Spese pazze alla Asl di Bari, il direttore generale consegna a Vendola la sua autodifesa
 











L’Asl di Bari prova a difendersi dallo scandalo delle spese pazze. Il direttore generale, Domenico Colasanto, ha consegnato ieri mattina in Regione le sue controdeduzioni alle accuse contenute nella relazione del ministero dell’Economia sui bilanci dell’Asl. È quanto ha comunicato la presidenza della Regione: “A seguito della lettera di contestazioni firmata dal presidente Vendola e inviata al direttore generale dell’Asl Bari – è scritto nella nota regionale – sui rilievi mossi dalla Ragioneria generale dello Stato, il direttore generale ha risposto ieri nei termini temporali a sua disposizione, ovvero 10 giorni”. Nulla è trapelato fino ad ora riguardo al contenuto della replica di Colasanto, che attualmente è nelle mani dei tecnici dell’assessorato alla Sanità i quali provvederanno ad avviare una istruttoria tecnica e fare le valutazioni sul caso.
Quel che è certo è che la vicenda delle spese pazze in Asl è ben lontana dall’epilogo. Sullavicenda infatti c’è un altro fronte aperto dalla procura della Corte dei conti che ha aperto un fascicolo in base agli atti trasmessi dallo stesso ministero a fine giugno. Agli atti della magistratura contabile non sono finite solo le 129 pagine della relazione ma anche i 71 allegati.
LE ACCUSE DELLA RELAZIONE MINISTERIALE
Prestazioni aggiuntive in Lpa (libera professione) effettuate da medici in ferie, vertenze milionarie per il diritto alla mensa, reparti con una media di un medico per ogni paziente (alla faccia della carenza di personale), milioni di euro persi sull’intramoenia, esenzioni ticket a go-go, gestione assurda del  patrimonio immobiliare, documenti spariti a causa di misteriosi allagamenti. La relazione del ministero dell’Economia sui bilanci dell’Asl Bari sembra un pozzo senza fondo di informazioni scottanti. Gran parte delle 130 pagine scritte dall’ispettore Michele Ametta contengono pesanti accuse nei confronti dell’organizzazione dellaterza Asl più grande d’Italia. Tutte pagine frutto di una verifica condotta dal Mef e «fortemente condizionata, sia nei risultati che nei tempi, da una struttura organizzativa che non sempre ha mostrato pronta collaborazione – scrive Ametta nella prefazione – ma sensibili lungaggini nel fornire informazione, documentazioni e dati».
LE COLPE DEI MEDICI
Poco più di 24 milioni di euro più 2 milioni di maggiore Irap. Questo il danno erariale alle casse Asl causato dalle violazioni sulle prestazioni aggiuntive. Nella sua relazione, l’ispettore segnala esplicitamente che, in primo luogo, il danno patrimoniale è da ascriversi ai responsabili delle violazioni, cioè ai medici che hanno ricevuto compensi illegittimamente percepiti. Alcuni tra di loro hanno violato reiteratamente le più elementari norme di buon comportamento, come prestazioni aggiuntive in Lpa effettuate in giornate di riposo o ferie, da percettori della 104, o comunque superando di gran lunga il limitemassimo di ore autorizzate (24 mensili e 96 annuali).
LE RESISTENZE DEI SINDACATI
Per quanto riguarda i pagamenti per la rimozione dei punti di sutura, questi venivano calcolati per ogni punto presente sul corpo del paziente, piuttosto che, come previsto, per ogni seduta. Una «moltiplicazione dei pani e dei pesci» applicata da tempo. Soltanto in un verbale risalente al 20 gennaio scorso il Comitato regionale permanente per la medicina generale prova a risolvere la questione «ma solo parzialmente – scrive ancora Ametta – anche a causa di resistenze delle organizzazioni sindacali».
IL BUCO DELL’INTRAMOENIA
