazioni sulla situazione finanziaria aggiornata ad ottobre 2014 per capire se l’Ilva è o non è da considerare impresa in difficoltà. Le ragioni esposte nella precedente lettera del governo Renzi, secondo cui l’Ilva non è da considerare in difficoltà, sono state ritenute insufficienti. Fra le richieste, anche copia del piano industriale, che nonostante dovesse seguire a breve quello ambientale approvato prima dell’estate, non è ancora pronto.
Quanto alle questioni ambientali, la Commissione chiede all’Ilva copia delle sentenze dei magistrati e dei provvedimenti di sequestro e misure cautelari a carico dei proprietari e legali rappresentanti di Ilva. In particolare viene chiesto di spiegare la connessione fra inquinamento contestato con la sentenza passata in giudicato nel 2005 e l’inquinamento attuale contestato dalla magistratura tarantina nel maxi procedimento per disastro ambientale e dalla stessa Commissione che ha aperto a carico dell’Italia una procedura d’infrazione perviolazione delle norme sull’inquinamento ambientale. La Commissione vuol sapere se nel caso di acquisizione di Ilva e costituzione di una new company (dove confluiscono impianti, personale ed attività industriale) ed una bad company (dove restano contenziosi e perdite), le richieste di risarcimento per danni ambientali possano subire limitazioni, alla luce del principio "chi inquina paga". Per lo stesso principio, la Commissione si chiede come mai sia lo Stato a pagare i 119 milioni di euro per le bonifiche delle aree vicine allo stabilimento inquinate a causa dell’Ilva.
La Commissione vuole una risposta entro il 20 novembre, altrimenti potrebbe ingiungere all’Italia di fornire le informazioni richieste o addirittura aprire una procedura d’investigazione formale. Dopo aver ricevuto la lettera, il commissario governativo Piero Gnudi nei giorni scorsi è volato  a Bruxelles per cercare di fornire tutti i chiarimenti del caso.Vittorio Ricapito,repubblica
Ilva: 1,2miliardi per continuare a inquinare?
A Taranto la situazione dell’Ilva continua a complicarsi notevolmente dal punto di vista legale, senza che nessun beneficio o cambiamento si possa intravedere nel futuro più o meno immediato della città.
La scorsa settimana, il Tribunale di Milano ha accordato alla struttura di Commissariamento che gestisce l’Ilva l’uso delle somme poste sotto sequestro in procedimenti penali a carico di Emilio e Adriano Riva, per i reati contestati di truffa ai danni dello Stato e trasferimento fittizio di beni.
Il gip D’Arcangelo, del tribunale di Milano, ha concesso il trasferimento del tesoro di 1,2 miliardi di euro all’azienda in forza di un decreto legislativo inizialmente emanato nel 2013 e poi modificato nel 2014.
Il Commissario Straordinario Piero Gnudi aveva infatti chiesto il trasferimento delle somme per realizzare, secondo quanto affermato, l’adeguamento dello stabilimento di Taranto alle prescrizioni del piano previstodall’Autorizzazione integrata ambientale (Aia), per evitare che gli impianti continuassero ad inquinare.
Ma quelle somme liberate dal Tribunale di Milano sarebbero dovute rimanere ben protette a garanzia soprattutto del futuro di Taranto, per quando davvero le bonifiche fossero state progettate e avviate.
Invece, il Tribunale di Milano ha trascurato il fatto che l’Ilva è un’azienda ancora privata e che, secondo il principio europeo della concorrenza leale, non si possono utilizzare fondi statali per le attività correnti di alcuna impresa. Si potrebbe configurare un aiuto di Stato nel momento in cui queste somme fossero confiscate e, a procedimento penale concluso, lo Stato non riuscisse più a recuperarle in quanto il Tribunale di Milano ha sostituito la garanzia monetaria in titoli derivanti dall’aumento del capitale di Ilva equivalente ai 1,2 miliardi trasferiti. Titoli che potrebbero perdere in futuro il loro valore iniziale. A quel punto, il Tribunale si troverebbe con unpugno di mosche in mano e la somma a garanzia dello Stato e delle bonifiche da condurre andrebbe persa.
Peacelink non ha mancato di informare la Commissione Europea del fatto che la manovra in questione potrebbe configurarsi come aiuto di stato e che potrebbe ledere il diritto della città a un “risarcimento”. La Commissione sta investigando sul caso.
Dove sono i progetti di bonifica di cui parla il Commissario Gnudi e per realizzare i quali ha necessità di quei fondi? E se, come si teme, le somme trasferite all’Ilva dovessero invece essere utilizzate per pagare le spese correnti di un’impresa che pare essere in crisi di liquidità, al fine di mandare avanti le attività in corso e quindi continuare a produrre inquinando?
Accade quindi che l’azione del Tribunale di Milano vada contro quanto afferma il Gip Patrizia Todisco del Tribunale di Taranto, che qualche giorno fa ha scritto in una lettera alla Procura di Taranto che l’attività criminosa dello stabilimento continua in modoesattamente uguale a quanto accadeva in passato.
Sembrerebbe che lo Stato blocchi lo Stato, così supportando le azioni del Governo.
Milano sconfessa Taranto, dove si lotta quotidianamente non per la sopravvivenza di un’impresa ma per la vita degli operai e dei cittadini.
Quali bonifiche vuole realizzare l’Ilva se gli impianti inquinanti sono ancora in funzione?
E che status ha l’azienda al momento attuale? E’ un’impresa privata mandata avanti con fondi che sarebbero potuti diventare pubblici? Ma sarà venduta, perché le trattative e le dichiarazioni dei gruppi interessati sono palesi.
La lettera del Gip Todisco alla Procura, supportata dalle relazioni dei tre custodi giudiziari (nominati dopo il sequestro dell’area a caldo nel luglio 2012), sottolinea che l’impatto nefasto sulla salute pubblica causato dalla prosecuzione dell’attività dello stabilimento non si è mai arrestato.
I custodi giudiziari affermano che il 75% degli interventi ambientali di cui parla ilCommissario Gnudi non è riscontrabile nello stabilimento, e che comunque si tratterebbe di interventi che non hanno il potere di limitare in modo certo gli effetti negativi delle emissioni sulla popolazione e sull’ambiente.
Intanto Gnudi, parlando in commissione bicamerale sulle ecomafie, ha detto che qualsiasi offerta di acquisto dello stabilimento sarà vagliata alla luce degli impegni che i gruppi interessati prenderanno nei confronti dell’ambiente e dell’occupazione. La frase scatena ilarità.
A Renzi, che era atteso la settimana prossima a Taranto ma che pare aver annullato la visita, occorre dire che non è questa la strada per uscire dall’impasse. Il Governo sta sbagliando strategia. Non si può continuare a condannare a morte una popolazione intera in attesa di non si sa bene cosa, celandosi dietro scuse emergenti di volta in volta. Lo stabilimento di Taranto è obsoleto, pericoloso, non in regola, non risponde più ad alcuna legge europea (quelle nazionali le modificano ad hocquindi non fanno più testo). Impresa e occupazione devono andare di pari passo con innovazione e futuro: lo stabilimento così com’è inquina e provoca malattia e morte (lo dicono le perizie del Tribunale) e a Taranto non ci sono alternative all’Ilva.
Va creato un piano d’emergenza per mettere fine alla situazione attuale, impiegando gli operai nelle bonifiche e valutando un ambizioso progetto di riconversione e di sviluppo economico e sociale di tutta l’area.
Non si attenda più. Non fa certo onore al primo articolo della Costituzione mandare gli operai a lavorare con la condizionale della malattia. Hanno diritto a un lavoro sicuro e Taranto ha diritto a non esser più presa in giro.
Facciamo parte di una Repubblica democratica, fondata sul lavoro, dove la sovranità appartiene al popolo. E’ ora di ricordarlo. AntoniaBattaglia                                    
Ilva, la settimana decisiva in gioco il miliardo di Riva
In questa settimana la commissione Ambiente della Camera avvierà la disscussione sulla risoluzione 7-00503 (primo firmatario Ermete Realacci del Pd) sull’utilizzo immediato dei fondi Riva per le necessarie azioni di risanamento ambientale dell’Ilva di Taranto.
Dopo che il gip di Milano Fabrizio D’Arcangelo ha accolto l’istanza del commissario dell’Ilva, Piero Gnudi, a trasferire nelle casse della società siderurgica il miliardo e 200 milioni sequestrati a maggio 2013 dalla magistratura di Milano ai fratelli Adriano ed Emilio Riva - quest’ultimo è morto ad aprile - per presunti reati fiscali e valutari, una serie di contatti si sono stabiliti tra i legali dell’azienda e l’ufficiodel magistrato lombardo. Da questi, già nei prossimi giorni l’Ilva vorrebbe avere una serie di indicazioni su come entrare effettivamente in possesso della somma sequestrata. Non sarà facile, nè immediato, per l’Ilva venire in possesso della somma sequestrata che il gip, martedì scorso, ha messo a disposizione della gestione commissariale dell’azienda.
Il gip ha applicato quanto prevede la legge e la possibilità di usare i soldi sequestrati ai Riva nel risamento del siderurgico è espressamente prevista da tre leggi - quella del commissariamento dell’estate 2013, quella su Ilva-Terra dei Fuochi dello scorso febbraio e l’ultima dell’estate scorsa - ed è vero che il gip non ha affatto annullato il sequestro ma lo ha solo trasferito dai beni e dalle somme alle nuove azioni da intestarsi peraltro al Fondo unico Giustizia. Ma è altrettanto vero che non ci sono precedenti specifici in materia. Il che rende prima necessario individuare il percorso tecnico-giuridico che consenta - comeprevede la legge - il trasferimento del miliardo e 200 milioni sotto forma di aumento di capitale o come credito in conto di futuro aumento di capitale dell’Ilva. Senza escludere che questo percorso potrebbe essere intralciato da un possibile ricorso al Tribunale del riesame da parte dell’avvocato di Adriano Riva che non solo si è opposto al trasferimento ma ha parlato di incostituzionalità della norma, anche se poi il gip, nell’ordinanza, ha rigettato questa tesi.
"La telenovela dell’Ilva non è finita, vedremo molto probabilmente altri colpi di scena" commentano Michele Pelillo e Salvatore Tomaselli, i due parlamentari pugliesi del Pd che, sul testo dell’ultimo decreto sull’Ilva, hanno lavorato agli emendamenti che hanno reso possibile l’utilizzo dei soldi sequestrati ai Riva, cosa che non c’era nella prima bozza DI metà luglio. Tuttavia anche se la strada è in salita sia i sindacati che le forze politiche di Governo valutano l’atto del gip come un passo avanti.
Secondo imovimenti ambientalisti di Taranto è insensato e inopportuno "cantare vittoria" dopo l’atto del gip di Milano. Per gli ambientalisti infatti il miliardo e 200 milioni dei Riva va "tesaurizzato" per la bonifica dell’area esterna alla fabbrica - suolo e mare - sulla quale si sono riversati anni di emissioni nocive e non impiegato nel capitale dell’impresa. Tuttavia il nodo Milano non chiude la partita dell’Ilva, nè è l’unico. Almeno tre i fronti aperti: la Procura di Taranto, la trattativa per la vendita, il rapporto con la Commissione europea. Alla Procura di Taranto nei giorni scorsi il gip di Taranto, Patrizia Todisco, ha inviato una lettera con allegata la relazione dei custodi giudiziari, in cui afferma che l’Ilva continua a inquinare. Il gip rimette il caso alla valutazione dei pm. Da considerare che l’Ilva ha già gli impianti sotto sequestro, sia pure con facoltà d’uso. Nelle scorse ore, inoltre, un altro movimento ambientalista, Fondo antidiossina, ha inviato sempre alprocuratore di Taranto, Franco Sebastio, e postato un filmato dove si vedono bagliori rossastri nelle ore notturne provenienti, si afferma, dall’area Gestione rottami ferrosi dello stabilimento. Il Fondo antidiossina sottopone le immagini alle valutazioni del procuratore cui si chiede di intervenire.
Riguardo alla trattativa, il provvedimento del gip potrebbe dare un’accelerata al negoziato che, allo stato, vede tre soggetti in campo: Arcelor Mittal con Marcegaglia, Jindal, Arvedi con un gruppo brasiliano. Fra i tre, la trattativa più avanzata è con Arcelor Mittal come sia il commissario Gnudi che il ministro Federica Guidi hanno più volte detto. E ora che sembra profilarsi una schiarita sui costi del risanamento con la possibilità che una buona parte se li accolli la stessa Ilva - tema posto dagli acquirenti al commissario - è probabile che Arcelor Mittal avanzi l’offerta economica dopo la manifestazione di interesse. L’offerta potrebbe arrivare a metà mese e consentirebbe dimettere la trattativa per la vendita su binari diversi. Nel contempo sarebbe anche un segnale per le banche, che attendono che la nuova, possibile compagine societaria si chiarisca.
Le banche infatti devono erogare all’Ilva altri 125 milioni della seconda rata del prestito ponte da 250 milioni. Infine la Commissione europea nelle scorse settimane ha inviato al Governo una nuova lettera di contestazioni per le violazioni ambientali chiedendo a Roma un parere motivato. Si tratta di un avanzamento della procedura di infrazione aperta verso l’Italia a settembre 2013 a cui ora il Governo deve dare unarisposta.                                                                                                       Inala monossido di carbonio, operaio Ilva in camera iperbarica
Un lavoratore dello stabilimento Ilva di Taranto ha accusato un malore, senza perdita di coscienza, dovuto a inalazione di monossido di carbonio. E’ accaduto durante un controllo di routine dei circuiti di raffreddamento ad acqua dell’Altoforno 5. In una nota l’azienda precisa che l’uomo, di 31anni, è stato prontamente soccorso dal servizio sanitario interno e trasferito presso l’Ospedale Militare di Taranto per essere sottoposto a terapia iperbarica.
"Ilva inquina ancora"  nubi di veleni di Taranto
L’Ilva avvelena ancora Taranto. Un nuovo video sulle emissioni inquinanti del polo siderurgico è stato diffuso dal presidente del Fondo Antidiossina onlus, Fabio Matacchiera, che ha puntato l’obiettivo di fotocamera e videocamera sull’area Gestione rottami ferrosi. In questo reparto "con una cadenza che varia tra i 20 e i 50 minuti circa - spiega l’ambientalista - vengono svuotate sul terreno (area non pavimentata a dispetto delle norme) le enormi paiole dei carri siluri che portano con sé tonnellate di scorie di ghisa e di acciaio ancora incandescenti, causando una enorme diffusione di materiale polverulento e di emissioni pericolose non controllate in atmosfera". L’ambientalista si rivolge al procuratore di Taranto, Franco Sebastio, chiedendo "qualiiniziative abbia assunto, in linea con le indicazioni della Corte Costituzionale, a seguito dei numerosi esposti, denunce, filmati e documentazione fotografica e, a seguito, soprattutto, delle relazioni periodiche dei custodi giudiziari e delle informative degli organi di polizia giudiziaria, da cui si evince - conclude - che i fenomeni emissivi e inquinanti, connessi alla gestione degli impianti in sequestro, perdurano pressoché invariati e tutto ciò in evidente violazione di quanto affermato dalla Corte Costituzionale".r
Endometriosi a Taranto, “L’inquinamento è la causa?” Esposto in Procura
Sono state le emissioni nocive dell’Ilva e della zona industriale di Taranto a causare la diffusione dell’endometriosi in Puglia e l’infertilità nelle donne della provincia ionica? È quanto vogliono sapere i componenti del comitato Taranto Lider, donne tarantine che da anni hanno intrapreso una battaglia a tutela delle migliaia di donne affette dalla grave e semisconosciutapatologia che, nei casi più gravi, può portare all’infertilità femminile. Con un esposto alla procura guidata da Franco Sebastio, infatti, il comitato ha chiesto di verificare se vi sono nessi causali tra inquinamento e malattia, soprattutto dopo le dichiarazioni allarmanti formulate dagli esperti nominati dal gip Patrizia Todisco nelle maxi perizie divenute pietre miliari dell’inchiesta Ilva.
