Quella sprecopoli delle partecipate Migliaia di società per regalare poltrone
 











Domanda: qual è l’azienda che si può permettere di perdere 70 mila euro al giorno, senza finire subito a gambe all’aria? Risposta: la Cotral, la società che gestisce i pullman che collegano i più lontani angoli del Lazio, da Castiglione in Teverina a San Donato Val di Comino. Dal 2010 al 2012 le perdite annuali hanno scandito il tempo con impressionante regolarità, 26 milioni, poi 27, infine 25, costringendo l’azionista - la Regione Lazio - a coprire i buchi. Nel 2013, il miracolo: la Cotral ha chiuso il bilancio in utile, ben 2,6 milioni. Una svolta? Il segno di un futuro più tranquillo? Purtroppo no. È l’effetto di una manovra contabile: la società ha incassato 28,1 milioni, liquidando dei vecchi crediti che non riusciva più a riscuotere. Subito dopo è stato necessario battere cassa con il presidente regionale Nicola Zingaretti, perché altrimenti sarebbe stato difficile andare avanti.
È questo uno dei tanti esempi del rompicapo dell’estate delgoverno di Matteo Renzi: quante sono e a cosa servono le società a partecipazione pubblica? E soprattutto: è possibile far sì che non brucino più miliardi e miliardi di risorse pubbliche? Una domanda non da poco, sulla quale il premier si gioca la faccia. Con le ultime stime del Pil non proprio incoraggianti, tagliare la spesa pubblica non è solo una priorità, ma soprattutto una questione di sopravvivenza del governo. Per continuare a garantire il bonus fiscale di 80 euro in busta paga anche nel 2015, serviranno presto nuove coperture di bilancio. Motivo per cui Carlo Cottarelli, commissario governativo per la revisione della spesa pubblica, è stato incaricato di riorganizzare quei centri di spesa che si chiamano “partecipate pubbliche”, una giungla azionaria che costa allo Stato e agli enti locali 26 miliardi l’anno.
La missione non è semplice, dato che nemmeno il punto di partenza è certo. Nessuno, infatti, sembra saper dire con certezza quante siano le società a partecipazionepubblica. Il Tesoro ne conta 7.700, il dipartimento delle Pari Opportunità di Palazzo Chigi - che rileva i dati sulle eventuali discriminazioni di genere - oltre 10 mila. In realtà potrebbero essere ancora di più. Cottarelli, intanto, ha presentato un piano per scendere da 8 mila a mille in tre anni. Ma chiudere una partecipata è davvero così facile? In passato, infatti, quando una veniva costretta ad abbassare la saracinesca, per ricollocare il personale se ne aprivano altre. E ancora: a molte di queste aziende o pseudo-tali, sono state girate attività che un tempo venivano svolte all’interno dei ministeri, con tanto di relativi dipendenti.
Alla fine degli anni Novanta è nata ad esempio così Ales Spa, la società interna ai Beni Culturali per la conservazione del patrimonio artistico nazionale, che ora è stata candidata ad assorbire pure gli esuberi delle fondazioni liriche. E la stessa origine ce l’ha Italia Lavoro, che dal 1997 fa capo invece al Ministero delle Politiche socialie, dice lo statuto, «promuove e gestisce azioni nel campo delle politiche del lavoro». Un compito svolto chissà come, se i risultati sono il boom della disoccupazione giovanile e la disperazione di chi cresce senza alcuna possibilità di impiego nel Mezzogiorno, le più gravi emergenze di questi anni.
Cottarelli ha pensato di partire, fra l’altro, da un numero incredibile di società che hanno solo amministratori e collegi sindacali, ma nessun dipendente. Sono ben 1.213 e, come dice Roberto Perotti, professore di Politica Economica all’Università Bocconi sono spesso del tutto inutili, se non dannose: creare società vuote, magari con pure funzioni di holding, dev’essere sembrato in passato un buon mezzo per moltiplicare le poltrone, da distribuire poi fra i clienti più stretti della politica o gli amministratori trombati, ancora potenti nei loro collegi elettorali. Magari esistono buone ragioni per ogni riorganizzazione societaria effettuata in questi anni di spese pazze ma, certamente,non è facile spiegare ai cittadini il perché - ad esempio - la Cotral dei trasporti pubblici laziali non è proprietaria dei pullman su cui viaggiano gli utenti.Questi, nel numero di 1.619, fanno capo infatti a un’azienda gemella, la Cotral Patrimonio.
E ancora è un questione da azzeccagarbugli il motivo perché il comune di Torino possiede la bellezza di 34 partecipazioni tra società, finanziarie (a loro volte di partecipazioni), consorzi, agenzie e persino un fondo speculativo non direttamente ma attraverso una holding, la Fct Holding, che naturalmente ha sede proprio in municipio. Il barocco, nell’ex capitale dei Savoia, non sembra essere solo quello meraviglioso dei palazzi firmati da Filippo Juvarra, come mostra il caso dell’Amiat, l’azienda dei rifiuti. Nel 2012 il Comune ha deciso di vendere a terzi il 49 per cento della società (il 51 è della Fct). A comprare, però, è stata un’altra holding creata ad hoc, la Amiat V. Spa, partecipata fra gli altri da Iren. E chi è Iren? Ilgruppo che raccoglie le ex municipalizzate di elettricità, gas e acqua di diverse città. Fra queste, anche Torino, che partecipa al controllo di Iren attraverso un’altra holding, la Finanziaria Sviluppo Utilities, a sua volta posseduta al 50 per cento dalla Fct Holding.
