L’uomo solo al comando cerca compagnia. Da quando Matteo Renzi è diventato segretario del Pd e poi presidente del Consiglio, ha declinato in fiorentino il milanese "ghe pensi mi": ora ci penso io. Il premier ha diviso con l’accetta sostenitori e “gufi”. Ha snobbato i critici ("Ma secondo voi mi faccio fermare da Mineo?"). Poi, però, è arrivata la prima mazzata. L’Istat certifica che l’economia non ha cambiato verso e che la crescita dello 0,8% del Pil prevista dal Def resta un miraggio. L’Italia è in recessione. E Renzi, all’improvviso, si accorge che senza qualcuno che gli tiri la volata non va da nessuna parte. Non abbandona l’atteggiamento da ganassa. Quando un giornalista gli fa notare che la Commissione europea ha definito “senza strategia” il percorso dell’Italia, lui tratta l’Ue come un Fassina qualsiasi: “Bruxelles chi?”. Draghi bacchetta l’Italia (“I Paesi che hanno fatto programmi convincenti di riforma strutturale stanno andandomeglio di quelli che non lo hanno fatto”). Il premier si dice d’accordo. Rintuzza: “A decidere deve essere la politica”. Ma si guarda bene dal dire “Francoforte chi?”. Perché al primo fischio, Renzi corre da Draghi (e poi da Napolitano). Il vento contrario della recessione rende la fuga del premier più complicata del previsto. Servono i suggerimenti dell’ammiraglia, dove siedono il numero uno della Bce e il presidente della Repubblica. Ecco allora che Renzi vola a domicilio in Umbria, dove Mario Draghi sta trascorrendo le vacanze. Firma la pace, conferma di essere “sulla stessa linea”. Anche se, poche ore prima, il banchiere centrale aveva tiratore le orecchie a quel discolo toscano (e non solo): “Per i Paesi dell’Eurozona è arrivato il momento di cedere sovranità all’Europa”. Come a dire: se non siete capaci, le riforme ve le facciamo noi. L’esatto opposto della versione di Renzi. Il faccia a faccia non era in agenda. Ed è quantomeno anomalo nelle sue modalità. Renato Brunettaavrebbe persino preteso che il premier riferisse in Aula. Avrebbe, “se non fosse Ferragosto”, ha affermato il deputato di Forza Italia. Beppe Grillo ha definito Renzi “il simpatico fantoccio della Bce” e tramutato il classico soprannome “ebetino” in “ebolino” : il premier come una malattia che, complice l’Eurotower, avrà come effetto una emorragia nei conti correnti degli italiani. Renzi, al contrario, descrive l’incontro con toni soft: “Con Draghi tutto bene. Ci vediamo periodicamente”. Un’affermazione detta alla leggera, ma che sottolinea il rapporto sempre più stretto tra la Bce e Palazzo Chigi. Questa volta niente lettere. Basta una telefonata (e un volo in elicottero). Paolo Fiore,l’espresso
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