I periti, infatti, hanno spiegato che tra “le manifestazioni acute da diossine” c’è anche “l’endometriosi” anche se hanno poi aggiunto che “i tempi estremamente ridotti con cui il progetto di studio epidemiologico è stato condotto (8 mesi per progettazione, acquisizione dati, controllo di qualità, analisi statistica e redazione del rapporto) non hanno permesso analisi aggiuntive e valutazioni dettagliate” ed è quindi necessario proseguire con la “caratterizzazione della fertilità e della salute riproduttiva. Questi aspetti – scrivono i periti – non sono stati considerati nella presenteindagine ma devono essere valutati con attenzione specie in relazione ai possibili effetti tossici degli Ipa (idrocarburi policiclici aromatici, ndr) e delle diossine”.
Ma cos’è l’endometriosi? “L’ endometriosi è una malattia complessa – ha spiegato a ilfattoquotidiano.it Maria Teresa D’Amato – originata dalla presenza anomala del tessuto che riveste la parete interna dell’utero, l’endometrio, in altri organi quali ovaie, tube, peritoneo, vagina, intestino, vescica, ureteri e reni. È una malattia subdola che se non diagnosticata tempestivamente provoca infiammazioni croniche, aderenze e persino infertilità. II violento dolore pelvico cronico durante il ciclo, l’ovulazione e durante i rapporti sessuali, la stanchezza cronica e gli effetti collaterali che colpiscono le donne che ne sono affette, purtroppo, impediscono spesso una normale vita sociale, familiare ed anche professionale”.
E così, a distanza di due anni da quelle perizie, le donne di Taranto Lider hanno chiesto allaprocura ionica di continuare a indagare sulla vicenda. Una nuova battaglia da vincere, insomma. Come quella sulla legge regionale sull’endometriosi approvata dal consiglio pugliese lo scorso 30 settembre dopo la proposta giunta proprio dalle donne tarantine. “Abbiamo pensato che non basta denunciare – ha raccontato Roberta Villa – perché la denuncia non offre garanzie alle donne e così, sul modello friulano, abbiamo lavorato alla proposta di legge della quale la consigliera Annarita Lemma (Pd) è prima firmataria”. La proposta è così diventata legge, la seconda in Italia dopo il Friuli, con il voto bipartisan. “Ma noi non ci fermiamo – ha annunciato Grazia Maremonti – perché vogliamo che l’istituzione del registro regionale dell’endometriosi diventi realtà. E previsto dalla legge. Purtroppo i casi sono davvero tanti: è un problema che affligge quasi 3 milioni di donne in Italia (dato notevolmente sottostimato e relativo ad uno studio del 2004) e purtroppo la diagnosi completa avvieneanche dopo 9 anni dai primi sintomi. La Regione Puglia ha fatto il primo passo, ora bisogna continuare su questa strada per restituire dignità alle donne che soffrono in silenzio. Lo sa che tante tarantine affette da endometriosi hanno scelto di non firmare l’esposto perché il marito lavora all’Ilva?”.Francesco Casula-ilfatto-29 ottobre 2014                                                                                                           
Papa Francesco agli operai Ilva: "Il lavoro è dignità"
In occasione della celebrazione per il venticinquesimo anniversario della visita pastorale a Taranto di papa Giovanni Paolo II e nel ricordo dello storico incontro del beato Paolo VI con i lavoratori dell’italsider la notte di Natale del 1968, papa Francesco ha inviato un messaggio all’arcivescovo di Taranto Filippo Santoro tramite il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin.
Il pontefice "rivolge il suo cordiale e beneaugurante saluto auspicando che la memoria di tali significativi avvenimenti contribuisca a rafforzare i propositi di fedele adesione a Cristo e di generoso servizio alla Chiesa e ai fratelli".
Papa Francesco rivolge "il suo affettuoso pensiero ai lavoratori in difficoltà e alle loro famiglie ed auspica che si riscopra il valore del lavoro umano al servizio della promozione della dignità di ogni persona e della elevazione culturale e morale della società, nella salvaguardia delcreato o dei suoi fondamentali equilibri".                    
Ilva, dissequestrati 1,2 miliardi. "Diritti a lavoro e salute prioritari su quelli patrimoniali"
Il Gip di Milano, Fabrizio D’Arcangelo, ha accolto la richiesta avanzata dal commissario straordinario dell’Ilva, Piero Gnudi, di sbloccare e trasferire nella casse del gruppo 1,2 miliardi di euro circa, cifra sequestrata dalla procura di Milano nell’inchiesta a carico di Adriano Riva e due commercialisti. "Nel conflitto tra i diritti proprietari dei soggetti attinti da trasferimento coattivo e gli interessi costituzionalmente rilevanti al diritto all’ambiente salubre, al lavoro e alla salute, i primi" assumono "una valenza necessariamente subvalente", ha detto il Gip ricordando di fatto la superiorità dei diritti a lavoro e salute di fronte a quelli patrimoniali.
La richiesta di trasferimento dei fondiall’azienda era stata avanzata dal  commissario governativo, appunto l’ex ministro Gnudi, per finanziare il piano di bonifica ambientale dell’azienda, che secondo l’ex subcommissario Edo Ronchi vale complessivamente circa 1,8 miliardi di euro.
I fondi sono stati sequestrati nell’ambito di un’inchiesta sul rientro in Italia - grazie al cosiddetto scudo fiscale - di denaro fatto figurare come patrimonio familiare e che invece sarebbe stato prelevato dalle casse dell’azienda. In quella occasione, nell’ordinanza di sequestro si giustificò la decisione, indicando che i fondi "costituiscono il provento dei delitti di appropriazione indebita continuata e aggravata" da parte degli indagati "ai danni della Fire Finanziara spa (oggi Riva Fire, ndr), di truffa aggravata, di infedeltà patrimoniale e di false comunicazioni sociali, oltre che di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici e di trasferimento fraudolento di valori".
Nel corso dell’udienza del 17 ottobre scorso, ladifesa di Adriano Riva - principale indagato nell’inchiesta, dopo la morte del fratello Emilio - ha sollevato eccezione di incostituzionalità, affermando che la misura richiesta sarebbe anche contraria alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
I pubblici ministeri Stefano Civardi e Mauro Clerici, sulla richiesta del commissario Gnudi, si erano rimessi alla volontà del giudice, precisando però che in caso di una decisione favorevole i fondi dovranno andare al piano ambientale di Ilva, e non per altri scopi.
L’azienda deve attuare - entro agosto 2016 - le prescrizioni della nuova Autorizzazione integrata ambientale (Aia) decisa dal governo Monti dopo che nell’estate del 2012 la procura sequestrò gran parte degli impianti di Taranto, la più grande acciaieria d’Europa, nell’ambito di un’inchiesta per disastro ambientale. r          Ilva, il gip scrive allaprocura: "Attività criminosa mai interrotta"
La situazione ambientale dell’Ilva di Taranto torna di nuovo nel mirino del gip di Taranto, Patrizia Todisco. Il gip, come riferisce "La Gazzetta del Mezzogiorno", ha inviato una lettera alla Procura di Taranto con le relazioni dei custodi giudiziari affermando che "l’attività criminosa non si è mai interrotta" in merito alla prosecuzione dell’attività industriale e al suo impatto sulla salute pubblica con le emissioni inquinanti. La lettera del gip alla Procura di Taranto - il magistrato che scrive è lo stesso che il 26 luglio del 2012 ha disposto il sequestro dell’area a caldo senza facoltà d’uso - intensifica l’attenzione della magistratura sull’impianto siderurgico.
La lettera o quantomeno un nuovo intervento dell’autorità giudiziaria per l’Ilva, era però nell’aria. Da luglio 2012, infatti, lo stabilimento - pur tra alterne vicende giudiziarie - non ha mai cessato di essere sotto la lente dei magistrati di Taranto. Provane è che i quattro custodi giudiziari nominati dallo stesso gip dopo il sequestro - tre con funzioni tecnico-impiantistiche e uno con funzioni amministrative-contabili - in tutti questi mesi hanno continuato a fare ispezioni e sopralluoghi nell’Ilva e a documentare l’autorità giudiziaria del loro lavoro.
Un’attività di controllo "parallela" a quella condotta dall’Arpa Puglia e dall’Ispra, istituto, quest’ultimo, delegato dalla legge a verificare lo stato di attuazione delle prescrizioni dell’Autorizzazione integrata ambientale. E che i riscontri dati dai custodi non fossero positivi, era cosa abbastanza nota. Inoltre, appena l’altro ieri sera in un dibattito pubblico a Taranto uno dei custodi giudiziari, Barbara Valenzano dell’Arpa Puglia, ha detto che il 75% degli interventi ambientali realizzati nel siderurgico secondo quanto detto di recente dal commissario Piero Gnudi, "non sono riscontrati dall’Arpa". Per Valenzano, si tratterebbe di interventi effettuati "sicuramenteimportanti, ma non quelli che hanno un impatto maggiore sull’abbattimento delle emissioni inquinanti. L’abbattimento del livello produttivo comporta gioco forza - ha detto Valenzano - l’abbattimento del benzoapirene, ma non vuol dire che tutto è migliorato, per cui non è possibile fare raffronti e dire se impianto è efficiente o meno".
Gnudi ha fornito il dato del 75%, parlando di impegno finanziario di 583 milioni di euro - in parte riveniente dalla precedente gestione commissariale di Enrico Bondi - intervenendo nei giorni scorsi alla commissione Industria del Senato e lo ha ribadito, poi, nella sua prima relazione sull’andamento di gestione dell’azienda. In quanto alle emissioni inquinanti, l’Arpa Puglia ha ripetutamente detto in questi mesi che la situazione a Taranto per una serie di inquinanti, dalla diossina al benzoapirene, è oggettivamente migliorata rispetto a due anni fa, ma che si tratta di un miglioramento dovuto al fatto che il siderurgico marcia al di sotto della suapotenzialità e che molti impianti, a partire dalle cokerie che hanno un maggior impatto, sono ferme.
Intanto il commissario straordinario Piero Gnudi, parlando in commissione bicamerale sulle ecomafie ha spiegato che "ai gruppi che si sono affacciati" perché interessati all’Ilva ho posto due condizioni a cui non si può rinunciare: il rispetto dell’Aia e dei livelli occupazionali".
"Il costo dell’Aia è un macigno che pesa - ha spiegato - Siamo aperti a modifiche per diverse soluzioni tecniche ma sul livello di emissioni non ci sono margini di discussione".
I problemi di inquinamento a Taranto, ha proseguito Gnudi, "si possono risolvere con volontà e denaro. L’Aia non dice dove prendere il denaro. C’è speranza, ma non sicurezza, che si potrà prendere il denaro dai Riva. Il problema, però, è il tempo: fra dieci anni i soldi non mi servono, perché l’Aia dà tempi ristretti".
Sulla qualità dell’aria, Gnudi ha detto che "attualmente è buona sia per gli interventi fatti sia per laminore produzione". "Andremo presto a Bruxelles a chiarire tutti i termini per evitare la procedura di infrazione", ha aggiunto. Quanto al rispetto dei livelli occupazionali, il commissario ha spiegato di non essere disponibile "a una svendita nè ad una liquidazione. Chi compra deve mantenere gli attuali livelli occupazionali". r
Reati ambientali, il governo prepara il colpo di spugna
Il Ministro all’Ambiente Galletti il 16 ottobre scorso, in audizione alla Camera presso la Commissione Ecomafie, ha sollecitato l’approvazione del Disegno di Legge 1345 sui reati ambientali. Coincidenza delle date: il 16 ottobre è stato il giorno in cui la Commissione Europea ha lanciato il “parere motivato”, nell’ambito della procedura d’infrazione contro l’Italia per la questione Ilva. Il 16 ottobre è anche il giorno in cui c’è stata la prima udienza preliminare per il Processo Ilva “Ambiente Svenduto”.
Il Ministro ha affermato che il Ddl è da approvare immediatamente,considerata la portata delle novità che esso comporta in materia di reati ambientali. Ma in realtà il testo approvato alla Camera e in discussione al Senato è molto pericoloso e desta numerose perplessità perché costituisce una vera e propria sanatoria per chi è o sarà accusato di aver commesso crimini ambientali.
In poche parole, il Ddl vuole sancire il danno ambientale definito come “alterazione irreversibile dell’ecosistema”, senza tuttavia specificare i concetti di “compromissione” e di “deterioramento” dell’ambiente stesso, lasciando così ampi margini d’interpretazione a chi dovrà giudicare reati gravi, come quelli ipotizzati a Taranto.
L’astrazione della definizione di reato ambientale e il lavoro di ricognizione scientifica che il testo chiama in causa fanno presupporre che il reato sarebbe ipotizzabile solo dopo lunghi anni di studio e di ricerca, visto che per dichiarare "irreversibile" un danno ambientale, si dovrebbe aver già provato a ripristinare la situazioneantecedente all’inquinamento, attraverso una serie di tentativi di bonifica e di decontaminazione.
Inoltre, portando la punibilità del reato di disastro ambientale al livello di meri regolamenti degli enti territoriali locali, si perseguirebbero illeciti anche pesanti con semplici sanzioni amministrative.
Il reato verrebbe totalmente depotenziato. Inoltre, il ravvedimento operoso dell’inquinatore, previsto nella nuova norma, comporterebbe una significativa riduzione della pena (fino ai due terzi della stessa). Una legge-condono che implica, inoltre, che i reati da giudicare vengano sottratti al giudizio dei Tribunali locali competenti e trasferiti alla Procura Nazionale Antimafia.
Il Ddl 1345 è pericoloso per Taranto e per le altre realtà italiane dove sono in atto reati ambientali. Per il processo Ilva, la conseguenza dell’approvazione della nuova legge potrebbe essere quella di una revisione delle richieste di rinvio a giudizio e quindi dell’apertura di una battaglia legalemirante a sfruttare le numerose ambiguità del nuovo testo.
Il Disegno di Legge 1345 è l’arma che può salvare chi è reo di gravi crimini ambientali.
Nel frattempo, a Taranto va di modo il “Toto-Ilva”. Cosa accadrà? Chi acquisterà l’Ilva? Che ne sarà dei posti di lavoro, delle bonifiche, del diritto di una città intera a esser risarcita economicamente e moralmente?
Si parla molto, in questi ultimi giorni, del rischio concreto di fallimento per il gruppo siderurgico. Pochi giorni fa, fonti di Arcelor Mittal davano ancora per certo l’accordo per l’acquisto dell’Ilva insieme al gruppo Marcegaglia, con l’escamotage della creazione di una “new company” che riparta da zero e di una “bad company” alla quale accollare i debiti, il passivo, il processo, le bonifiche, insomma tutto il dramma di Taranto.
Si è in attesa della decisione del Tribunale di Milano sul dissequestro degli 1,2 miliardi di euro, bloccati alla Famiglia Riva per altro processo. Il Commissario Gnudi dice che queifondi sono necessari a completare i lavori dell’AIA, della stessa AIA che la Commissione Europea rileva come non rispettata. Ma, come nelle migliori tradizioni, l’Ilva afferma che l’AIA è completata al 75% e che presto a Bruxelles metteranno in chiaro che quello di Taranto è uno dei migliori stabilimenti europei.
Quindi, da quello che si evince, il Governo vorrebbe paventare il rischio fallimento per poter realizzare rapidamente la “svendita” dello stabilimento al gruppo Marcegalia e al gruppo Arcelor. Con quali garanzie per il futuro della città? Se passivo, debiti, responsabilità civili e bonifiche dovessero davvero esser rifilati alla “bad company” in fallimento, cosa ne sarebbe del futuro della città e del principio europeo del “chi inquina paga”?
Quali sono le garanzie per gli operai e per le opere di bonifica? E questo comporterebbe quindi che la "nuova Ilva" continuerebbe a produrre con gli stessi stabilimenti non a norma?
Il Governo non fa chiarezza. Taranto è unabomba a orologeria: sono in atto una pesante infrazione europea, un processo, una crisi sociale ed economica molto grave, una crisi sanitaria e ambientale senza pari. Cosa altro deve accadere prima che il Governo prenda atto della necessità e dell’urgenza di chiudere gli impianti inquinanti e di risolvere la questione una volta per tutte?
