La scienza e le anomalie italiane: per un Senato delle competenze?
 











La senatrice a vita Elena Cattaneo si è fatta recentemente promotrice di alcune proposte istituzionali – emerse dapprima in un dibattito iniziato da Armando Massarenti sul domenicale del Sole 24 Ore e successivamente riprese da Scienza in Rete – che riguardano in particolare la riforma del Senato. Il discorso tenuto dalla senatrice il 16 Luglio 2014 a Palazzo Madama si è concentrato proprio su questo tema. L’idea è quella di creare un senato delle competenze.
Secondo la senatrice, occorrerebbe nominare un certo numero di senatori con “competenze specialistiche nei settori chiavi dell’innovazione e della ricerca”, che promuovano in particolare la cultura scientifica, carente nel paese, e quindi anche gli interessi della comunità scientifica nazionale, a beneficio di tutti. La proposta si basa, a nostro avviso, su presupposti errati. Spiegheremo qui di seguito perché. Ma indipendentemente dai meriti o meno della proposta, il tema di come debbanointeragire politica ed expertise scientifica e accademica è un tema fondamentale. È quindi doveroso, a partire dagli autorevoli interventi della senatrice Cattaneo, provare a sviluppare un dibattito pubblico su questo tema.
La legislazione italiana sulla sperimentazione animale è molto restrittiva rispetto agli standard degli altri paesi europei. Il divieto di coltivazione di organismi geneticamente modificati è più severo che altrove e si estende alla stessa ricerca sugli OGM. Il governo e il parlamento italiano – durante il governo Monti – hanno creato un pericoloso precedente proponendo il finanziamento di trial clinici del metodo “stamina” contro il parere della comunità scientifica. In un recente articolo su Repubblica, la senatrice Cattaneo e Gilberto Corbellini indicano questi come alcuni dei sintomi di “irrazionalità, fanatismo, emotività, tecnofobia, antimodernismo, anti-industrialismo, populismo” che sono endemici fra i cittadini italiani e che sono penetrati in un sistemapolitico tradizionalmente estraneo alla cultura scientifica. Si tratta, secondo loro, di una gravosa zavorra per il futuro dell’Italia – anzi di “una corda a cui si sta impiccando il futuro di questo Paese” – che si trova a dover competere a livello internazionale, e in un contesto economico basato sull’innovazione tecnologica e scientifica, con paesi ben altrimenti attrezzati per cultura e infrastrutture per la ricerca in questi campi. L’impegno della senatrice Cattaneo contro lo storico e recrudescente sotto-finanziamento della ricerca in Italia è lodevolissimo. Il discorso sul rapporto tra scienza, società civile e politica va però a nostro avviso articolato in maniera diversa.
La retorica che fa riferimento – per usare appunto la terminologia adoperata da Cattaneo e Corbellini – a “irrazionalità, fanatismo, emotività, tecnofobia, antimodernismo, anti-industrialismo, populismo” del popolo italico e al rischio che le “deboli menti impreparate” degli italiani e delle italianevengano “aizzate” da coloro che vogliono, per una ragione o per l’altra, “manipolare i fatti” è una retorica scientifico-elitista. All’interno di questa concezione, il problema del rapporto tra comunità scientifica da una parte e società civile dall’altra è visto come dovuto semplicemente a un deficit conoscitivo nelle persone comuni: se solo la gente e i politici che la gente vota capissero meglio la scienza e la ricerca, il problema del rapporto tra scienza, società e politica verrebbe risolto! In una concezione di questo tipo, ha senso l’idea di riservare un certo numero di cariche senatoriali a membri della comunità scientifica e del mondo accademico: (1) la mancanza di conoscenze e competenze nella gente comune si riflette a livello istituzionale; (2) la mancanza a livello istituzionale ci pone in svantaggio rispetto ad altri paesi; (3) si può rimediare – almeno parzialmente – facendo in modo che alcune cariche politiche vengano date direttamente a membri della comunitàscientifica e accademica.
