Con Boschi e Madia pareva quasi ovvio, con Orlando una novità nella pax renziana: ma adesso si capisce che è un pezzetto del metodo Renzi. Si chiama sfilata di ministri tra le forche caudine, e ora tocca a Stefania Giannini. La titolare dell’Istruzione, nelle cui mani dovrebbe stare naturaliter la riforma della scuola, prima ancora che con insegnanti, studenti e sindacati, dovrà vedersela con Renzi in persona. Perché la riforma vuol farla lui. Dal punto di vista mediatico, più che altro: il tema è chi mette la faccia sulla “svolta”, incassando in cambio l’eventuale merito. Già il pre-partita, in vista del consiglio dei ministri di venerdì da cui usciranno le linee guida della riforma a partire dall’annunciata stabilizzazione (per gradi) di centomila precari, è tutto un programma: la Giannini ha anticipato vagamente il contenuto al Meeting di Cl disertato dal premier. Renzi - irritato dal “protagonismo” - per tutta risposta ha convocato unvertice sulla scuola con i referenti del Pd e il sottosegretario Reggi ma senza il ministro, al grido del “mi giudicherete da ciò che faccio in questo campo”. Rivendicando cioè in sostanza, come un ex parlamentare sintetizza su twitter: “Dovevo dirlo prima io”. Con queste premesse, gli amanti del genere sono invitati a comprare i pop corn per la conferenza stampa post consiglio di venerdì: s’attendono siparietti Renzi-Giannini, punzecchiature, assenze, chissà. Si sono già visti del resto con il ministro Orlando a luglio, ai tempi della presentazione delle linee guida della riforma della giustizia: il premier che si prende la scena e lancia mortaretti sul ministro, incalza, marginalizza. Anche allora, del resto, Renzi s’era irritato per le anticipazioni filtrate da via Arenula, oltreché per ciascuno dei punti in cui la visione del Guardasigilli differiva dalla propria. Farraginosità e dissidi che sono peraltro destinati a ripetersi, sulla giustizia. Certamente nella parte penale chedeve ancora trovare un equilibrio. Per lo meno, però, la materia è assai più controversa e non è altrettanto cara al premier come la scuola. E il ministro Orlando, per quanto non sia una mozzarella, ha obiettivi diversi dalla permanenza sine die a via Arenula (per esempio, diventare governatore con la prossima tornata); per cui si trincera dietro annunci di collegialità tipo “porteremo tutte le differenze emerse in consiglio dei ministri” in attesa di vedere la luce. Giannini no. Per lei il discorso è tutto diverso. Anzitutto, perché la lingua appuntita non le manca: ebbe modo di contestare al premier pure la fretta sulla riforma del Senato. Poi, perché - docente di glottologia e a lungo rettore dell’Università per stranieri di Perugia - ha un profilo tecnico. Fondamentalmente, perché è una specie di mosca bianca nell’esecutivo renziano: la prova vivente che una volta c’è stato il montismo arrembante, l’unica sopravvissuta di quella stagione; capacissima di entrare in punta dipiedi in Scelta civica, scalarla in stile schiacciasassi, fino ad essere – mentre il partito crollava – l’unica ad entrare al governo. Dopo soli nove mesi di esperienza parlamentare. Difficile che si faccia mettere in un angolo, non potendosi peraltro permettere i lussi da “intendenza che segue” di una Boschi o di una Madia. Loro sì promosse nelle forche caudine, dopo aver lasciato al premier tutto lo spazio desiderato, fatto ben fruttare quello residuo, e alzato le spallucce di fronte alle insinuazioni d’essere carne da macello in forma di ministro. “Io usata da Renzi come specchietto per le allodole?”, sobbalzò Madia durante la festa dell’Unità di Roma facendo tanto di occhioni: “Non ho neanche il tempo di chiedermelo, se sono uno specchietto per le allodole”. Si vedrà il ministro Giannini come vuol metterla col tema delle allodole. Di certo, anche in questo passaggio il metodo di conduzione del governo da parte di Renzi si conferma tutt’altro che collegiale. Preferisce lealleanze variabili, di breve durata, da prima spremitura come l’olio extravergine, e a patto che non facciano ombra. Una solitudine in parte lamentata, ma alla fine cercata: a Firenze ha funzionato, a Roma chissà. Susanna Turco,l’espresso
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