Taranto ha diritto a una via d’uscita dignitosa. Vogliamo la fine di questo psico-dramma. Vogliamo esser risarciti e che l’ambiente sia bonificato e vogliamo che i nostri operai non siano lasciati alla mercé di elementi incerti ma che i loro diritti vengano rispettati e garantiti. Antonia Battaglia
Infortunio all’Ilva, il gip rinvia la decisione sullo sblocco dei soldi
Un operaio è rimasto ustionato al volto in un incidente all’Ilva di Taranto. L’infortunio è accaduto nell’acciaeria 1, mentre l’operaio era impegnato in un intervento di manutenzione. In una nota, l’azienda ha reso noto che da una tubazione in riparazione,contenente al suo interno calce, è fuoriuscito un flusso di materiale che ha investito l’operaio, che ha riportato una ustione in prossimità degli occhi. Sul posto è prontamente intervenuto il personale del servizio sanitario di stabilimento, che ha provveduto al trasferimento presso l’ospedale Moscati di Taranto.
Ma l’attenzione per l’Ilva riguarda anche il pronunciamento del gip che si è riservato di decidere sulla richiesta del commissario straordinario del siderurgico Piero Gnudi, si sbloccare 1,2 miliardi di euro sequestrata nell’ambito dell’indagine di Milano. La decisione è attesa per i prossimi giorni. La somma fu sequestrata nel maggio 2013 alla famiglia Riva nell’ambito dell’indagine dei pm Stefano Civardi e Mauro Clerici nella quale Adriano Riva e due commercialisti rispondono di truffa ai danni dello Stato e di trasferimento fittizio di beni.
Il gip milanese Fabrizio D’Arcangelo, davanti al quale si è tenuta l’udienza a porte chiuse per discutere l’istanza presentatain base al decreto
legge "Terra dei fuochi", si è riservato di decidere. La difesa di Adriano Riva ha sollevato eccezioni relative al possibile contrasto della norma con la Costituzione e con la Cedu (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo). I pm, invece, non si sono opposti all’istanza, ma hanno sottolineato nei loro interventi che i soldi, qualora andassero all’Ilva, dovrebbero essere utilizzati solo per il piano ambientale, come prevede la legge, e non per altri scopi.(...)
Ilva: veleni, rifiuti e inquinamento delle acque. Ecco tutte le contestazioni dell’Ue
La Commissione europea, che a settembre 2013 ha aperto una procedura d’infrazione contro l’Italia sul caso Ilva di Taranto, passa alla fase 2: invia il parere motivato alle autorità italiane con cui mette nero su bianco l’accusa di violazione di norme ambientali per non aver vigilato a sufficienza sui gravi problemi di inquinamento del più grande impianto siderurgico d’Europa.
L’Italia, scrive lacommissione presieduta da Janez Potocnick, non ha provveduto a far sì che l’Ilva funzioni in conformità alla normativa UE in materia di emissioni industriali, con conseguenze potenzialmente gravi per la salute umana e per l’ambiente. La Commissione ha già inviato all’Italia due lettere di messa in mora, nel settembre 2013 e nell’aprile 2014, con le quali ha invitato le autorità italiane ad adottare misure per assicurare che l’esercizio dell’impianto venga messo in conformità con la direttiva sulle emissioni industriali. Sebbene alcune carenze siano state risolte, si registrano ancora diverse violazioni: l’inosservanza delle condizioni stabilite nelle autorizzazioni, l’inadeguata gestione dei sottoprodotti e dei rifiuti e protezione e monitoraggio insufficienti del suolo e delle acque sotterranee.
"Si tratta di pericoli ancora attuali  -  commenta Alessandro Marescotti di Peacelink leggendo la lettera inviata all’Italia in conferenza stampa a margine dell’udienzapreliminare sul caso Ilva  -  la Commissione europea ci scrive che esistono ancora oggi emissioni non controllate e polveri che escono dalla fabbrica con conseguenze potenzialmente gravi per la salute della popolazione locale e per l’ambiente circostante. L’Europa indica all’Italia che l’Ilva non rispetta le prescrizioni dell’Aia (autorizzazione integrata ambientale) in numerosi settori. Le prove di laboratorio evidenziano un forte inquinamento dell’aria, del suolo, delle acque di superficie e delle falde acquifere. In particolare, l’inquinamento del quartiere cittadino di Tamburi è riconducibile alle emissioni dell’acciaieria".
Canta vittoria Antonio Battaglia, l’anima "europea" di Peacelink, che da Lussemburgo commenta "Credo che Taranto debba essere presa per i capelli dall’Europa prima che affondi definitivamente. In
Italia non c’è volontà politica di salvarla. Per questo abbiamo da tempo spostato le nostre battaglie a Bruxelles relazionando dettagliatamente suquanto accade a Taranto. Ora l’Italia rischia di finire davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione una seconda volta dopo la condanna del marzo 2011 per il mancato rilascio delle autorizzazioni relative alle emissioni industriali per diversi impianti, fra cui l’Ilva". La Commissione ha concesso all’Italia due mesi per rispondere.(...)
Bonifiche Ilva, i Riva: Non con i nostri soldi 
La famiglia Riva si oppone all’utilizzo dei soldi che le sono stati sequestrati in Svizzera per il risanamento ambientale dell’Ilva di Taranto. La notizia è emersa oggi durante l’udienza a porte chiuse tenuta al Tribunale di Milano dal giudice per le indagine preliminari Fabrizio D’Arcangelo, che deve decidere sulla proposta avanzata dal commissario straordinario dell’acciaieria, Piero Gnudi, di utilizzare per le bonifiche la somma di 1,2 miliardi sequestrata a Emilio Riva, nel frattempo scomparso, e al fratello Adriano Riva, che si è opposto. Per ora, dunque, I soldi restano neiforzieri di Ubs e Aletti, in attesa che il gip sciolga la riserva (non è stata indicata una data) sulle questioni messe sul tavolo durante l’udienza di questa mattina, da cui molti si aspettavano uno sblocco della situazione.
Le attese, infatti, erano per una decisione positiva, alla luce della norma ad hoc introdotta nel febbraio di quest’anno dal governo di Matteo Renzi, grazie alla quale l’ingente somma avrebbe potuto rientrare in Italia per essere utilizzata da Gnudi per dare corpo al piano di risanamento ambientale, imprescindibile per riportare in piena operatività il grande stabilimento pugliese e favorire l’acquisto da parte di uno dei gruppi che si sono candidati.
Da quel che è trapelato dopo l’udienza, si comprende invece che il percorso è ancora irto di ostacoli e che il lieto fine è tutt’altro che scontato. Innanzitutto perché i difensori di Adriano Riva, azionista di minoranza del gruppo Riva Fire-Ilva, hanno posto una questione di costituzionalità. Se il gip lariterrà ricevibile dovrà attivare la Corte Costituzionale, con i tempi che ne conseguono; in caso contrario egli stesso potrà rigettarla per manifesta infondatezza o irrilevanza.
La procura invece non si è opposta a questo meccanismo, ma ha messo sul tavolo una serie di questioni sostanziali che, a parer dei pm Stefano Civardi e Mauro Clerici, andrebbero valutate attentemente. Il nodo centrale del ragionamento è la certezza che i fondi vengano effettivamente utilizzati per la messa in regola degli impianti. La norma voluta dal governo prevede che si proceda a un aumento di capitale di Ilva, ma se la società dovesse fallire prima del compimento dei lavori dove andrebbero a finire queste somme? Entrerebbero nel riparto dei creditori, in massima parte banche, e a Taranto resterebbero solo le macerie ambientali.
Per evitare questo pericolo la strada da percorrere sarebbe quella dell’entrata in una procedura concorsuale della società, ad esempio sotto l’egida di una Prodi bis o altranorma creata ad hoc. Una volta messa in salvo la continuità aziendale, sulla quale adesso vi sono molti dubbi, si potrebbe procedere con il grande riassetto delle attività, sia ambientale sia economico. Ma questo vuol dire che la famiglia Riva dev’essere totalmente estromessa dalla proprietà e che non abbia più alcuna voce in capitolo neanche nella sua cessione. Alfredo Faieta,l’espresso                                 Ilva, Verdi: “Bruxelles sconfessa operato commissario Gnudi ministro Galletti”
“Una secca sconfessione dell’operato del commissario Gnudi e del ministro dell’Ambiente Galletti“. Il co-portavoce dei Verdi, Angelo Bonelli, ha così definito la decisione della Commissione europea di andare avanti con la procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia per il caso Ilva. “La decisione dellaCommissione europea di depositare un parere motivato e di continuare nella procedura d’infrazione contro il governo italiano – ha detto -, perché non avrebbe fatto abbastanza per garantire gli impegni sull’Ilva, è una secca sconfessione dell’operato del commissario Gnudi, che proprio ieri aveva parlato dell’attuazione del 75% delle prescrizioni ambientali nello stabilimento siderurgico di Taranto, e del ministro dell’Ambiente Galletti”.
Stupore, invece, da parte di Gnudi: “In realtà, abbiamo approvato una Aia che è una delle più avanzate che esiste al mondo. La stiamo attuando, e mi sono anche un pò meravigliato che ci sia ancora questa procedura di infrazione – ha detto – Andremo a Bruxelles a cercare di chiarire la nostra posizione”. Quanto alla situazione dell’azienda, il commissario ha messo le mani avanti: oggi l’Ilva non si può salvare se non si trova un acquirente e le trattative al momento sono con tre pretendenti ArcelorMittal-Marcegaglia, Jindal e Arvedi. “Nel passato siera ritenuto di poter fare da soli, io ritengo che questa strada oggi non sia più percorribile”, salvo un eventuale intervento dello Stato. Quanto alla necessità di non far pesare sul futuro azionista i rischi legati alla gestione passata, per cui si è parlato dell’ipotesi di una bad company, “è un altro di quei tasselli che se non lo mettiamo a posto l’azienda non si vende”. Insomma, per l’Ilva serve un socio “che tra due o tre anni non si ritrovi nella situazione che abbiamo oggi”, ha indicato Piero Gnudi mercoledì in audizione presso la Commissione Industria del Senato. Un candidato che abbia le dimensioni per sostenere da solo una operazione di questa portata “in Italia non c’è”, così “stiamo cercando in tutto il mondo, partendo dalla Cina ed arrivando al Brasile”.
Un lavoro non da poco per l’infaticabile boiardo di Stato ormai prossimo ai 72 anni. Al quale, tuttavia, gli impegni da commissario dell’Ilva, non bastano nemmeno a riempire le giornate. Al punto che l’ex ministrosenza portafoglio per lo sport e il turismo del governo Monti ha trovato il tempo per incastrare nella sua agenda anche l’attività di consigliere del gruppo delle costruzioni Astaldi. Tutto sommato un impegno leggero e un ritorno di fiamma per Gnudi, che già ha fatto parte in passato del cda della società di appalti di opere pubbliche. La nuova poltrona, nel caso in cui ricevesse lo stesso compenso del suo predecessore, frutterà al manager 51mila euro. Poca roba per lui che nella sua carriera ha avuto modo di collezionare incarichi e stipendi ben più consistenti. Per esempio la presidenza dell’Enel nel 2011 gli è valsa poco più di un milione di euro: circa 233mila euro di stipendio, 490mila di bonus e 377mila euro di buonuscita per fine mandato. Importi consistenti che, ai tempi dei tre mandati consecutivi dell’Enel per un totale di nove anni, non rappresentavano gli unici incassi di Gnudi: il commercialista bolognese sedeva infatti anche in altri consigli di amministrazione importanticome quello della prima banca italiana, Unicredit, e del gruppo editoriale di Confindustria, Il Sole 24 Ore.
Proprio i legami con il mondo delle imprese, del resto, hanno contribuito negli anni a fare la sua fortuna. Classe 1938, democristiano doc, è da sempre in sella grazie alle buone amicizie coltivate in Emilia Romagna e nei palazzi romani. Anche in tempi recenti: voci di corridoio riferiscono che sia stato lui, per esempio, a pilotare l’elezione del ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, del cui padre, Guidalberto, Gnudi è molto amico. Con il contributo, naturalmente, del compagno di biciclettate Romano Prodi. Con l’ex presidente del consiglio Gnudi ha da sempre condiviso, oltre alla passione per le due ruote, anche quella per gli studi e le analisi che gli sono fruttate recentemente la presidenza fino al 2016 di Nomisma, il centro studi fondato da Prodi. Incarico che oggi affianca a quelli di commissario Ilva, di vicepresidente della Bologna University BusinessSchool nonché di presidente del Credito Fondiario spa e dell’Istituto di promozione della ricerca e dell’insegnamento della finanza sulle gestioni d’impresa.
Laureato in economia e commercio a Bologna nel 1962, Gnudi inizia sin da subito a lavorare come commercialista avviando uno studio studio in proprio. A Roma arriva nel 1994 quando viene nominato consigliere dell’Iri che sta procedendo allo smantellamento deciso dall’ex premier Giuliano Amato. Negli ambienti vicini all’Iri e alla politica Gnudi, che nel 1996 è anche consigliere di Alberto Clo’, ministro dell’industria del governo Dini, stringe nuove amicizie. Siede ai tavoli che contano. E questo gli permette di acquistare più peso nell’Iri dove gli viene affidato l’incarico di sovrintendere alle privatizzazioni dei gioielli di Stato come Telecom, Autostrade, Enel, Ente Italiano Tabacchi. Finita, poi, la grande stagione delle svendite di Stato con un bilancio bocciato lo scorso anno dalla Corte dei Conti, Gnudi viene chiamato adiventare presidente dell’Iri (2000-2002) con l’incarico di chiudere l’istituto e trasferire al Tesoro delle partecipazioni che il Paese non ha venduto, come Fincantieri, Alitalia, Fintecna e Finmeccanica.
L’operazione riesce. Del resto Gnudi ha al suo attivo una lunga esperienza di commissario e liquidatore governativo, incarico pubblico che anni addietro ha svolto per la Costruzioni Montaggi Agordina, i Cantieri Siderurgia, il gruppo metalmeccanico Mapi e la società di engineering Servco spa. Archiviato il capitolo Iri, Gnudi, alla presidenza dell’Enel dal 2002, entra nel consiglio di amministrazione di Terna (2002-2005) e prima ancora della Rai, di cui diventa numero uno del cda tra il 2001 e il 2004. Intanto è anche ininterrottamente consigliere di Carimonte, oggi parte di Unicredit, per dodici anni (dal 1997 al 2009). Poi, tre anni fa, l’incarico senza portafoglio per Monti. Infine il ritorno all’attività di commissario con l’Ilva, dove sostituisce Enrico Bondi che, alla finedel suo mandato, non è riuscito a trovare il giusto appoggio politico e finanziario per spuntare il rinnovo. Bondi del resto non ha mai amato i salotti e le pubbliche relazioni, Gnudi invece si. Con tutti i vantaggi e i benefici che questo comporta.Fiorina Capozzi-ilfatto-16 ottobre 2014
Ilva, riparte il processo: si decide su rinvii a giudizio e sulle parti lese
Riprende a Taranto il processo per il disastro ambientale dell’Ilva davanti al giudice delle udienze preliminari, Wilma Gilli. Lo scorso 7 ottobre la Corte di Cassazione ha infatti stabilito che il processo deve continuare a Taranto ed ha quindi respinto le istanze di trasferimento presentate dai legali di una serie di imputati. Fra questi, figurano Nicola e Fabio Riva, proprietari dell’azienda, l’ex presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante,  gli ex direttori dello stabilimento di Taranto, Luigi Capogrosso e Adolfo Buffo, l’ex addetto alle relazioni istituzionali dell’Ilva di Taranto, Girolamo Archinà,tutti coinvolti nell’inchiesta giudiziaria esplosa a luglio 2012 con una serie di arresti e il sequestro degli impianti dell’area a caldo.
Il processo per l’Ilva non si svolge a palazzo di Giustizia ma nella palestra del comando provinciale dei Vigili del fuoco di Taranto per necessità logistiche. In Tribunale, infatti, non c’è un’aula di dimensioni sufficienti. Il gup Gilli è chiamato a decidere se rinviare a giudizio o meno, così come chiede la Procura con ipotesi di reato diverse, 49 persone fisiche e 3 giuridiche, cioè le società Ilva, Riva Forni Elettrici e Riva Fire. Prim’ancora dei rinvii a giudizio, però, il gup Gilli dovrà decidere in merito all’ammissibilità delle tante richieste di costituzione parte civile presentate. Fra queste, quelle di diverse associazioni ambientaliste e dei sindacati. Ma hanno annunciato la costituzione parte civile nel processo anche il ministero dell’Ambiente e il Comune di Taranto - che chiede 10 miliardi di danni -, mentre sono poco meno di 300le parti lese che compaiono negli atti giudiziari. Ci sono cittadini che risiedono nel quartiere Tamburi di Taranto, il più vicino all’acciaieria, e società proprietarie di cappelle nel cimitero di Taranto, entrambi danneggiati dalla diffusione di fumi e polveri inquinanti dallo stabilimento siderurgico.