Nelle carte del Mef si descrive anche l’assenza di una contabilità separata relativa a costi e ricavi dell’Alpi. «Si ritiene si possa realisticamente affermare che l’azienda ha operato in perdita per tutti gli anni pregressi all’introduzione delle nuove ripartizioni delle tariffe avvenute con la delibera 1652». L’Asl ci avrebbe rimesso delsuo, fino a quando non ha introdotto la delibera 1652 del settembre 2012. Prima di questa data le quote trattenute dall’azienda per l’Alpi oscillavano dal 7 al 22 per cento. Con le modifiche, le nuove quote sono state stabilite in un’unica percentuale del 30 per cento, quota che garantiva finalmente la copertura di tutti i costi. «Si calcola – scrive la Ragioneria – una perdita di 3 milioni 555mila euro se si tiene conto del periodo di prescrizione quinquennale».
QUEI DOCUMENTI DISTRUTTI NELL’ALLAGAMENTO
Nei pochi casi in cui le carte sono disponibili, ci pensano gli allagamenti a farle fuori. La direzione sanitaria ha il compito di provvedere alla verifica delle prestazioni effettuate e soprattutto garantire il giusto equilibrio tra prestazione istituzionale e intramoenia. Compiti affidati all’Organismo paritetico di verifica, previsto da una legge nazionale del ’92, ma istituito in Asl Bari solo nel 2010. Non a caso il Mef parla di «istituzione tardiva» e siaspetta di controllare almeno i documenti redatti a partire dal 2010. Peccato che quegli atti «non sono disponibili perché così come quanto dichiarato dai responsabili aziendali, sono andati distrutti a causa di un allagamento. Non è stato possibile pertanto verificare la funzionalità dell’organismo». Relativamente ai controlli sull’Alpi, invece, l’azienda «non ha un servizio ispettivo».
UN MEDICO PER OGNI PAZIENTE
«Appare emblematico – scrive il Mef a proposito della confusione sull’organico – il caso della struttura complessa di pediatria del presidio ospedaliero di Putignano che con appena 10 posti letto ha una dotazione organica di ben 8 dirigenti medici, dei quali risultano in servizio 7 medici che, dalla documentazione allegata, presentano elevate prestazioni in Lpa». In un’analisi su 4 reparti del San Paolo, invece, si afferma che «ad eccezione dell’anno 2012, negli anni 2010 e 2011 non si registra alcuna carenza di organico e, anzi, il personale inservizio era ben superiore alla dotazione organica».
ESENZIONI TICKET
Una provincia di esenti. Considerando tutte le tipologie di esenzione (reddito, età, patologie), nell’esercizio 2012 l’Asl Bari individua una popolazione esente da ticket di circa 755mila unità pari a circa il 60 per cento del totale della popolazione assistita, di cui 211mila per motivi di reddito. Il Mef non può far altro che constatare che «la mancanza di adeguati controlli da parte dell’Azienda» può aver contribuito ad alimentare fasce di non aventi diritto.
VERTENZE MENSA, 5 MILIONI DI DANNI PER LE CASSE ASL
Il riconoscimento di tale diritto è stato per anni disatteso dall’Asl. Ciò ha prodotto un diffuso contenzioso fin dall’anno 2007. I dipendenti interessati alla questione sono circa 5500, molti di essi hanno già ottenuto sentenze di primo grado favorevoli al riconoscimento del diritto alla mensa. «Si ritiene – scrive Ametta – che mediamente tali spese possanostimarsi in non meno di 1000 euro per singolo ricorso, di cui 500 euro per Ctu con un potenziale costo complessivo pari a 5.500.000 euro alle quali occorre aggiungere la sorte capitale».
4 MILIONI IN AFFITTI E PATRIMONIO IMMOBILIARE IN ABBANDONO
Le ultime pagine della relazione sono dedicate all’«irrazionale» utilizzo del patrimonio immobiliare: fabbricati rurali inagibili, suoli privi di reddito, immobili in abbandono, sfitti o occupati abusivamente, terreni di pregio in città intestati ad altri soggetti. A fronte di tutto questo «l’azienda corrisponde affitti passivi per un considerevole ammontare annuo pari a 4 milioni 312mila euro e a spese condominiali per circa 170mila euro annui». Qual è la ragione per cui l’Asl detiene terreni senza valore? «Nessuna – conferma il ministero – non c’è nessuna ragione».Antonello Cassano,repubblica

 

 









   
 



 
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