Questo tipo di analisi sembra adattare al rapporto tra scienza e società italiana uno schema narrativo molto comune, e cioè quello della anomalia italiana (recentemente criticato, in un altro contesto, da Perry Anderson in un articolo per la London Review of Books, riproposto in traduzione italiana dal sito di MicroMega). Secondo questo schema, l’Italia sarebbe un paese modernizzatosi solo a metà, conservatore per ragioni clientelari, antropologiche e culturali-religiose, restio alla normalizzazione istituzionale da cui dipende il successo sociale, civile, ed economico di altri paesi, in particolare quelli del Nord Europa. Il vincolo esterno alla vita democratica italiana – posto dalla legislazione sovra-nazionale dell’UE o di altri organismi internazionali e generato dalla competizione a livello globale con le altre nazioni – è visto come una salutare panacea, un’ancora di salvezza per un paese “periferico” come l’Italia che non è in grado di riformarsi dasolo. (Per inciso: questo schema narrativo è usato non solo dalle élite italiane, ma anche da poteri stranieri che hanno interesse a influenzare le vicende politiche del nostro paese.) Bisogna rifiutarsi di accettare questa narrazione. La retorica scientifico-elitista è per certi versi una versione della retorica anti-populista che abbiamo discusso altrove. Corbellini e Cattaneo contrappongono a credenze, preferenze e desideri soggettivi della gente lo scetticismo, la critica serrata, l’attenzione alla durezza dei dati oggettivi propria non tanto del metodo scientifico, quanto degli scienziati stessi. Come nel caso più generale, questa contrapposizione tra élite illuminate e le “deboli menti” della gente comune è problematica perché può essere usata per giustificare forme di disuguaglianza politica.
Gli esperti scientifici hanno un ruolo importantissimo da svolgere nelle democrazie contemporanee. Le società complesse in cui viviamo hanno bisogno di una sempre maggiore divisione dellavoro cognitivo, e la comunità scientifica svolge un ruolo cruciale in questa sofisticatissima divisione delle competenze e delle conoscenze. I molteplici metodi che le varie discipline scientifiche sviluppano di continuo per aumentare sempre più la qualità dei loro risultati sono importantissimi all’interno di questa dinamica, così come lo è la distinzione tra metodi conoscitivi affidabili e metodi conoscitivi non affidabili. Ma una cosa è dire che gli esperti scientifici, per le loro specifiche conoscenze, competenze e metodi, hanno un ruolo da svolgere nel fornire informazioni affidabili su fatti che possono essere rilevanti per la formulazione di scelte politiche sagge ed efficaci; ben altra cosa è dire che gli esperti scientifici hanno il diritto all’accesso privilegiato ad alcune cariche politiche, come appunto quella di senatore. Lo stesso vale per competenze che esistono in altri ambiti del mondo accademico o della cosiddetta ‘cultura’. L’idea epistocratica secondo cui lemaggiori competenze e conoscenze debbano automaticamente tradursi in maggiore potere politico si trova per esempio nella Repubblica di Platone. Si tratta di un’idea per certi versi profondamente anti-democratica, che fa a pugni con l’ideale dell’eguaglianza politica.
Il progetto del senato delle competenze, così come è stato proposto, sembra basarsi sull’ipotesi secondo cui un sistema politico più epistocratico risolverebbe i problemi legati all’anomalia italiana per quanto riguarda, in particolare, le politiche dell’innovazione, della scienza e della ricerca, argomenti peculiarmente complessi e dunque inadatti ad essere gestiti dalle procedure democratiche ordinarie, troppo influenzabili dalle “deboli menti” dei cittadini. È un progetto la cui ispirazione non è certo nuova in un paese che ha avuto e subito diversi governi tecnici e che storicamente è stato governato da élite con poca fiducia nelle qualità intellettuali o morali degli italiani e delle italiane. È un progettoanti-democratico.