Coinvolti a vario titolo sono, oltre a Nicola e Fabio Riva e ad una serie di dirigenti ed ex dirigenti dell’Ilva, anche il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, il sindaco di Taranto, Ezio Stefano, gli attuali assessori regionali della Puglia, Donato Pentassuglia (coinvolto come presidente della commissione Ambiente all’epoca dei fatti) e Lorenzo Nicastro, titolari, rispettivamente, delle deleghe alla Sanità e all’Ambiente, l’ex assessore regionale Nicola Fratoianni, oggi deputato di Sel, il direttore generale di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, diversi dirigenti regionali.
L’accusa più pesante, associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, coinvolge tragli altri Nicola e Fabio Riva, l’ex direttore dello stabilimento di Taranto, Luigi Capogrosso, l’ex responsabile delle relazioni istituzionali a Taranto, Girolamo Archinà, i cosiddetti "fiduciari" di Riva, uomini a cui la proprietà, creando una struttura direzionale parallela, aveva delegato il controllo, di tutto quanto accadeva nel siderurgico. Nicola Riva fu arrestato a luglio del 2012 ed è stato un anno agli arresti domiciliari.
Per il fratello Fabio Riva fu spiccato ordine di arresto a novembre 2012 ma non fu trovato.
Attualmente Fabio Riva è a Londra dove davanti alla magistratura inglese è in corso la causa per ottenerne l’estradizione in Italia chiesta dall’autorità giudiziaria italiana. Non figura più, infine, tra gli accusati Emilio Riva, presidente e leader del gruppo che controlla l’Ilva, morto a fine aprile scorso. Emilio Riva fu anch’egli arrestato ai domiciliari a luglio del 2012
rimanendovi per un anno esatto. Dopo la sua morte, le redini del gruppo sono stateprese da un altro figlio, Claudio Riva, che negli anni passati si era occupato dell’Ilva ma che non è coinvolto in alcuna inchiesta giudiziaria, e da un nipote, Cesare Riva, figlio del fratello Adriano. Adesso toccherà a loro, soprattutto a Claudio, assumere decisioni anche in ordine alla possibile vendita di gran parte del pacchetto azionario dell’Ilva, cosa che dovrebbe avvenire nei prossimi mesi.                                          Ilva, parti lese all’attacco pronta la richiesta danni da venti miliardi di euro
Venti miliardi di euro è il risarcimento che le 280 parti lese nel procedimento stanno per chiedere agli imputati del processo "Ambiente svenduto" che domani tornerà in aula a Taranto dopo il via libera della Cassazione. Il Comune di Taranto ha giàannunciato che è pronto a presentare una richiesta di risarcimento danni da dieci miliardi. Nei prossimi giorni la formalizzeranno anche Provincia e Regione che, pur avendo i vertici imputati nel procedimento (dall’ex presidente Gianni Florido al Governatore Nichi Vendola), hanno deciso la costituzione di parte civile. C’è poi la partita dei 242 proprietari di casa del Tamburi assediate dalle polveri minarli.
Domani a Milano ci sarà uno snodo fondamentale della vicenda: il giudice dovrà decidere se permettere al commissario Piero Gnudi di utilizzare il miliardo e 800milioni sequestrati ai Riva per motivi fiscali. Gnudi ha infatti chiesto di usarli per il funzionamento dell’azienda, a partire dalla realizzazione delle opere di ambientalizzazione. Intanto la situazione patrimoniale è ballerina: le casse sono vuote e già a novembre, se le banche non sbloccano la seconda tranche del prestito ponte l’azienda andrà fortemente in sofferenza. Anche per questo si continuano a battere altrepiste. Domani dovrebbe esserci un incontro con il ceo di China Development Bank da cui potrebbe svilupparsi un’offerta alternativa. Ieri intanto il commissario straordinario Gnudi, accompagnato dal subcommissario, Corrado Carrubba, ha incontrato a Taranto il prefetto Umberto Guidato e il sindaco Ippazio Stefàno per aggiornarli sul lavoro svolto negli ultimi mesi. Gnudi, dicono dall’Ilva, ha ribadito "il fermo impegno a proseguire nel piano di risanamento ambientale, visto che a oggi, Ilva ha ottemperato a circa il 75 per cento delle prescrizioni Aia".
Chi pagherà? Certo non l’eventuale nuova proprietà. Che al momento resta però sempre un’incognita. In pole posistion continua essere la multinazionale ArcelorMittal. Il principale azionista del gruppo è l’indiano Mittal ma il 46 per cento del fatturato è conseguito in Europa e il 37 per cento in America: nel 2013 sono stati i primi produttori al mondi di acciaio con 91,2 milioni di tonnellate quasi doppiano i giapponesi di NipponSteel. Anche per questo in un primo momento si era pensato che, per limiti imposti dall’Antitrust, non potessero acquisire Ilva. Ma il problema oggi sembra risolto. Sul tavolo però restano alcuni nodi, primo tra tutti quello del costo dell’operazione. Domani a Milano ci sarà uno snodo fondamentale della vicenda: il giudice dovrà decidere se permettere al commissario Piero Gnudi di utilizzare il miliardo e 800milioni sequestrati ai Riva per motivi fiscali. Gnudi ha infatti chiesto di usarli per il funzionamento dell’azienda, a partire dalla realizzazione delle opere di ambientalizzazione. Se arrivasse un sì, arriverebbe una garanzia enorme per i futuri acquirenti e anche per le banche che devono sbloccare la seconda tranche del prestito ponte. Il prezzo d’acquisto dell’Ilva, dunque, salirebbe. Con un no invece la situazione sarebbe molto più complicata, perché dal prezzo d’acquisto dovrebbero venire anche le risorse per il risanamento. Arcelor sul punto è stata chiara: non ha nessunaintenzione di pagare le bonifiche del pregresso. Mentre si impegna a garantire per il futuro. Stesso discorso vale per il discorso occupazionale: i sei milioni di tonnellate attuali sono troppo bassi per mantenere questa forza lavoro. Se si arriva agli ot- to, previsti comunque dall’Aia, la situazione diventa diversa. Insomma tutti punti che si chiariranno soltanto domani dopo la decisione del giudice di Milano.
Intanto Gnudi però tira la cinghia. La situazione patrimoniale è ballerina: le casse sono vuote e già a novembre, se le banche non sbloccano la seconda tranche del prestito ponte (i tre istituti sono Intesa San Paolo, Unicredit e Banco Popolare) l’azienda andrà fortemente in sofferenza. Anche per questo si continuano a battere altre piste. Domani dovrebbe esserci un incontro con il ceo di China Development Bank da cui potrebbe svilupparsi un’offerta alternativa. Mentre resta da capire il ruolo dei Riva. Se da Milano arrivasse un no alla richiesta di Gnudi di utilizzare ildenaro sequestrato, la famiglia italiana rientrerebbe nella partita. Non è un caso che si è mossa Mediobanca forte dell’appoggio di un gruppo di investitori stranieri.
Ieri intanto il commissario straordinario Gnudi, accompagnato dal subcommissario, Corrado
Carrubba, ha incontrato a Taranto il prefetto Umberto Guidato e il sindaco Ippazio Stefàno per aggiornarli sul lavoro svolto negli ultimi mesi. Gnudi, dicono dall’Ilva, ha ribadito "il fermo impegno a proseguire nel piano di risanamento ambientale, visto che a oggi, Ilva ha ottemperato a circa il 75 per cento delle prescrizioni Aia, di recupero dell’efficienza produttiva e commerciale e di reperimento delle risorse finanziarie a supporto del raggiungimento di questi obiettivi". Giuliano Foschini,repubblica               Fuga di gas all’Ilva, evacuati 250 operai, l’azienda ferma un convertore
Fuga di gas all’Ilva, paura tra gli operai. Acausa di una fuga di gas nella condotta delle Acciaierie, verificatasi durante le manovre per alimentare un convertitore, sono stati evacuati temporaneamente i lavoratori dell’Acciaieria 1 e della Colata continua dello stabilimento Ilva di Taranto.
Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco del distaccamento interno per mettere in sicurezza l’area. Sarebbero circa 250 i dipendenti che sono usciti a scopo cautelativo dalle rispettive zone di lavoro per rientrare dopo la fine dello stato di emergenza. Non ci sono feriti. I tecnici sono al lavoro per accertare con esattezza le cause.
Dopo la fuga di gas, l’Ilva ha deciso di fermare il convertitore 1 dello stesso impianto. Il convertitore rimarrà fermo sin quando non si concluderanno gli accertamenti tecnici. Sono invece in marcia in sicurezza e in efficienza i convertitori 2 e 3 dell’Ilva. Lo precisa l’azienda in una nota nella quale ricostruisce l’incidente odierno che non ha causato nè feriti, nè intossicati. "Durante lemanovre di avvio in produzione dell’impianto di recupero gas di processo dell’acciaieria, asservito al convertitore 1 dell’acciaieria 1, si è verificata una fuoriuscita di gas da una valvola posta sulla rete gas".
Il convertitore era stato sottoposto a manutenzione routinaria col rifacimento del refrattario, ovvero il rivestimento interno. A fronte della fuga di gas, spiega l’Ilva, "gli addetti all’emergenza di reparto hanno messo in atto le procedure interne, allertando tutto il personale operante in acciaieria 1 e allontanandolo momentaneamente dall’area interessata all’evento. Il personaledi reparto, supportato dai Vigili del Fuoco di stabilimento, ha messo in sicurezza l’impianto". L’Ilva rende quindi nodo che "dopo aververificato l’assenza di ulteriori anomalie, è stata dichiarata cessata l’emergenza alle 12.20 circa e il personale è rientrato nelle postazioni di lavoro".
L’allarme era scattato un’ora prima circa. Ora le indagini dovranno accertare "le cause che hannogenerato il non corretto funzionamento" e nel frattempo, puntualizza l’Ilva, il convertitore 1 dell’acciaieria 1 rimarrà fermo. L’azienda dice infine di aver allertato "tutte le autorità competenti per la fase di attenzione" e che sul posto "sono intervenuti anche l’Arpa Puglia e il comando provinciale dei Vigili del Fuoco per acquisire informazioni e constatare l’evento che si è verificato". Il convertitore è l’impianto che trasforma la ghisa liquida in acciaio liquido ad una temperatura di circa 1600 gradi. Ai convertitori la ghisa, prodotta dagli altiforni, arriva attraverso speciali contenitori chiamati siviere.
Ilva, il processo resta a Taranto: no della Cassazione alle richieste di Riva e Gnudi
I giudici della prima sezione penale della corte di Cassazione, presieduta dal giudice Giordano, hanno respinto la richiesta di rimessione del procedimento sul disastro ambientale a Taranto presentata da Riva Fire, Ilva spa, per conto del commissario governativoGnudi, e da altri 13 imputati coinvolti nella maxi inchiesta della procura ionica che ha chiesto il rinvio a giudizio per 49 imputati e 3 società. Secondo le difese, infatti, a Taranto non vi sarebbero state le condizioni per un giudizio "sereno ed equilibrato". Questa tesi, però, non è stata condivisa dalla Suprema Corte, che ha rigettato l’istanza di rimessione del processo in altra sede.
Nel corso dell’udienza, tenutasi questa mattina, dedicata alla trattazione del ricorso, dopo la relazione del giudice Margherita Cassano, che ha illustrato le dimensioni del caso Ilva, spiegando il coinvolgimento di un intero territorio provinciale il cui tessuto socio-economico è interconnesso alla vita dello stabilimento siderurgico, ha preso la parola il sostituto procuratore generale Enrico Delehaye, che ha chiesto di respingere la richiesta di trasferimento del procedimento penale da Taranto a Potenza.
Subito dopo hanno preso la parola i difensori di Riva Fire ed Ilva spa, il professorFranco Coppi e l’avvocato Luca Sirotti, insieme al professor Tullio Padovani nell’interesse dell’ex direttore dello stabilimento, Luigi Capogrosso, arrestato durante l’inchiesta. Gli avvocati chiedevano alla Suprema corte di cambiare sede del procedimento, che attualmente è in fase di udienza preliminare dinanzi al gup di Taranto Vilma Gilli (sospesa in attesa del verdetto di Cassazione), per "legittimo sospetto". Secondo i legali, i magistrati tarantini potrebbero essere "turbati" nel trattare le vicende del siderurgico rischiando così da non essere imparziali e sereni nei loro giudizi.
L’udienza preliminare a carico dei 52 imputati riprenderà il prossimo 16 ottobre a Taranto davanti al gupGilli.                                                                             
"Il processo Ilva è da trasferire": l’ultima battaglia sul siderurgico
L’appuntamento è per oggi: la Cassazione deciderà se il maxi processo all’Ilva potrà rimanere a Taranto oppure, come chiede la difesa dei Riva, dovrà essere trasferito a Potenza. Non è il solito passaggio burocratico al quale questa storia, la maxi inchiesta "Ambiente svenduto" sin dal principio ha abituato, quanto piuttosto di un passaggio sostanziale per scrivere il futuro di questo processo che si conferma essere la storia diquesta città. A giugno la difesa dei Riva aveva chiesto il trasferimento del processo per "incompatibilità ambientale ". Troppa pressione sulla Corte, avevano detto, per valutare serenamente. Accanto a questo anche un passaggio di tipo procedimentale: essendo contestato il reato di disastro ambientale, tra le parti offese ci sono tutti i cittadini di Taranto e quindi potenzialmente anche i giudici. "Come possono esprimersi?" si chiedono gli avvocati dei Riva. In aula oggi in Cassazione parlerà il nuovo legale della famiglia, il professor Franco Coppi, che due anni fa aveva provato a spostare da Taranto un altro processo (quello dell’omicidio di Sarah Scazzi), senza però avere fortuna.
La vicenda del trasferimento ha creato non poco allarme nella comunità ambientalista tarantina che non a caso in questi mesi ha evitato colpi a effetto. Nessuna contestazione per esempio al premier Matteo Renzi (in piazza c’erano non più di venti autonomi), niente manifestazioni. "Non permettiamo cheil nostro dissenso venga strumentalizzato " è quello che si sono scritti nelle mailing liste in queste settimane gli ambientalisti che oggi partiranno per Roma per seguire, in silenzio, la decisione della Cassazione.
Se Roma non decide, infatti, non può partire nemmeno l’udienza preliminare che vede imputate 52 persone (formalmente 53 ma l’ex patron dell’Ilva Emilio Riva, è morto il 30 aprile scorso) e tre società, ovavrebbe vero Ilva spa, Riva Fire (la holding del gruppo che controlla l’Ilva) e Riva Forni Elettrici. Le indagini però proseguono. Proprio ieri il pm Pietro Argentino ha chiesto il rinvio a giudizio per dieci imputati accusati per il decesso di Nicola Bozza, un operaio che ha lavorato, dall’ottobre 1969 al gennaio 2004, nel reparto Mof dell’Ilva. Si tratta di 8 ex dirigenti della ex Italsider e della società Ilva Spa, che operarono in quegli anni in qualità di direttori di stabilimento, e per due medici. Il loro "comportamento omissivo" dice l’accusa contribuito acagionare il carcinoma gastrico che portò alla morte dell’operaio nel 2007. La Procura sostiene infatti che i dirigenti non abbiano informato il lavoratore della presenza di amianto sul posto di lavoro e "della necessità dell’uso di dispositivi di protezione individuale per le vie respiratorie, oltre a non fornirgli i dispositivi adeguati". I medici invece avrebbero omesso di vigilare consentendo che si lavorasse in precarie condizioni di sicurezza.Giuliano Foschini,repubblica                                                                             Ilva, pressing dei pediatri su Renzi: "Aveva promesso diincontrarci"
Un incontro promesso ma che non è mai avvenuto. Un appuntamento preso, annullato senza preavviso. I pediatri di Taranto però insistono. Il premier Matteo Renzi, pur avendo preso l’impegno durante la visita a Taranto del settembre scorso, non ha ancora risposto al loro appello. I medici avevano chiesto un incontro per discutere dell’emergenza sanitaria e ambientale nel capoluogo ionico legata all’inquinamento dell’Ilva e degli altri insediamenti industriali. Ma niente è successo. Lo ricordano in una nota Annamaria Moschetti dell’Associazione pediatri Puglia e Basilicata, il neonatologo responsabile della terapia intensiva neonatale dell’ospedale Santissima Annunziata di Taranto, Oronzo Forleo, e il presidente Associazione onlus ’Delfini e neonati’ per la neonatologia Dora Tagliente.