Fare pulizia è, ora, il ritornello intonato da molti politici. Forse perché fa loro comodo allargare gli obiettivi dell’ira dei cittadini ad altri soggetti, dirottandola per una volta dagli stipendi e dai benefit dei parlamentari, forse perché la situazione è ormai insostenibile: con i rubinetti del denaro pubblico agli sgoccioli, mantenere in vita tutto questo apparato è impossibile, oltre che dannoso. Fatto sta che l’ipocrisia è sempre dietro l’angolo. Un po’ perché le posizioni di comando fanno sempre comodo. Oggi è quasi come sparare sulla Croce Rossa l’infierire sui casi più noti e clamorosi, dalle poltrone affidate dall’ex governatore veneto Giancarlo Galan alla segretaria Claudia Minutillo, finita con luinell’inchiesta giudiziaria sullo scandalo del Mose, alle fidanzate, amici e parenti della destra romana piazzati nell’era di Gianni Alemanno ministro dell’Agricoltura nella mitologica Unire, l’Unione nazionale per l’incremento delle razze equine. Ma un ruolo di responsabilità, con tanto di gettone di presenza, fa gola anche agli amici dei nuovi potenti, come mostra il caso dell’uomo ombra di Matteo Renzi, Marco Carrai, catapultato prima al vertice di Firenze Parcheggi, poi all’Aeroporto di Firenze. Ma c’è un motivo in più per mantenere in vita strutture che risalgono a ere politiche passate: il fatto che, se restano in vita, prima o poi un po’ di denari dal bilancio pubblico riescono a spremerli comunque.
Se nell’ultimo decreto Irpef, ad esempio, da un lato si invitava Cottarelli a fare luce sui malanni del capitalismo pubblico tricolore, dall’altro si erogavano 100 milioni di euro per pagare i debiti di Eur Spa, società 90 per cento del Tesoro, 10 per cento del Comune di Roma. Natacome ente per l’organizzazione dell’esposizione universale capitolina del 1942, e da allora oggetto di mille trasformazioni pur di mantenerla in vita, la società è indebitata con le banche per 188 milioni e verso fornitori per 54. E, ovviamente essendo a corto di risorse, non ha i quattrini per dare una svolta agli infiniti lavori per la costruzione del centro congressi noto come la Nuvola, progettato dall’architetto Massimiliano Fuksas.
D’altronde, il motivo dell’esplosione del numero delle società pubbliche è proprio quello: creare dei buchi neri in grado di aspirare denari. Forse non è un caso che si siano moltiplicate porprio negli ultimi anni, quando la stretta del patto di stabilità si è fatta più forte: nel 2003 l’Unioncamere ne contava 4.063, oggi sono almeno il doppio: nessun settore economico ha avuto una tale espansione in un decennio di economia malata come l’ultimo. Con questa proliferazione, invece, si è tentato di aggirare i vincoli all’indebitamento, distribuireassunzioni, appalti e consulenze. Alcune società hanno un passivo o debiti tanto insostenibili che sarebbe impossibile trovare un acquirente sul mercato, né potrebbero essere liquidate se non mettendo a rischio le realtà economiche locali. La Corte dei Conti ha scattato una fotografia impietosa: di 3.949 società esaminate nel 2012, 469 hanno chiuso con segno negativo consecutivamente nell’ultimo triennio, registrando 652,6 milioni di perdite complessive.
Se le difficoltà delle aziende di trasporto locale sono note in tutta Italia, Roma presenta ancora una volta una specie di caso scuola. L’Atac, la Cotral e l’Ama (rifiuti) assieme al Comune possiedono infatti una compagnia assicurativa, la Assicurazioni di Roma. «Credo che sia l’unico Comune in tutta Europa ad averne una. Ha lo scopo di assicurare gli automezzi, con una peculiarità: nessuno ha mai pagato il premio e così oggi l’azienda vanta 50 milioni di crediti», denuncia il consigliere radicale Riccardo Magi.
Ma sprechi einsensatezze sono all’ordine del giorno da Sud a Nord. Racconta Carlo Ciaccio, consigliere siciliano del Movimento 5 stelle: «La Regione Sicilia ha 34 partecipate ma solo una o due hanno i conti in pareggio. Un esempio di inefficienza? La Società interporti, nata con la mission di realizzare due interporti, uno a Catania e uno a Termini Imerese. Ha chiesto soldi alla Regione perché ha un buco di 2,5 milioni di euro, ma in quattordici anni a Termini Imerese non è mai stata posata nemmeno una pietra». E ancora, a Udine: la Agemont è una finanziaria per lo sviluppo economico delle zone montane. Nel 2012 la Regione Friuli Venezia Giulia ha però dato vita ad altre due società, Agemont Immobiliare ed Agemont Cit, a cui ha passato tutte le attività in grado di generare proventi. Oberata da costi di struttura per 250 mila euro, e piena di partecipazioni difficili se non impossibili da vendere, gli amministratori sono stati così costretti a mettere nero su bianco un appello alla Regione:decidete che cosa fare di noi, perché così non serviamo a nulla. Sara Dellabella,l’espresso

 









   
 



 
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