Matteo Renzi, un serial killer politico che applica ogni volta lo stesso schema
 











Spesso si fanno paragoni impropri fra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi. C’è però (almeno) una cosa che li accomuna, ed è la tecnica del rilancio continuo. Anche il presidente del Consiglio in carica affastella proposte, annunci, conferenze stampa, slide. Per Renzi, i tweet hanno valore performativo; ciò che viene detto, inevitabilmente è già realizzato. Ma non è così e lo sa bene chi deve costruirgli la realtà intorno (vedi gli ottanta euro), a partire dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan.
Adesso il premier ha lanciato un sito Internet che sarà aggiornato con lo stato avanzamento degli impegni presi. A Firenze aveva fatto una cosa identica da sindaco, quando presentò un sito per monitorare i Cento Punti, cento cose da fare (o da avviare?) entro cento giorni. L’arte comunicativa di Renzi si espresse al meglio: non tutti i cento punti furono realizzati, ma l’importante non era completarli, quanto presentarli e iniziarli.
A febbraio, loslogan era “una riforma al mese” (“A marzo facciamo la riforma del lavoro, ad aprile della Pubblica amministrazione, a maggio del fisco…”), adesso siamo al “Passo dopo passo”, che peraltro in passato era già stato usato da Antonio Bassolino per le elezioni regionali in Campania. E anche in questo caso, pare di capire, con “una riforma al mese” si intendeva l’avvio della riforma, non il completamento.
Renzi cita continuamente se stesso, ripetendo tattiche d’attacco: identifica un nemico o un avversario, facendo pressione mediatica sull’opinione pubblica affinché sia la stessa opinione pubblica a esercitare pressione sul bersaglio. Non è un caso che Lapo Pistelli, suo attuale viceministro e potenziale prossimo ministro degli Esteri, una volta lo abbia paragonato a un “serial killer” politico, che applica ogni volta lo stesso schema. Ai tempi di Firenze, pasturava titoli di giornale, notizie, conferenze stampa, annunci, battaglie simboliche (già allora contro i corpi intermedi, comesindacati e confindustrie e sovrintendenze), oggi tutto si ripete, anche se cambiano i cognomi e le tipologie degli avversari.
Mantenere alto il livello del rilancio, però, fa consumare energia, mentre il tempo scorre inesorabile. Lo sa bene lo stesso Renzi, che al congresso 2013, da cui è uscito segretario del Pd, aveva messo una significativa frase del teologo Dietrich Bonhoeffer in esergo al documento congressuale: “Essendo il tempo il bene più prezioso che ci sia dato, perché il meno recuperabile, ogni volta che ci voltiamo indietro a guardare ci renda inquieti l’idea del tempo eventualmente perduto”. La fase degli annunci (e della “panna montata”, come l’ha definita Eugenio Scalfari nel suo ultimo fondo domenicale ) è finita. La ripresa, come questa estate che non è estate, tarda ad arrivare (e dal punto di vista climatico, quantomeno, non è arrivato nulla), i dati sulla disoccupazione sono allarmanti (persi mille occupati al giorno), l’Italia è in deflazione come nel 1959, conla differenza che siamo nel 2014 e non nel 1959, perché quelli erano gli anni del boom. Ci vuole poco, e il caso di Obama, passato da essere un leader dalle aspettative messianiche a una progressiva normalizzazione, lo dimostra, a suscitare delusione dopo aver fatto esplodere la speranza.
Le Politiche del 2013 hanno avuto il più alto tasso di volatilità elettorale della storia repubblicana, ai tempi non c’era Renzi in campo, certo, e le Europee dell’anno successivo hanno confermato la forza della sua leadership, in grado di portare un valore aggiunto al Pd. Però, la volatilità elettorale dimostra che niente è più scontato come prima, specie il consenso politico. Non soltanto nell’elettorato trasversale renziano, ma anche fra le élite politico-culturali e imprenditoriali del Paese. D’altronde, fra i primi a scaricare Enrico Letta ci fu la Confindustria di Giorgio Squinzi. Naturalmente, la fiducia nei confronti di Renzi resta enorme, il punto più importante adesso riguarda i risultatida ottenere. Sono mille giorni, di Renzi e di noi. David Allegranti,l’espresso









   
 



 
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