In merito alla richiesta di incontro con il presidente del consiglio Renzi inviata nel mese di agosto, i tre firmatari della missiva "comunicano che il premier non ha finoratelefonato alla dott.ssa Moschetti come si era impegnato pubblicamente a fare e che l’incontro con l’onorevole Davide Faraone cui la segreteria di Renzi aveva delegato il compito di incontrare i pediatri per la non disponibilità del primo ministro, incontro che si sarebbe dovuto svolgere il  25 settembre , è stato annullato senza preavviso alcuno".
Ribadendo "la gravità della situazione sanitaria dei bambini tarantini che si è appalesata nella sua  drammaticità attraverso lo studio Sentieri recentemente pubblicato", i pediatri "ribadiscono la necessità e l’urgenza di essere ricevuti dal premier Renzi. Rimangono pertanto in attesa di riscontro".r
Ilva, Gnudi ai pm di Milano: "Sbloccate 1,2 miliardi sotto sequestro"
Il Commissario straordinario dell’Ilva di Taranto Piero Gnudi ha chiesto alla magistratura milanese di ’sbloccare’ e trasferire nelle casse del gruppo siderurgico di Taranto il milardo e 200 milioni di euro sequestrati nel maggio del 2013alla famiglia Riva nell’ambito dell’indagine dei pm Stefano Civardi e Mauro Clerici. Inchiesta in cui Adriano Riva e due commercialisti sono accusati di truffa ai danni dello Stato e di trasferimento fittizio di beni. La richiesta è stata presentata da Gnudi in base alla nuova normativa che prevede l’utilizzo dei fondi sequestrati anche in procedimenti diversi da quello per reati ambientali per il risanamento dell’azienda tarantina. L’istanza verrà discussa il prossimo 17 ottobre davanti al gip di Milano Fabrizio D’Arcangelo.r
Ilva, settimana decisiva sale il pressing estero
Settimana importante per l’Ilva. La società quotata in borsa, proprietaria dell’impianto siderurgico più grande d’Europa, quello di Taranto, non è affatto decotta. Anche se l’intera area a caldo dell’impianto ionico è sotto sequestro giudiziario dal luglio 2012 e l’azienda è commissariata dal governo che l’ha affidata prima ad Enrico Bondi ed ora a Piero Gnudi, il ministro per lo Sviluppoeconomico Federica Guidi ha confermato di aver ricevuto quattro o cinque offerte concrete da aziende europee ed extraeuropee. In testa alla corsa per l’acciaio italiano c’è ArcelorMittal, colosso indiano fra i leader della produzione mondiale, ma negli ultimi giorni s’è concretizzato anche l’interesse della rivale indiana Jindal i cui manager e tecnici hanno trascorso una settimana fra Genova, Taranto e Milano, visitando stabilimenti ed uffici.
Della corsa, tuttavia, potrebbero far parte anche gli arabi di Emirates ed i brasiliani della Companhia siderurgica nacional (Csn) e non si esclude un interessamento dalla Corea. Per ora ArcelorMittal è avvantaggiata rispetto agli altri per essersi presentata prima ai nastri di partenza. Durante l’estate i tecnici indiani hanno visitato gli stabilimenti e la scorsa settimana l’amministratore delegato per l’Europa, Aditya Mittal, ha incontrato il ministro Guidi ed il commissario Gnudi rivelando di voler acquisire l’Ilva in cordata conl’italiana Marcegaglia, principale cliente Ilva ed azienda leader nella lavorazione e distribuzione dell’acciaio in Italia.
Secondo fonti vicine alla trattativa, ArcelorMittal e Marcegaglia hanno chiesto al governo garanzie di protezione per l’acquirente dalle vicende giudiziarie della famiglia Riva e chiarimenti sulla questione ambientale, mettendo in chiaro di non volersi accollare oneri della passata gestione. In questi giorni i tecnici di ArcelorMittal dovrebbero avere accesso ai dati riservati di Ilva e subito dopo presentare un piano industriale. I tecnici di Jindal, intanto, hanno visitato gli stabilimento Ilva in Liguria e poi quello di Taranto.
I manager responsabili di acquisizioni e fusioni hanno visitato gli uffici amministrativi a Milano. Dalle valutazioni dei tecnici indiani, si capirà se Jindal poterà avanti la trattativa. Resta ancora da chiarire come sarà venduta l’Ilva, che per ora è per la maggior parte di proprietà della holding di famiglia dei Riva. Gliambientalisti temono che la divisione fra il nuovo assetto societario, dove far confluire gli impianti e l’attività siderurgica e la “bad company”, dove caricare il contenzioso ambientale e i risarcimenti danni, impedisca un reale risanamento. I sindacati, invece, chiedono al governo di trovare un compratore che garantisca il livello occupazionale e faccia tornare la produzione a 10 milioni di tonnellate di acciaio l’anno. Il commissario Gnudi punta a chiudere la partita entro fine anno. Vittorio Ricapito,repubblica
Ilva, il ministro rilancia: "Non solo indiani, ci sono cinque gruppi pronti all’acquisto"
Altre quattro aziende oltre al gigante mondiale della siderurgia ArcelorMittal sono interessate all’acquisto dell’Ilva, secondo il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi. "Ci sono alcune manifestazioni di interesse. Ci sono almeno altre quattro offerte oltre a quella di ArcelorMittal che è sicuramente forse quella a uno stadio più avanzato rispettoalle altre", ha detto Guidi arrivando al Consiglio Ue sulla competitività a Bruxelles.
Le aziende interessate sono "alcune europee e alcune non europee", ha aggiunto il ministro.
Martedì, l’amministratore delegato per l’Europa di ArcelorMittal ha incontrato Guidi e il commissario Ilva, Piero Gnudi. All’incontro hanno partecipato anche Emma e Antonio Marcegaglia, amministratori delegati dell’omonima azienda, e i rappresentanti della banca d’affari Jp Morgan. Mittal ha ribadito in una nota il suo interesse all’acquisto di Ilva. Marcegaglia, uno dei più grossi clienti di Ilva, è una delle due imprese italiane - insieme ad Arvedi - ad aver manifestato interesse per l’acquisto dell’azienda siderurgica (commissariata da oltre un anno per realizzare la bonifica ambientale del sito di Taranto), a condizione però di avere un partner internazionale.
In Italia è giunta anche una delegazione dell’azienda siderurgica indiana Jsw Steel, che all’inizio del mese ha manifestato interesse perl’acquisto di Ilva.
La delegazione ha visitato gli impianti di Genova e Novi, mentre oggi e domani sarà a Taranto. A chi le chiedeva quali fossero i tempi per la vendita, Guidi ha risposto: "As soon as possible, però evidentemente essendo un impianto di grande importanza e con certe complessità bisogna considerare tutte le ipotesi, bisogna fare delle verifiche, e aspettare di capire quali sono i piani industriali dei potenziali interessati e bisogna lavorare sulla costruzione di un futuro solido che tuteli al massimo il livello occupazionale e la capacità produttiva".
Ilva, Arcelor Mittal al ministero studia le carte
ArcelorMittal "resta interessata ad una potenziale acquisizione di Ilva e conferma che sta lavorando con il gruppo Marcegaglia, azienda leader nella lavorazione e distribuzione dell’acciaio in Italia, per valutare tali opportunità". Poche righe da parte del colosso per confermare l’incontro oggi al ministero dello Sviluppo "per discutere delfuturo di Ilva" definito dallo staf del ministo Federica Guidi - presente insieme al commissario dell’Ilva Piero Gnudi - "approfondito e cordiale".
L’incontro, si legge nella nota dell’azienda, "è avvenuto in seguito all’invito rivolto dal Governo Italiano tempo fa di esaminare le attività di Ilva" e oggi i vertici del gruppo indiano e del gruppo Marcegaglia hanno esaminato insieme ai tecnici del ministero lo stato delle trattative. All’incontro, gli amministratori delegati della Marcegaglia, Emma e Antonio Marcegaglia ed i rappresentanti di JP Morgan.
A Taranto, nel frattempo, una delegazione del gruppo indiano Jindal, uno dei maggiori produttori di acciaio al mondo, è stata ricevuta oggi dalla dirigenza dello stabilimento. Si è trattato - a quanto si è saputo - di un incontro preliminare in cui i tecnici del gruppo interessato ad acquisire la gestione dell’Ilva hanno visionato documentazione relativa allo stabilimento e creato tre sottogruppi di lavoro che stanno esaminandorispettivamente la parte Laminazione, la parte Acciaierie e la parte relativa alle aree degli Altiforni.
Domani è previsto un sopralluogo all’interno del Siderurgico prima della partenza per Milano, dove i rappresentanti di Jindal raggiungeranno la sede legale dell’azienda. La delegazione, composta da una decina di esponenti di alto livello del gruppo, ieri aveva preso visione dello stabilimento Ilva di Genova.                                                     Ilva, licenziato il fratello di Archinà: la Cgil chiede il reintegro
La storia di Roberto Archinà, dipendente dell’azienda Enetec dell’appalto Ilva nonché Rsu della Fiom Cgil. Il fratello del grande tessitore delle relazioni istituzionali dell’Ilvafinito nell’inchiesta sul siderurgico denuncia di non essere ancora rientrato al lavoro nonostante un provvedimento di reintegro favorevole del Tribunale di Taranto, risalente al 29 luglio scorso, che ha annullato il licenziamento considerato illegittimo "poiché palesemente discriminatorio". "Presenteremo una denuncia in sede penale e coinvolgeremo tutte le istituzioni - ha annunciato il segretario generale della Fiom Cgil di Taranto Donato Stefanelli - non solo il prefetto e i parlamentari, ma anche il premier Renzi che parla tanto dell’art. 18. Il lavoratore che era stato licenziato va reintegrato subito".
Il lavoratore è fratello di Girolamo Archinà, ex responsabile delle relazioni esterne dell’Ilva, arrestato nell’ambito dell’inchiesta sull’Ilva denominata ’Ambiente svenduto’. "Licenziato per il cognome che porto? Non so", ha detto ai giornalisti Roberto Archinà. All’incontro hanno partecipato, oltre allo stesso Archinà e a Stefanelli, anche il segretario generale della Cgil diTaranto Giuseppe Massafra e il legale della Cgil, Massimiliano Del Vecchio, che ha seguito personalmente la vicenda. Il licenziamento era stato motivato dall’azienda "per soppressione della posizione lavorativa di elettricista da lui ricoperta nell’ambito di una riorganizzazione aziendale a causa di una grave crisi di liquidità".
Ma dalle informazioni raccolte nel corso della causa civile è emerso - ha riferito l’organizzazione sindacale - che "già da quattro anni prima, l’Archinà svolgeva, oltre alle mansioni di elettricista, anche le mansioni di assistente di cantiere, aiuto magazziniere e aiuto carpentiere non connesse con quelle soppresse". Il lavoratore, che è stato rieletto nelle Rsu, non è stato reintegrato, ma continua a percepire lo stipendio. Il sindacato denuncia la mancanza di tutele per i lavoratori grazie agli attacchi all’art. 18 e parla in maniera esplicita di un caso dimobbing.                      
Ilva, non solo ArcelorMittal: gli indiani di Jindal visitano gli impianti
Una delegazione dell’azienda siderurgica indiana Jsw Steel, che all’inizio del mese ha manifestato interesse per l’acquisto dell’Ilva, è arrivata in Italia e sta visitando gli impianti della società italiana commissariata da oltre un anno. La delegazione, composta da sette-otto persone, sta visitando oggi gli impianti Ilva di Genova e di Novi, mentre domani e mercoledì sarà a Taranto, il più grande stabilimento siderurgico d’Europa.
Giovedì e venerdì, invece, i rappresentanti della società che fa capo al magnate indiano Sajjan Jindal saranno a Milano, per discutere con i manager di Ilva. Jsw aveva scritto nelle scorse settimane al commissario straordinario Piero Gnudi dichiarando interesse per l’Ilva, di proprietà della famiglia Riva macommissariata dal governo nel 2013 per rispettare le prescrizioni anti-inquinamento. E’ interessata all’azienda italiana anche ArcelorMittal , una cui delegazione di recherà domani al ministero per lo Sviluppo Economico, come ha confermato oggi una fonte governativa.                     Ilva, sversamento di olio in mare
Si lavorerà anche durante la notte a Taranto per assorbire il grande quantitativo di acqua e olio lubrificante fuoriuscito da un impianto dell’Ilva di Taranto e finito in Mar Grande. Il personale della società specializzata in operazioni di disinquinamento del mare, l’Ecotaras, ha posizionato centinaia di metri di panne assorbenti per "catturare" i liquidi e contenere il fenomeno, che attualmente, affermano i tecnici, è "sotto controllo". "Inoltre le condizioni del vento - fanno sapere - hanno fatto sì che l’acqua e l’olio lubrificante andassero versola banchina del quinto sporgente e le tre navi che sono attraccate in questo momento, sporcate dalla sostanza. Questo ha però consentito di contenere la zona di espansione del fenomeno". Il quinto sporgente deve essere liberato in tempi brevi per consentire l’approdo di altre unità navali destinate all’Ilva. Una volta rimosse, le panne assorbenti saranno pesate e da qui si capirà meglio il quantitativo di acqua e olio lubrificante finito in mare. Sul caso sono in corso anche gli accertamenti di Arpa Puglia, l’Agenzia per l’ambiente della Regione, il cui personale è arrivato sul posto insieme ai tecnici dell’Ilva e ai militari della Capitaneria di porto di Taranto. La fuoriuscita - che fonti sindacali stimano tra i 50mila e i 60mila litri - è dovuta, ha chiarito l’Ilva in una nota stampa, "all’innalzamento del livello all’interno di una vasca dell’impianto di trattamento acque del Treno nastri 2".
Impianto che è comunque in regolare attività. L’Ilva ha infine confermato l’incontro didomani con i sindacati per fare il punto  della situazione.(...)
Ilva, arrivano i soldi per stipendi e indotto
Ieri l’incontro decisivo al ministero per lo Sviluppo economico fra il ministro Federica Guidi, il commissario governativo per l’Ilva Piero Gnudi ed il presidente di Confindustria Taranto Vincenzo Cesareo. Grazie alla prima trance con la metà dei 250 milioni del prestito ponte concesso dalle banche, l’Ilva ha sbloccato i pagamenti degli arretrati alle aziende dell’indotto e dell’appalto. Alle aziende arriveranno già nei prossimi giorni circa 34 milioni di euro, per pagare le fatture inevase da marzo scorso.
L’Ilva comunica in una nota che grazie al prestito ponte riesce a garantire gli stipendi ed i premi di agosto ai dipendenti diretti ed i pagamenti alle aziende dell’indotto e dell’appalto che erano in sofferenza, senza intaccare le somme destinate agli investimenti dell’Aia, autorizzazione integrata ambientale. "La decisione di affrontareanche la situazione creditizia vantata dai fornitori locali  -  scrive l’Ilva - viene a seguito della consapevolezza della crisi in cui versano le imprese dell’indotto e i loro dipendenti e recepisce le istanze avanzate da tempo da Confindustria e dalle autorità istituzionali e religiose, preoccupate per la situazione economica e occupazionale dell’area tarantina".
"Nonostante la nota difficoltà di liquidità dell’azienda  -  continua la nota - e l’esigenza di coniugare le scarse risorse con la necessità di onorare le scadenze salariali dei dipendenti e di proseguire con gli interventi di risanamento ambientale, nel vertice di ieri il ministro Guidi, il Commissario Gnudi e il Presidente Cesareo hanno concordato di dare priorità anche al pagamento di 34 milioni di euro dei debiti scaduti dei fornitori della provincia di Taranto, segnalando così la priorità di salvaguardare anche le imprese con elevato tasso di capitale umano sul territorio che più ha sofferto dellacrisi di Ilva".
