Ventidue febbraio, Ventidue agosto 2014: il primo semestre renziano. Molti annunci, qualche riforma ed effetti economici nulli nel breve periodo. Tra cambi in corsa, eccesso di ottimismo e caccia ai gufi . Aveva dichiarato di voler arrivare a Palazzo Chigi "solo con le elezioni". Diventato premier, Renzi ha azzardato numeri e date. Come quando disse di poter toccare una crescita del 2%. Sono arrivati gli 80 euro in busta paga e la riforma del Senato. La priorità era il lavoro: il Jobs Act non sarà operativo prima di metà 2015. La burocrazia incaglia i debiti della Pa. E il baldanzoso atteggiamento nei confronti dell’Europa ha lasciato il posto a più miti propositi. Renzi cinguetta orgoglioso. Impegni rispettati. Peccato che i conti si basino anche su previsioni di crescita sbagliate. E non di un o due zero virgola. Il documento di economia e finanza mirava a un progresso del Pil dello 0,8% nel 2014. Renzi ci crede. Anzi, rincara. Il 9maggio, mentre Moody’s taglia le stime di crescita e il ministro del’Economia Piercarlo Padoan stima l’impatto delle riforme sul Pil dello 0,3%, il premier mira in alto: "Ma quale mezzo punto, possiamo crescere del 2%”. Il 24 luglio ridimensiona le proprie aspettative. E ammette: "Forse cresceremo meno". È l’ultima previsione, prima che l’Istat, ad agosto, certifichi la recessione. Renzi non molla: "Non guardo i decimali. La nostra priorità è il lavoro". Appunto. LAVORO Lo aveva ribattezzato Jobs Act. "A marzo la riforma", assicurava Renzi il 17 febbraio 2014. Il 12 marzo il provvedimento arriva. Si tratta del decreto Poletti. Il premier promette che la discussione parlamentare per la conversione in legge partirà "entro marzo". Inizierà il 22 aprile e si chiuderà il 16 maggio, appena tre giorni prima dell’ultimo termine utile. Ora, il problema non sta (solo) nei tempi. Bisogna piuttosto intendersi sui termini. Il dl Poletti introduce variazioni in tema diapprendistato e contratti a termine. Ed è solo un tassello, peraltro non centrale, del Jobs Act. Niente semplificazione, niente contratti a tutele crescenti, niente riforma degli ammortizzatori sociali e addio alla cassa integrazione in deroga . Eppure Renzi aveva assicurato che il lavoro sarebbe venuto prima di tutto. Anche la non ancora ministra Marianna Madia diceva "basta con la cassa integrazione in deroga, sì al reddito di inclusione" La polpa della riforma, il vero Jobs Act, è stata rimandata a un disegno di legge delega, concepito ad aprile e poi sparito dai radar parlamentari, surclassato da legge elettorale, riforma del senato e 80 euro. Gli ultimi avvistamenti segnalano il ministro Poletti promettere il via libera entro l’anno. Si dovrà poi aspettare l’ok ai decreti delegati. Entro la metà del 2015. PENSIONI Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha aperto a un contributo di solidarietà, da richiedere agli assegni retributivi più alti. E’stato zittito dal premier. Anche il piano Cottarelli sulla spending review conteneva interventi dello stesso tipo. Per avere effetti rilevanti, ipotizzava il commissario, avrebbero dovuto riguardare almeno il 15% degli assegni. Piano bocciato. Eppure, l’8 novembre 2013, ospite di Anno Zero, Renzi si era detto favorevole a un intervento simile: “Uno che prende 7 mila euro al mese di pensione, se ne prende 6500 campa lo stesso. Chi prende 600 euro, con 200 in più vive meglio”. LEGGE ELETTORALE Il problema non sta nelle intenzioni. Ma nelle promesse. E nelle date. Sono passati appena dieci giorni dalla sua elezione a segretario del Pd. Il 18 dicembre Renzi fissa il termine: “Se arriviamo al 25 maggio senza aver fatto la legge elettorale non andiamo da nessuna parte”. Una sorta di auto-gufata. Trattativa aperta con Silvio Berlusconi, allora ancora Cavaliere, e l’Italicum sembra viaggiare spedito. A gennaio una prima bozza. Il 5 marzo, con l’esecutivo Renzi incarica da due settimane, l’approdo alla Camera. Sette giorni dopo il sì di Montecitorio. Renzi twitta la sua soddisfazione ull’onda dell’entusiasmo, si fa scappare un’altra promessa e la solita data: “Entro il 25 maggio dobbiamo riuscire a chiudere la partita". Ma la riforma, a questo punto, rallenta, diventa carsica. Scompare dall’agenda. Il 4 maggio, il ministro Boschi è convinta che l’Italicum possa essere "approvata prima dell’estate", anche se il Def fissa l’appuntamento alla fine di settembre 2014. Ultime tracce: il 7 agosto, Renzi incontra il non più Cavaliere perché non è ancora chiaro se ci saranno o no le preferenze. DEBITI PA Pronti, via: a due giorni dal suo insediamento, Renzi promette “lo sblocco totale dei debiti della Pa", pari a 68 miliardi. Prima addirittura "entro 15 giorni". Poi corregge il tiro: "Entro luglio". Il 13 marzo cambia ancora. La nuova data è “il 21 settembre", giorno di San Matteo. "Se ci riusciamo, lei va in pellegrinaggio apiedi da Firenze a Monte Senario”, dice a Bruno Vespa. Il Def indica invece "ottobre 2014". A che punto siamo? Ce lo dice il Ministero dell’Economia e delle Finanze . Secondo l’ultimo aggiornamento, datato 21 luglio, sono stati stanziati 56,8 miliardi di euro. Trenta sono a disposizione dei debitori (Stato, Regioni, Province e Comuni). Ma nelle casse dei creditori (cioè delle aziende) ne sono arrivati 26,1, meno della metà. L’Ue ha appena detto che "si va nella direzione giusta". Ma Bruno Vespa può riporre le scarpe da trekking. Il governo ha promesso fondi per 3,5 miliardi. Ma quelli stanziati nel 2014 saranno molti meno. Le scuole chiedono più autonomia e interventi strutturali. Si dovranno accontentare. Tra coop coninvolte nello scandalo Expo e bidelli trasformati in pittori EDILIZIA SCOLASTICA Renzi è convinto che si debba ripartire dall’istruzione. Lo è a tal punto che la prima visita ufficiale da premier è in una scuola di Treviso. Marzo, mese di slide.Il presidente del Consiglio annuncia un piano per la scuola da 3,5 miliardi. “Già dall’estate” del 2014 saranno aperti 7 mila cantieri, per un valore di 2,2 miliardi. Ma, come scritto dall’Espresso , la somma sarà assai più bassa. Per ora, i soldi spendibili ammontano a 550 milioni. DEFICIT/PIL Il 2 gennaio è tempo di “pugni sbattuti sul tavolo” dell’Ue: “E’ evidente che il tetto del rapporto deficit Pil al 3% si può sforare: si tratta di un vincolo anacronistico che risale a 20 anni fa”. E ancora: “Se all’Europa proponi un deciso cambio delle regole del gioco, a partire dalle riforme costituzionali, da un Jobs Act capace di creare interesse negli investitori internazionali, fai vedere che riparti da scuola, cultura e sociale, allora in Europa ti applaudono anche se sfori il 3%”. Angela Merkel si è detta “impressionata” da Renzi. Ma applausi non ne sono arrivati. Delle due l’una: o le riforme non sono arrivate o quel tetto, al momento, non è valicabile. Eccoallora che, al primo mese di governo e quattro giorni dopo aver incontrato la Cancelliera, il presidente del Consiglio vira verso più miti posizioni. Continua a definire il vincolo del 3% “anacronistico”, ma conferma che “l’Italia rispetterà gli impegni presi” e che “non chiederà di sforare i limiti di Maastricht”. A maggio Renzi si rende conto di giocare una partita più complessa del previsto. E, non riuscendo a contrastare l’avversario (a partire da Berlino), se la prende con le regole del gioco: “La discussione sul 3% – afferma in un intervento a ’La telefonata’, su Canale 5 - mi suona un po’ falsa e ipocrita" perché centrata “su numeri e parametri e non sulla realtà”. Il premier non ha perso il gusto per lo sberleffo ( "Bruxelles chi?" ), ma quel sindaco di Firenze che voleva ribaltare i tavoli europei è rientrato nei ranghi . LE PROMESSE MANTENUTE Al netto della loro efficacia, alcune misure non sono rimaste proclami. A partire dal decreto Irpef: gli 80 euroin busta paga sono arrivati nei modi e nei tempi previsti. "Le coperture ci sono", è vero. Ma solo per il 2014. Non sono ancora state individuate quelle per stabilizzare la somma nei prossimi anni. Lo sperato effetto propulsivo sui consumi, per ora, latita. Le aziende chiedono di più, ma il taglio dell’Irap del 10% è stato confermato dai fatti. Il ddl Delrio ha modificato le Province. Anche la sforbiciata sul costo dell’energia per le imprese è arrivata. L’attesa è stata lunga: il provvedimento, approvato con la valigia in mano, l’8 agosto, era stato promesso “entro il primo maggio”. Renzi ha poi vinto la battaglia estiva del Senato , portando a casa la riforma di Palazzo Madama . Addio al bicameralismo perfetto. Paolo Fiore,l’espresso
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