Per quale motivo dovrebbero i membri della comunità scientifica o del mondo accademico – ma non i membri di altri settori importanti della società civile e della vita economica del paese – avere un accesso privilegiato a cariche politiche importanti? I senatori nominati per le loro competenze sarebbero peraltro chiamati a esprimersi e a votare su questioni politiche che esulano dal loro campo di specializzazione. Non c’è motivo di ritenere che essi sarebbero più bravi degli altri nel contribuire a prendere decisioni politiche su questi temi. La divisione del lavoro conoscitivo va presa seriamente, soprattutto in ambito politico. Le decisioni politiche che mirano al bene dell’intera comunità nazionale possono sicuramente avvantaggiarsi di un’ampia varietà di conoscenze di prima mano e di interessi, inclusi quelli di settori della popolazione quali i precari, i disoccupati, le casalinghe, gli artigiani, gli operai, gli impiegati, i commercianti, i piccoliimprenditori, e molte altre categorie di persone che non hanno solitamente facile accesso alle cariche politiche. Dopotutto, tutti i settori della popolazione sono affetti da decisioni che riguardano direttamente o indirettamente l’impatto dell’innovazione scientifica e tecnologica sulla società, sul mercato del lavoro, e sulle relazioni interpersonali. Le competenze e gli interessi di tutti i settori della popolazione sono perciò rilevanti anche quando ci si concentra su questioni di politica della ricerca scientifica e tecnologica. Un vero senato delle competenze in questo senso potrebbe forse ottenersi, come abbiamo suggerito in un altro articolo, tramite il meccanismo del sorteggio.
In ogni caso, l’idea della comunità scientifica e accademica come sui generis sembra basarsi su un’immagine del ricercatore come alieno dalle dinamiche sociali e dedito alla ricerca di soluzioni e conoscenze politicamente neutrali. Tale immagine sottovaluta come l’agenda scientifica e la ricerca piùin generale siano e debbano essere controllate da forze sociali ad esse estranee, e che quindi non ci sia alcuna ragione di ritenere eccezionale in questo senso il mondo della ricerca, che invece svolge il suo essenziale ruolo di ricerca di conoscenze oggettive e soluzioni socialmente utili in continua comunicazione con il resto delle attività umane. (Anche sul proposto meccanismo di nomina dei senatori “competenti” – con proposta da parte del Presidente della Repubblica e vaglio dell’Accademia dei Lincei – ci sarebbe molto da dire.)
Le élite con intenti pedagogici si richiamano spesso a modelli esteri anche quando tali modelli sono già superati nei paesi di provenienza. L’idea della ricerca scientifica come sui generis ed estranea alla dialettica politica è stato oggetto di critica serrata da parte di filosofi, sociologi, e varie associazioni di cittadini appartenenti alla società civile. L’Unione Europea stessa sembra dirigersi verso forme di coinvolgimento del pubblico non basatesulla necessità di educare i cittadini alla scienza ma piuttosto sul tentativo di coinvolgerli più in profondità nei processi istituzionali che riguardano la ricerca, per migliorarla e adattarla ai bisogni e agli interessi del pubblico. Qui non vogliamo certo ripetere al contrario l’argomento pedagogico basato sul vincolo esterno, ma certo è importante osservare come esso sia generalmente costruito su una percezione di ciò che accade all’estero distorta da pregiudizi strumentali. Bisogna evitare di imitare, magari con decenni di ritardo, soluzioni che anche altrove non hanno funzionato.
Il senato delle competenze, così come proposto dalla senatrice Cattaneo e da coloro da cui la senatrice ha preso spunto, è un’idea sbagliata. Le conoscenze scientifiche e la buona ricerca accademica sono fondamentali nelle democrazie moderne, ma il loro ruolo a livello istituzionale deve essere pensato al di fuori di prospettive elitistiche e di controproducenti tentazioni tecnocratiche. Lorenzo DelSavio e Matteo Mameli









   
 



 
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