Il primo agosto Confindustria Taranto aveva sfilato con le aziende dell’indotto e dell’appalto Ilva per le vie della città chiedendo aiuto al governo ed al premier Renzi per sbloccare i cantieri di Taranto, intervenire sui pagamenti Ilva e scavalcare le amministrazioni locali per salvare Taranto dal tracollo economico. La marcia "Industria ultima fermata", ha attraversato il centro città con lo slogan "No alla città dei no". Il presidente Cesareo in quell’occasione ha inviato una lettera al premier spiegando che le aziende dell’indotto erano allo stremo delle forze dopo mesi di mancati pagamenti da parte del siderurgico e che molte di queste, nel giro di un mese, sarebbero state costrette a licenziamenti di massa e poi alla chiusura. Vittorio Ricapito,repubblica       Ilva, "Ambiente svenduto": udienza rinviata al 16 ottobre
Rinviata senza alcuna attività l’udienza preliminare per il disastro ambientale di Tarantocausato dall’Ilva. Il giudice per l’udienza preliminare Vilma Gilli ha rinviato al 16 ottobre l’udienza a carico di 52 imputati accusati a vario titolo di associazione per delinquere disastro ambientale ed avvelenamento di sostanze alimentari.
Il rinvio si è reso necessario per permettere alla Cassazione di decidere sull’istanza di rimessione presentata da 15 dei 52 imputati secondo i quali i magistrati di Taranto non hanno la serenità per giudicare su questo processo. La cassazione deciderà se spostare via il processo da Taranto il 7 ottobre.
Fra gli imputati non solo vertici di Ilva e membri della famiglia Riva, proprietaria dello stabilimento, ma anche politici ed amministratori. Fra questi anche il presidente della Regione Nichi Vendola accusato di concussione per aver fatto delle pressioni sui vertici dell’Arpa Puglia al fine di favorire l’Ilva. Vittorio Ricapito,repubblica                 Ilva Taranto, condanna per l’amianto: “Gli operai morti potevano essere salvati”
Gli operai dell’Ilva morti per mesotelioma pleurico a causa dell’amianto presente nella fabbrica potevano essere salvati se solo l’azienda, a conoscenza della problematica, avesse agito tempestivamente. È quanto scrive il giudice Simone Orazio nelle motivazioni della sentenza con la quale il 23 maggio scorso ha condannato 27 ex dirigenti della fabbrica – tra i quali Fabio Riva ex vice presidente del gruppo condannato a 6 anni di carcere – accusati di omicidio colposo e disastro ambientale. Nelle 268 pagine, infatti, il magistrato scrive che se i vertici dello stabilimento avessero sottoposto a visite mediche adeguate i lavoratori, queste avrebbero consentito di “diagnosticare una patologia (es. placche pleuriche) che poteva essere un campanello d’allarme per il mesotelioma e che certamente avrebbe obbligato il datore di lavoro a non esporre più il lavoratore, affetto da taleproblematica di salute, alle fibre di asbesto” e quindi a “valutare la incompatibilità del lavoratore rispetto alle mansioni sino ad allora espletate e quindi anche rispetto all’esposizione ad amianto, motivo per cui in questi casi l’accertamento sanitario avrebbe permesso di adibire il dipendente ad altre mansioni, sottraendolo al pericolo di morte”.
Ma la politica aziendale è sempre stata impostata al raggiungimento del massimo profitto. Anche a costo della salute degli operai. Lo scrive senza mezzi termini il magistrato spiegando che “gli interventi seri in materia di amianto nello stabilimento di Taranto sono stati sempre volutamente evitati” proprio perché avrebbero determinate un blocco e una ripartenza dell’attività produttiva oltre che “uno stravolgimento degli impianti e l’investimento di notevolissime somme di denaro”. Ma per salvare la salute dei dipendenti, i vertici dello stabilimento – pubblico fino al 1995 e poi venduto ai Riva – avrebbero potuto almeno fornireun’adeguata attrezzatura e invece le testimonianze in aula hanno chiarito che agli operai venivano date in dotazione solo mascherine respiratorie “usa e getta” che gli esperti hanno definito “del tutto inadeguate”.
Insomma, una “situazione di consapevole e lucida omissione” che secondo il tribunale “si è perpetrata per decenni, essendo sotto gli occhi di tutti nel senso che l’inerzia è stata maturata e voluta sia da colore che avevano ruoli operativi e che pertanto erano a conoscenza delle inaccettabili condizioni in cui costringevano a lavorare i dipendenti sia da parte di color che avevano responsabilità manageriali, gestionali e di controllo finanziario data l’assenza dl alcuno stanziamento al riguardo”. Una scelta scellerata che, però, non ha colpito solo i lavoratori della fabbrica, ma si è trasformato nel disastro ambientale che ha colpito “tutta la popolazione di Taranto e dei comuni limitrofi, complessivamente pari a quasi trecentomila abitanti”.
Un disastro che è ilfrutto di “una logica di organizzazione dei fattori produttivi” e di “una pianificazione delle linee di politica del lavoro e della salute del lavoratori” determinate dalla “scelta compiuta dai vertici con la colpevole complicità del loro collaboratori”, ma certamente avvenuto anche grazie “all’inerzia degli altri pubblici poteri che avrebbero potuto e quindi dovuto far sentire la propria voce”. Eppure anche oggi l’unica voce che continua ad alzarci in difesa della salute è quella dei cittadini. Nelle scorse ore, infatti, i pediatri di Taranto hanno scritto per la seconda volta al presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi chiedendo un incontro. Una prima lettera era stata inviata ad agosto, ma da Palazzo Chigi non era giunta alcuna risposta. Ora i medici ci riprovano: “sapendo della sua venuta in Puglia per l’evento delle Fiera del Levante ci permettiamo di reiterare la richiesta. La situazione ambientale e sanitaria tarantina – scrivono i pediatri – è grave per come dasempre riportano i dati sanitari cui da ultimo si è aggiunto l’aggiornamento dello studio Sentieri con i suoi terribili report sulla mortalità infantile. L’allarme sociale è altissimo. Noi pediatri, da sempre al fianco delle famiglie e dei bambini pensiamo di potere dare un utile contributo ai decisori politici, sempre che lo vogliano”. Francesco Casula -ilfatto-9 settembre 2014
Incidente all’Ilva, ferito operaio
Nuovo incidente sul lavoro all’Ilva di Taranto. Un operaio dell’impresa appaltatrice Castiglia di Massafra (Ta) è scivolato, battendo la testa, mentre apponeva un telo ad un cassone. L’incidente si è verificato nella zona della discarica del siderurgico. Le condizioni dell’operaio, che comunque è stato ricoverato in ospedale, non sarebbero gravi stando a quanto si apprende da fonti sindacali.
Lo scorso 4 settembre all’Ilva c’era stato un incidente mortale nell’area dell’acciaieria 1, vittima il 54enne Angelo Iodice, della provincia di Caserta, sociodell’impresa Gobal Service, appaltatrice dell’Ilva. Iodice stava effettuando rilievi tecnici in una zona dove a fine agosto c’era stato un altro incidente, il deragliamento di un carro siluro con 200 tonnellate di ghisa liquida ad altissima temperatura, quando è stato travolto da una macchina operatrice in retromarcia guidata da un dipendente della stessa Global Service.
Iodice si trovava di spalle al mezzo. Ieri c’è stata l’autopsia sul corpo del 54enne, disposta dal sostituto procuratore Remo Epifani,
che ha appunto confermato che l’uomo è deceduto per la gravita delle lesioni subite nello schiacchiamento operato dal mezzo. Per la morte di Iodice, la Procura ha iscritto nel registro degli indagati, con l’ipotesi di omicidio colposo, tre persone, dipendenti dell’impresa Gobal Service.
Ilva, via libera dalle banche per il prestito: pagherà il premio di produzione
Mentre i dipendenti sono sconvolti e arrabbiati per la tragedia sul lavoro che ha portato allamorte di Angelo Iodice, per l’acciaieria tarantina Ilva arrivano notizie novità sul fronte finanziario. Il commissario dell’Ilva, Piero Gnudi, ha chiuso la partita con le banche per l’erogazione del prestito ponte. L’accordo è arrivato  al termine di un incontro a Milano e vede protagonisti cinque istituti di credito, fra i quali Intesa San Paolo e Unicredit sono i principali. L’Ilva avrà 250 milioni di cui 125 milioni, che costituiscono la prima rata, entro il 12 settembre. La rata successiva, di importo analogo, dovrebbe arrivare a breve scadenza secondo quanto riferiscono fonti vicine all’azienda. Grazie ad un arco temporale contenuto tra erogazione della prima tranche e versamento della seconda, i vertici dell’Ilva hanno deciso che il 12 settembre ai dipendenti dell’azienda sarà corrisposta anche la rata trimestrale in scadenza del premio di risultato oltre allo stipendio di agosto.
Appena alcune ore prima, l’azienda aveva detto cose ben diverse ai sindacati metalmeccaniciincontrati a Taranto. Aveva confermato lo stipendio di agosto ma rinviato al 12 dicembre, insieme all’altra trimestralità, il premio. Questo aveva provocato il disappunto dei sindacati che avevano invitato l’azienda a fare ogni sforzo possibile per pagare ai lavoratori tutto ciò che va in scadenza. L’Ilva, avuta risposta positiva dalle banche,
ha sciolto i dubbi perchè l’arrivo in breve tempo dei 250 milioni permette di non compromettere l’operatività aziendale. Parte delle risorse andrà anche ai pagamenti arretrati maturati dalle imprese dell’indotto e dell’appalto siderurgico dove, come segnalato da Confindustria Taranto, c’è una situazione di particolare sofferenza. Lo scorso 1 agosto Confindustria Taranto ha portato in strada, in corteo, imprenditori e loro dipendenti per una manifestazione dal titolo "Industria ultima fermata" dove i pagamenti dell’Ilva sono stati uno dei problemi posti.
Su questa stessa questione Confindustria Taranto aveva anche scritto al premier MatteoRenzi e al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Mentre nei giorni scorsi davanti all’Ilva ci sono state le proteste degli operai di alcune aziende terze in arretrato con i pagamenti perchè, a loro volta, non pagate dall’Ilva. In ogni caso va detto che i 250 milioni sono molto meno di quanto Gnudi aveva chiesto alle banche a metà luglio, ovvero 650 milioni. Gnudi, infine, ha detto alle banche che oltre ad Arcelor Mittal, anche gli indiani di Jindal avranno accesso ai dati di Taranto, con la cosiddetta due diligence, in vista di una possibile acquisizione ed ha parlato poi di un terzo gruppo in pista, che i sindacati individuano negli arabi di Emirates. Arcelor Mittal si è intanto impegnato, dopo la manifestaIone di interesse, a presentare il suo piano industriale entro fine mese. Tra i paletti posti da sindacati e Governo, il risanamento ambientale del siderurgico (è la soluzione del problema non il problema, ha più volte detto il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti)e la salvaguardia dell’occupazione.
Tragedia all’Ilva, operaio muore mentre ripara i binari: proclamato lo sciopero immediato
Un operaio è morto all’interno dell’Ilva. La tragedia mentre l’uomo - dipendente di una ditta dell’indotto - stava riparando i binari dopo l’incidente dei giorni scorsi, quando nella zona dell’Acciaieria 1, un carro siluro che trasportava circa 200 tonnellate di ghisa ad altissima temperatura è deragliato, rovesciandosi.
La vittima, Angelo Iodice, 54 anni, originario della provincia di Caserta, lavorava per la ’Global Service’. E’ morto travolto sui binari da un mezzo meccanico guidato da un altro operaio. Stava eseguendo operazioni di ripristino di un binario quando, secondo una prima ricostruzione, è stato travolto da un macchinario gommato con ruote in ferro, chiamato ’Colmar’, utilizzato per lavori di manutenzione. Non è chiaro se la vittima abbia attraversato improvvisamente i binari o se sia stato il conducente del mezzo a nonaccorgersi della presenza dell’operaio. La dinamica dell’incidente è al vaglio degli inquirenti. Sul posto sono intervenuti personale del 118, i carabinieri e gli ispettori del lavoro.
I sindacati di categoria Fim, Fiom e Uilm hanno indetto 24 ore di sciopero, a partire dalle 15 di oggi. Lo sciopero dei sindacati per il momento riguarda i dipendenti diretti dello stabilimento, ma dovrebbe essere esteso anche alle aziende dell’appalto. Giuliano Foschini,repubblica
Ilva, si ribalta un carro con 200 tonnellate di ghisa, nessun ferito
Tragedia sfiorata nella tarda serata di ieri all’Ilva di Taranto. Nella zona dell’Acciaieria 1, per cause ancora da accertare, è deragliato, rovesciandosi, un carro siluro. Il mezzo trasportava circa 200 tonnellate di ghisa liquida ad altissima temperatura, destinate a essere trasformate in acciaio. Non ci sono stati danni alle persone presenti sul posto ma solo agli impianti. Bloccata l’attività dell’Acciaieria 1 e anche, diconseguenza, dell’altoforno 4. "Accerteremo con l’Ilva come sono andate le cose all’Acciaieria 1. Da quello che sappiamo, il carro siluro che è deragliato ha trovato il binario ostruito da altri carri e di qui l’incidente". E’ questa la ricostruzione che fa dell’accaduto Cosimo Panarelli, segretario della Fim Cisl di Taranto.
"Per fortuna che non è accaduto nulla di grave soprattutto agli operai e a quanti erano sul posto di lavoro se consideriamo che il mezzo trasportava ben 200 tonnellate di ghisa", aggiunge Panarelli. Secondo la versione fornita dal sindacalista, sullo stesso binario sarebbero stati presenti in quel momento altri due carri siluro, detti così per la loro forma allungata. Veri e propri convogli ferroviari che trasportano la ghisa dagli altiforni, da dove viene colata, alle acciaierie, dove viene appunto trasformata in acciaio. "Il carro siluro funziona come un vero e proprio carro ferroviario, ha il locomotore e viene manovrato dall’addetto - spiega Panarelli - se,come pare, il binario era ostruito bisogna ora capire perché il carro siluro pieno di ghisa non è stato fermato in attesa che il percorso venisse liberato. Bisogna capire cosa ha determinato la collisione. La ghisa, una volta fuoriuscita, è finita per terra, sui binari, e questo ha determinato l’inagibilità di tutta la zona. In nottata, poi, è stato fermato l’altoforno 4 la cui produzione di ghisa - aggiunge Panarelli - non poteva più essere mandata in acciaieria per la relativa trasformazione essendoci appunto un blocco".
Blocco che, secondo il sindacalista, persiste ancora "non essendo possibile ripristinare la piena funzionalità in poche ore". Prima dell’incidente in Acciaieria 1, all’Ilva c’era stato un altro incidente ma di natura diversa: delle emissioni dal Treno nastri 1. Era scattato
quindi l’allarme e la comunicazione di quanto avvenuto alle autorità competenti tra cui Comune e Prefettura di Taranto e Arpa Puglia. L’azienda ha però precisato, relativamente aquest’episodio, che non ci sono state conseguenze né per gli operatori, né per l’ambiente.
Taranto continua a essere il paradosso della politica italiana.
La città nella quale si scontrano i poteri forti, che la tengono ostaggio di interessi economici sovrastanti. La città nella quale la Magistratura tenta di bloccare il laissez-faire imposto dal Governo, ma viene intimidita da leggi che depotenziano la portata dei provvedimenti adottati. La città dove le Istituzioni Europee portano avanti un braccio di ferro con un Governo che promette ma che mai realizza, posponendo all’infinito. La città dove, in un clima di scontro continuo, i cittadini e le loro associazioni, in una lotta senza quartiere contro lo stato di adattamento e di abbandono, sono rimasti l’unica risorsa per sollevare la cortina spessa di fumi, IPA, diossina, omertà, corruzione, indulgenza, collusione, che ha fatto di Taranto una delle città più isolate e disperate del Paese.
Il 14 agosto scorso,la Commissione Europea ha inviato a Peacelink una lettera nella quale il Commissario all’Ambiente Potočnik si dice preoccupato per le condizioni sanitarie ed ambientali nelle quali versa la città, come confermato dall’aggiornamento recente dello studio “Sentieri”: 21% di mortalità infantile in più rispetto al resto del Paese, solo per citare uno dei tanti dati allarmanti.
La Commissione, in questa lettera che fa seguito a numerosi scambi ed incontri avvenuti con Peacelink, reitera che l’annoso inquinamento è una questione molto complicata, che deve pur essere risolta con l’impegno del Governo Italiano! Perché, effettivamente, si potrebbe pensare che a Taranto i diritti garantiti dalla Costituzione non siano gli stessi che altrove.
La lettera del Commissario fa venire in mente, in maniera indiretta, che il responsabile primo dello stallo in cui versa la mia città èl’assenza totale delle istituzioni, che avrebbero dovuto fare il proprio dovere, proteggendo noi tarantini dal pericolo al quale siamo ancora esposti. Ma lo Stato non c’è. Dovrebbe fare più notizia il fatto che lo Stato abbia venduto i propri cittadini al mercato dell’acciaio, che una processione religiosa che si inchina ai mafiosi. La Commissione europea, interviene, per quanto la legislazione europea consenta, si fa carico della sofferenza della città, e nella lettera dice testualmente che «essa perseguirà la strada intrapresa fino a che piena soddisfazione non sarà stata data alla popolazione di Taranto direttamente toccata dalla questione Ilva ».
Sono parole tristi, che testimoniano della situazione di abbandono. Sono parole che avrebbe dovuto pronunciare lo Stato, garante dei diritti inderogabili dei suoi cittadini. Ma lo Stato, scomparso da tempo, si nasconde dietro una coperta divenuta ormai troppo corta e affollata già dallo stesso Governo e dalle Istituzioni locali. Non sientra a Taranto nelle questioni vere, e se si viene in visita ufficiale è per fare il giro della sposa: una bella passeggiata in un’Ilva con gli impianti chiusi per l’occasione, con gente che sorride felice sotto minaccia.
L’Arpa Puglia ha definito frutto di farneticazioni i dati, prodotti dalla stessa Arpa, ed elaborati da Peacelink che ha solo aggiornato al 2014, con il modello matematico Arpa, i dati relativi all’inquinamento da IPA (idrocarburi policiclici aromatici, sostanze potenzialmente molto cancerogene) al 2013-2014.
A maggior conferma, e per fugare ogni dubbio, Peacelink ha effettuato la mattina del 26 agosto scorso delle nuove rilevazioni presso il quartiere Tamburi a ridosso dello stabilimento. Le concentrazioni di IPA sono risultate tre-quattro volte superiori ai valori del periodo 2009-2010, pre-AIA, pre-leggi Ilva, pre-Commissariamento del Governo!
Dopo ben sei decreti, siamo oggi al punto in cui sembra che la situazione ambientale sia addirittura peggiorata.Oltre alle rilevazioni strumentali, ci sono centinaia di foto e segnalazioni continue, a Taranto siamo tutti eco-sentinelle e sappiamo, secondo i venti, se possiamo aprire le finestre o meno.
Le prescrizioni dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) non sono state realizzate, ma dal 2011 (data in cui fu elaborata la prima versione) ad oggi, esse sono state solo modificate per allungarne la messa in attuazione, che ormai sembra cosa alquanto remota.
Le due ultime leggi sull’Ilva (n.6 del 6/2/2014 e n.100 del 16/7/2014) appaiono come un attacco al bilanciamento dei poteri sancito dalla Costituzione ed una contrapposizione netta al diritto comunitario. A parte la violazione flagrante della direttiva EU sulla riduzione e la prevenzione dell’inquinamento, la legge attuale autorizza l’Ilva a non realizzare il 20% delle prescrizioni del permesso AIA (in questo 20% potrebbero esserci le misure più urgenti, importanti e quindi più costose) e di conseguenza a produrre senza rispettarele leggi approntate precedentemente.
Sembra che il Governo e lo Stato si pongano al di là della legge italiana ed europea e vadano contro i dettami della Corte Costituzionale, che in una sentenza del maggio 2013, ha sancito la persistenza del vincolo cautelare sulle aree e sugli impianti dello stabilimento posti sotto sequestro dal Gip Todisco il 26 luglio del 2012.
La Corte Costituzionale ha affermato che l’attività produttiva è ritenuta lecita solo se è garantito il pieno rispetto del permesso AIA, che prevedeva una messa a norma dello stabilimento entro il luglio del 2014. Il piano ambientale contenuto nelle nuove leggi parla del 2015 e del 2016 per la realizzazione di alcune prescrizioni. Eppure il tempo non va indietro e la situazione sanitaria peggiora di giorno in giorno.
Secondo la Corte Costituzionale, la deviazione dal percorso di messa a norma, che era l’assicurazione di un bilanciamento tra il diritto al lavoro ed il diritto alla salute, doveva ritenersi illecita epertanto perseguibile ai sensi delle leggi vigenti.
Il bilanciamento di tali diritti viene meno nel momento in cui l’Ilva dichiara di non poter mettere in opera l’AIA a causa di mancanza di fondi.
Svuotata la legge di ogni suo valore, relegate le direttive europee in un angolo, protetta l’Ilva e la sua produzione anche attraverso incredibili opere di propaganda mediatica quale la nomina di un nuovo sub-commissario, quali ridondanti piani industriali futuri, ecco che il Governo sembra aver posto in essere ancora una volta tutte le garanzie volte a garantire la continuità di una produzione i cui effetti per la popolazione e gli operai appaiono devastanti, lo dicono perizie e studi.
Il 7 Ottobre prossimo la Corte di Cassazione si pronuncerà sulla rimessione o meno del processo “Ambiente Svenduto”. L’Ilva-Gate ha 53 imputati, tra i quali tre società appartenenti alla famiglia Riva (Ilva, Riva Fire e Riva Forni Elettrici); il Presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola; l’exPresidente dell’Ilva (ed ex prefetto di Milano) Bruno Ferrante; altri due ex direttori dello stabilimento, Luigi Capogrosso ed Adolfo Buffo; l’ex addetto alle relazioni istituzionali dell’Ilva, Girolamo Archiná; il direttore dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Puglia (Arpa), Giorgio Assennato; l’assessore all’Ambiente della Regione Puglia, Lorenzo Nicastro (IdV); l’ex consigliere regionale della Puglia, oggi deputato di Sel, Nicola Fratoianni; l’attuale consigliere regionale Donato Pentassuglia (Pd) e l’ex assessore provinciale all’Ambiente Michele Conserva (Pd).
Quasi tutti i politici per i quali è stato chiesto il rinvio a giudizio sono ancora nell’esercizio delle proprie funzioni. Mentre la città assediata dalle malattie aspetta, il Governo continua ad utilizzarla come une enorme esperimento a cielo aperto. A Taranto non ci sono ospedali attrezzati per far fronte all’emergenza cancro e per curare e diagnosticare le altre malattie che gli esperti diconogenerate dall’inquinamento. I suicidi fanno parte ormai della cronaca quotidiana. Non si vive, si sopravvive.
In aggiunta al problema Ilva, come se non bastasse, ad aggravare il carico negativo, c’è il progetto Tempa Rossa. E’ di qualche giorno fa la notizia della già avvenuta approvazione di questo progetto di sfruttamento del ricchissimo giacimento petrolifero, situato in località Tempa Rossa nella valle del Sauro, in Basilicata. Esso prevede una centrale di smistamento del petrolio greggio in arrivo nel porto di Taranto, che diventerà un esteso terminal petrolifero. Il materiale arriverà per essere trasportato verso diverse raffinerie in Italia e all’estero, una parte di esso invece sarà lavorato e stoccato a Taranto presso la raffineria Eni che nel frattempo sarà stata raddoppiata.
I problemi sono più che evidenti e sono legati alla concentrazione alla raffineria e al porto di tutto il petrolio del Sud Italia, e di conseguenza alla pericolosità che attività del genere possonoavere in maniera definitiva sull’ecosistema, già pesantemente provato dalla presenza dell’industria siderurgica e della grande base Nato.
C’è bisogno urgente di un cambio di passo, di una nuova visione, di una nuova classe dirigente che sappia affrontare le drammatiche condizioni in cui versa non solo Taranto ma l’intero Paese. Che nasca un movimento qui, da chi ha più sofferto e che non ha null’altro in cui sperare se non l’energia che scaturisce dalle proprie forze.
La società è profondamente cambiata. Nuovi bisogni emergono giorno dopo giorno senza trovare risposta. C’è bisogno di stabilità nello sviluppo, di coesione e di giustizia sociale diffusa, in cui le località siano artefici del loro stesso futuro: Taranto non ha mai avuto accesso alla “stanza dei bottoni”, in cui sono state prese le decisioni che così drammaticamente l’hanno riguardata e la riguardano. E’ ora di darsi una strategia per cambiare un futuro che sembra già segnato.
La crisi della città potrebbe essererisolta con un’energica azione di valorizzazione economica delle risorse locali e con un programma di diversificazione economica e produttiva. Ad esempio, la riconversione industriale affrontata con iniezioni di nuove tecnologie, l’allargamento delle attività portuali, nuovi contratti di lavoro che tengano conto della drammatica situazione occupazionale delle aree meridionali come quella di Taranto e che incentivino il radicamento di iniziative imprenditoriali.
La società si deve arricchire delle attività delle municipalità, le quali per ben contribuire hanno bisogno di mettersi all’altezza in termini di conoscenza e di una più ampia prospettiva europea, abbandonando il miope localismo. Agganciare l’Europa, le occasioni internazionali. Proprio per fare questo, si deve puntare sulla cultura, sull’innovazione, sulla valorizzazione delle competenze locali.
Lanciamo una politica che riparta dai giovani della Puglia, della Calabria, della Sicilia, dal Sud tutto che più del resto delPaese ha bisogno di un cambiamento epocale. Creiamo progetti alternativi coerenti con i cambiamenti già avvenuti in questa società e affatto interpretati dalla politica attuale. Ricerca, informatizzazione, innovazione, cultura, ambiente, per realizzare uno sviluppo economico, sociale, che pongano l’individuo al centro dell’attività umana.
Dare respiro all’azione locale in Europa, inserendola in un contesto del quale beneficiare in modo concreto ed immediato. Ripartire da Taranto e dal Mezzogiorno offeso. Riportare la periferia al centro.Antonia Battaglia-Peacelink Ilva, l’Ue scrive agli ambientalisti: "Impianti chiusi ma rischio alto"
La Commissione Europea ha inviato all’associazione PeaceLink una lettera sulla situazione dell’Ilva di Taranto. E i nuovi dati dimostrano, secondo l’associazione, "la persistenza di un’altissima percentuale di Ipa (Idrocarburi policiclici aromatici) cancerogeni ancora attribuibile all’Ilva nonostante lo spegnimento di alcuniimpianti".
Il presidente di Peacelink, Alessandro Marescotti, illustrerà i dati nel corso di una conferenza stampa indetta in un luogo simbolico, piazzetta De Vincentis del quartiere Tamburi. "La piazzetta - precisa - è vicina alla casa dove morì il signor Peppino Corisi", ex operaio del siderurgico che si ammalò di tumore. Lì fu affissa la targa: "Nei giorni di vento nord-nord/ovest veniamo sepolti da polveri di minerale e soffocati da esalazioni di gas provenienti dalla zona industriale ’Ilva’. Per tutto questo gli stessi ’maledicono’ coloro che possono fare e non fanno nulla per riparare", firmata dai cittadini di via De Vincentis, Lisippo, Trojlo, Savino.
Anche grazie alle segnalazioni di Peacelink e del Fondo Antidiossina onlus la Commissione europea ha aperto nel settembre 2013 una procedura di infrazione contro l’Italia accertando come lo Stato non garantisca il rispetto delle prescrizioni Ue sulle emissioni industriali, con gravi conseguenze per salute eambiente.                 Ilva, ArcelorMittal vicino all’acquisto: "Entro il 30 settembre il piano industriale"
Il gruppo franco indiano di Arcelor Mittal accelera sull’Ilva. Il gruppo conferma al commissario Piero Gnudi la sua intenzione di acquisire l’azienda siderurgica italiana che a Taranto ha il suo più grande stabilimento, nonchè il più grande d’Europa, e sono stati anche concordati gli ulteriori passaggi del negoziato: adesso che ha formalizzato l’interesse per l’Ilva, Arcelor Mittal avrà accesso alla data room dell’Ilva, quindi entro il 30 settembre presenterà il suo piano industriale ed entro i tre mesi successivi, praticamente entro fine anno, potrebbe esserci la definizione della cessione. Lo si apprende da fonti sindacali, le quali aggiungono che sono in corsa per l’Ilva anche gli indiani di Jndal, un gruppo degli Emirati Arabi ed un altro brasiliano.
Che la vendita sial’orizzonte prefigurato dal Governo e dal commissario dell’azienda non è più un mistero. Sin dall’inizio del suo mandato, il 6 giugno scorso, quando ha preso il posto di Enrico Bondi, il nuovo commissario Piero Gnudi ha, infatti, detto che avrebbe lavorato per due obiettivi prioritari su mandato del Governo: il prestito ponte, per risollevare l’Ilva dalla grave crisi di liquidità in cui è tutt’ora, e la sua cessione ad altro gruppo del settore dell’acciaio. Per il prestito ponte si è ora vicini alla conclusione. Il commissario conta di chiudere la partita con le banche entro fine mese.
Gli istituti darebbero all’Ilva 250 milioni mentre Gnudi ne aveva chiesto a metà luglio 650. I soldi che le banche daranno all’Ilva saranno garantiti dalla prededuzione, inserita nelle norme del decreto Competitività di recente convertito in legge. In questo modo, con la prededuzione, le banche sanno in partenza che il loro credito verso l’azienda è comunque tutelato in caso di procedurafallimentare.                          L’Arpa: "L’aria di Taranto migliora perché la produzione dell’Ilva è bassa"
’Ora la situazione di qualità dell’aria è accettabile nel quartiere Tamburi, ma questo è legato al fatto della minor produzione e al fermo di alcuni impianti". Lo ha detto il direttore generale di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, intervenendo sul caso Ilva nel corso della trasmissione ’Radio Anch’io’ di Radio1.
"Allo stato attuale - ha aggiunto - la situazione è particolarmente complessa perché siamo in una fase di transizione nella quale sono spente molte delle batterie della cokeria e le cokerie sono l’impianto nettamente più inquinante soprattutto per quanto riguarda l’inquinante maggiormente cancerogeno, che è il benzo(a)pirene".
Quando riapriranno, ha spiegato Assennato, "potrà ripresentarsi una situazione inaccettabile.Noi lo abbiamo attestato nel nostro studio di valutazione di impatto sanitario e ambientale in cui dimostriamo che anche quando saranno realizzate tutte le prescrizioni della nuova Aia, se la produzione sarà di 8 milioni di tonnellate annue, resteranno i problemi dell’impatto ambientale".                                                      Ilva, la vendita accelera Arcelormittal in pressing
Continua il dialogo fra il commissario dell’Ilva Piero Gnudi ed i vertici di Arcelormittal, il colosso franco-indiano che secondo quanto dichiarato dallo stesso Gnudi, è finora il gruppo che ha manifestato l’interesse più concreto ad entrare a far parte della cordata del siderurgico di Taranto. Secondo fonti vicine alcommissario governativo, in carica da giugno, Gnudi intende chiudere la partita col numero uno della classifica mondiale per la produzione di acciaio (96 milioni di tonnellate nel 2013) entro fine anno mentre il ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi aveva indicato come termine delle trattative il primo trimestre del 2015. Proprio il ministro Guidi, tuttavia, una decina di giorni fa ha confermato che ci sono «serie, serissime, manifestazioni di interesse» per l’Ilva, almeno 4-5 anche se «Arcelormittal rimane tra gli interlocutori che sono a uno stadio più avanzato». Tra questi, il ministro non ha escluso la presenza di gruppi italiani, fra cui pare anche Marcegaglia, che potrebbero affiancare il gruppo franco-indiano lasciandogli la fetta maggiore.
Sulle trattative è pessimista il segretario generale della Uilm Rocco Palombella, secondo il quale «è prevedibile che ci saranno frenate nella trattativa. Per ora siamo all’inizio, alle lettere di intenti. Quando si comincerà aparlare di cose serie, di particolari concreti, io temo che la trattativa diventerà lenta e complessa. Nei giorni scorsi ho incontrato il commissario Gnudi e gli ho indicato quella che per noi è la soluzione migliore: fare in modo che si attivino la parte commerciale e quella produttiva in modo da ridurre le perdite dell’azienda (si parla di 20 milioni al mese n.d.r.). Col prestito ponte si guadagna tempo, si ha modo di ridurre le perdite e riattivare l’azienda sotto diversi aspetti. Solo così si può sperare di portare avanti una trattativa con dei margini sul cambio di assetto societario. Non è possibile – aggiunge Palombella – vivere alla canna del gas ed aspettare il miracolo che arrivi Mittal a salvare la situazione».
Il messaggio è chiaro: lottare contro il tempo in modo da mettere sul mercato quote di una società in condizioni discrete anziché una società ridotta ai minimi termini in modo da fare la differenza nelle trattative ed evitare una svendita o quantomeno una cessionecon lo sconto.
Per far “respirare” l’Ilva fino alla conclusione delle trattative in corso, Gnudi chiede 650 milioni a tre banche, Intesa Sanpaolo, Unicredit e Banco Popolare. La metà serve per l’Autorizzazione integrata ambientale e quasi 200 milioni per pagare i fornitori e le aziende di indotto ed appalto che proprio ieri hanno annunciato di essere arrivate sull’orlo dei licenziamenti di massa perché non ricevono da mesi i pagamenti di Ilva. Dagli incontri milanesi è emerso che la cifra che gli istituti sono intenzionati a prestare è di circa la metà di quella chiesta ed il prestito è vincolato a condizioni ben precise: la garanzia che l’acquisto da parte di Arcerlormittal vada a buon fine. Il governo ha fatto la sua parte e garantito la prededucibilità del credito, cioè la garanzia di essere pagati per primi al momento della liquidazione dell’attivo in caso di fallimento dell’impresa. Vittorio Ricapito,repubblica
Ilva, Vera Corbelli nuovo commissario per lebonifiche
Vera Corbelli è il nuovo commissario per le bonifiche dell’area di Taranto. La nomina è del ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti. Corbelli sostituisce Alfio Pini che, nominato a gennaio del 2013, si è dimesso dall’incarico agli inizi di luglio in quanto, causa pensionamento, ha lasciato anche la pubblica amministrazione e in particolare l’incarico di comandante nazionale del Corpo dei vigili del fuoco. Insieme a Pini ha lasciato l’incarico anche il soggetto attuatore Antonio Strambaci del ministero dell’Ambiente.
Corbelli ha 56 anni, risiede a Napoli, ed è laureata in Geologia. Si è occupata fra l’altro di rischio idraulico e rischio idrogeologico. La nomina di un nuovo commissario era stata sollecitata nelle scorse settimane sia dalla Regione Puglia che dal Comune di Taranto e da Confindustria Taranto, i quali avevano fatto presente al ministero dell’Ambiente come la mancanza del commissario al vertice della cabina di regia rischiava di bloccarel’avanzamento di una serie di progetti.
Ilva, Renzi: "Strategica non solo per Taranto". I soldi dei Riva per le bonifiche
"Ilva è strategica non solo per Taranto". Così il premier Matteo Renzi in una conversazione su twitter il giorno dopo la svolta per il seiderurgico arrivata nelle commissioni Ambiente e Industria al Senato. Passano due importanti modifiche al sesto "salva-Ilva" varato dal governo il 10 luglio scorso per garantire il prestito ponte delle banche. La commissione del Senato approva a larga maggioranza due subemendamenti che prevedono l’affidamento di maggiori poteri al sub commissario per il risanamento ambientale, rimettendo così in pista un’ipotesi Ronchi- bis e la possibilità di usare per il piano ambientale le somme sequestrate ai Riva, anche per reati diversi da quelli ambientali.
Il nuovo "salva-Ilva" è inserito nel più ampio pacchetto del decreto competitività, all’esame dei senatori da ieri sera, che proseguirà la corsa contro il tempoalla Camera entro la scadenza del 23 agosto. Cantano vittoria i senatori Salvatore Tomaselli e Massimo Caleo, rispettivamente capigruppo del Pd nelle commissioni Industria e Ambiente, che parlano di grande successo sull’Ilva: "Abbiamo approvato due sub-emendamenti che rafforzano l’ultimo decreto Ilva e le condizioni per il risanamento, il rilancio produttivo dell’azienda e la salvaguardia occupazionale dello stabilimento di Taranto. Il primo sub-emendamento conferisce maggiori poteri di decisione e di spesa al sub commissario. Questi, secondo il testo approvato, "coordina ed è responsabile in via esclusiva dell’attuazione degli interventi previsti dal Piano ambientale, definisce, d’intesa con il commissario straordinario, la propria struttura, le relative modalità operative e il programma annuale delle risorse finanziarie necessarie per far fronte agli interventi, ritenuti ora indifferibili, urgenti, di pubblica utilità e da considerare varianti ai piani urbanistici".
Il secondosub-emendamento prevede la possibilità che il giudice trasferisca all’impresa commissariata le somme sequestrate a proprietari, soci e perfino dirigenti anche in relazione a procedimenti penali diversi da quelli per reati ambientali o connessi all’attuazione dell’autorizzazione integrata ambientale. Le somme sequestrate a società indagate diventano aumenti di capitale dopo essere transitate dal fondo unico giustizia gestito da Equitalia.
Plaude agli emendamenti il segretario del Pd pugliese Michele Emiliano, che in una nota commenta l’operazione di intelligence fra senatori e deputati del Pd, come lo ionico Michele Pelillo, che è riuscita "ad intercettare le contraddizioni del vecchio decreto e trasformare in decreto un legittimo sentimento di giustizia della comunità ionica". Per Emiliano, "grazie all’utilizzo del denaro sequestrato dalla magistratura alla famiglia Riva abbiamo scongiurato la chiusura dello stabilimento e contestualmente abbiamo garantito l’attuazione del Pianoambientale".
A maggio 2013 le fiamme gialle di Milano hanno sequestrato quasi 2 miliardi di euro ai Riva nell’ambito dell’inchiesta su truffa ai danni dello Stato e trasferimento fittizio di beni. I pm ipotizzano che il patron Emilio, scomparso il 29 aprile scorso e il fratello Adriano Riva, assieme ad alcuni professionisti, abbiano sottratto soldi alle casse dell’Ilva, nascondendoli in paradisi fiscali e facendoli poi rientrare in Italia attraverso lo scudo fiscale. La Procura di Milano, inoltre, sta indagando sui rapporti tra la holding Rive Fire e la controllata Ilva con l’ipotesi di appropriazione indebita ai danni dei soci di minoranza del colosso siderurgico.
Ieri intanto all’Ilva del commissario Pieno Gnudi è arrivato un nuovo direttore, Ruggero Cola, trent’anni di esperienza nel siderurgico, che sostituisce Antonio Lupoli ed un nuovo direttore del personale, Raffaele Del Noce. VittorioRicapito,repubblica             Ilva, Arpa Puglia boccia dl del governo: “Va contro il lavoro degli ultimi anni”
Il nuovo decreto sull’Ilva di Taranto approvato dal Governo Renzi è in ‘antitesi’ con il Piano ambientale del comitato di esperti e con alcune disposizioni dei precedenti provvedimenti varati in questi due anni. E’ quanto ha sostenuto in una lettera inviata all’onorevole Alessandro Bratti, membro della commissione Ambiente della Camera, il direttore generale di Arpa Puglia Giorgio Assennato. Nella missiva di quattro pagine, infatti, il capo dell’agenzia ambientale pugliese ha bocciato una serie di aspetti del nuovo provvedimento che, dopo l’approvazione dell’esecutivo è diventato un emendamento al decreto sulla competitività e, nelle prossime ore, dopo le modifiche delle commissioni Ambiente e Industria del Senato, arriverà in aula con la questione d fiducia posta dal Governo.
Per Assennato,intanto, il nuovo decreto “mostra alcune criticità” causate “dall’introduzione di ulteriori genericità” rispetto al piano ambientale. Questo, infatti, “definiva le azioni e, soprattutto, i tempi necessari a garantire il rispetto delle prescrizioni impartite ad Ilva spa” dall’Autorizzazione integrata ambientale rilasciata nell’ottobre 2012. Il nuovo provvedimento, invece, allunga i tempi di alcune misure che invece appaiono necessarie per ambientalizzare gli impianti dello stabilimento ionico. Come nel caso dell’Altoforno 5, il più importante della fabbrica. Fino a poco prima dell’approvazione dell’ultimo decreto la fermata di questo impianto doveva avvenire entro l’8 novembre prossimo, ma ora l’Afo5 “deve essere messo fuori produzione e le procedure per lo spegnimento” dovranno essere avviate entro il 30 giugno 2015. Ma in realtà lo spegnimento è subordinato al ripristino di un altro altoforno.
Un’opzione che secondo Arpa Puglia, come per alcuni impianti del reparto Cokeria,aprirebbe due scenari: il primo riguarda la possibilità che lo spegnimento non avvenga (proprio perché condizionato dall’efficienza di un altro impianto), il secondo, invece, prevedendo solo lo spegnimento dell’Afo5, non vincola l’Ilva a predisporre un “adeguato piano di dismissione, bonifica con deposito delle garanzie di fideiussione nel caso in cui non avvenga il riavvio”. In sostanza una serie di cavilli che potrebbero lasciare immutata la situazione costringendo i tarantini a convivere per anni con le emissioni nocive che ancora si diffondono dall’acciaieria. Non solo.
Il dg Assennato, nel dettaglio, ha spiegato che il nuovo decreto concede alla fabbrica anche la “piena autonomia” sull’80% di prescrizioni da realizzare entro il 31 luglio 2015, “non consentendo al legislatore – spiega il dg Arpa – di aver alcuna consapevolezza degli effetti della norma stessa che si va ad approvare, dato che non si conosce il 20% delle prescrizioni derogate”. Insomma chi controlla le decisionidell’Ilva? Secondo Arpa Puglia, ancora, l’ultimo provvedimento concederebbe anche “troppa autonomia nel chiedere finanziamenti senza certezza che vengano impiegati per l’esclusivo fine dell’attuazione delle prescrizioni ambientali” e non conterrebbe indicazioni “alla quantificazione economica globale degli interventi e le relative fonti finanziarie”. Infine il dg Assennato ha sottolineato la mancanza di fondi stanziati dall’esecutivo che consentirebbero l’assunzione di nuove unità per garantire lo svolgimento del carico di lavoro sopportato quotidianamente dall’agenzia. Una bocciatura senza appello, quindi, di un decreto salva Ilva, il sesto in meno di 24 mesi, che potrebbe rivelarsi l’ennesimo regalo alla fabbrica a danno degli operai e dei cittadini.  Francesco Casula-ilfatto-24 luglio2014                                                                                                     Fumi dall’altoforno dell’Ilva, la video denuncia degli ambientalisti
Il fondo Antidiossina onlus diffonde un nuovo video definito "shock" dagli ambientalisti, registrato da un operaio dello stabilimento siderurgico con uno smartphone alle 9:45 del 22 luglio in un’area della fabbrica riconosciuta come quella dell’altoforno 5, il più grande d’Europa. Nel video si vedechiaramente diffondersi una grande nuvola di fumo marrone. "Sorprende - spiega Fabio Matacchiera - che la polvere sia così in basso mentre di solito il così detto fenomeno dello slopping, quelle nuvole di fumo rosso più volte fotografate e riprese anche dagli investigatori, si verifica sui tetti delle acciaierie e non nell’altoforno". Antidiossina ha sottoposto il video alla procura ed ai custodi giudiziari del sequestro degli impianti a caldo (finiti sotto sigilli nel luglio del 2012 e tuttora sequestrati). In una nota, spiega di ricevere quasi quotidianamente foto e video molto eloquenti che mostrano episodi gravissimi di inquinamento. Vittorio Ricapito,repubblica
Ilva, il governo inserisce il decreto come emendamento al dl Competitività
Il governo ha depositato nella serata di ieri il preannunciato emendamento che fa confluire le norme dell’ultimo decreto legge sull’Ilva nel decreto legge sulla Competitività, all’esame in questi giorni delle commissioniIndustria e Ambiente del Senato. L’emendamento è costituito da un articolo aggiuntivo al dl competitività, che arriva all’indomani delle parole del ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, che ha parlato di "quattro o cinque serie manifestazioni d’interesse" per il siderurgico tarantino.
Il provvedimento originario, composto di un articolo e 4 commi, era passato dall’ultimo Consiglio dei Ministri con due i punti principali: prestito ponte (finanziamenti prededucibili) e osservanza del Piano di risanamento con l’80% delle prescrizioni attuate entro il 31 luglio 2015.
In sostanza, il nuovo provvedimento sul grande siderurgico tarantino (il sesto) si dedica principalmente al prestito ponte che sarà "funzionale" all’attuazione delle misure di "tutela ambientale e sanitaria" e per "la continuazione dell’esercizio dell’impresa e la gestione del relativo patrimonio". La norma riguarda "l’impresa commissariata", la quale "può chiedere di essere autorizzata a contrarrefinanziamenti prededucibili" (si fa riferimento a un regio decreto del 1942).
Poi, per "l’osservanza" del Piano di risanamento devono essere attuate almeno l’80% delle prescrizioni entro il 31 luglio del 2015"; per il resto delle prescrizioni il termine è fissato al 4 agosto 2016, a parte l’applicazione della decisione della commissione Ue del 2012 sulle migliori tecniche disponibili per produrre ferro e acciaio. Ci sono anche modifiche al Piano ambientale già approvato a metà marzo dalla presidenza del consiglio: si tratta in questo caso di una rimodulazione dei tempi.
Fabio Riva condannato a 6 anni e mezzo per i contributi pubblici all’Ilva
La terza sezione penale del Tribunale di Milano ha condannato Fabio Riva a sei anni e sei mesi per le accuse di associazione per delinquere e truffa, al termine del processo di primo grado su una presunta truffa ai danni dello Stato, perpetrata dal gruppo Riva, attraverso l’Ilva di Taranto, che avrebbe ricevuto contributipubblici senza averne diritto. I giudici hanno condannato anche Alfredo Lo Monaco della Svizzera Eufintrade sa a 5 anni e Agostino Alberti, ex dirigente di Ilva sa (società svizzera del gruppo Riva), a 3 anni.
Inoltre, la società Riva Fire, imputata per la legge 231/2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti, è stata condannata a una multa di 1,5 milioni di euro. Per i tre imputati e la società è stata disposta anche la confisca di 90,8 milioni di euro. II pm Stefano Civardi, titolare dell’inchiesta insieme a Mauro Clerici, aveva chiesto per Fabio Riva e Lo Monaco una condanna a 5 anni e 4 mesi, per Alberti a 3 anni e 4 mesi. Il pm aveva anche chiesto la confisca alla società e ai tre imputati la confisca di 91 milioni di euro complessivi e per la Riva Fire una multa di 2,25 milioni di euro.
Fabio Riva e gli altri due imputati condannati oggi dal Tribunale di Milano per associazione per delinquere e truffa ai danni dello Stato dovranno pagare una provvisionale di 15milioni di euro al Ministero dello Sviluppo economico, che si era costituito parte civile nei loro confronti. Inoltre, i giudici della terza sezione penale del Tribunale di Milano hanno condannato i tre al risacimento del danno allo stesso ministero, da quantificare in sede civile.
Per quanto riguarda la società Riva Fire, anch’essa imputata nel procedimento per la legge 231/2001, i giudici hanno deciso che non potrà ricevere finanziamenti, sussidi e agevolazioni dallo Stato per un anno. Inoltre, il Tribunale ha stabilito che non potranno essere versati i contributi già deliberati da Simest (controllata da cassa deposititi e prestiti) in favore di Ilva e che il gruppo Riva dovrà rimborsare i contributi già ricevuti per agevolare le esportazioni.
Le motivazioni della sentenza saranno pubblicate entro 90 giorni. Il processo arrivato oggi alla sentenza di primo grado riguarda una presunta truffa ai danni dello Stato dell’ammontare di circa 100 milioni di euro, che sarebbe stata







   
 



 
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