Tagli agli stipendi d’oro delle camere: dipendenti dall’avvocato contro la Boldrini
 











Come da copione, con l’arrivo di settembre è riesplosa la guerra tra politici e dipendenti di Palazzo sugli stipendi. L’ultima arrivata è la diffida legale a Laura Boldrini e a tutto l’ufficio di presidenza di Montecitorio, affinché non approvino senza il benestare dei sindacati del personale i tagli degli stipendi.
E così Vincenzo Ribet, avvocato in Roma, è diventato il primo legale nella storia ad aver ricevuto mandato da un sindacato dei dipendenti del Parlamento per contrastare l’accelerazione impressa sui tagli; a costo di forzare l’autodichia (cioè l’autonomia di Camera e Senato di darsi regole interne e di non poter ricorrere a giudici esterni) e portare la questione in un tribunale ordinario.
La guerra tra politici e burocrati si trascina dall’inizio della legislatura, in un crescendo bizantino di reciproche contestazioni e distinguo. Se il passo di carica della vicepresidente della Camera Marina Sereni (Pd), che ha in mano tutto ildossier tagli, è sostenuto dallo stesso premier Renzi (intervenuto a fine luglio con un tweet durissimo contro quanti contrastavano il limite dei 240 mila euro annui alle retribuzioni di Palazzo), i sindacati accusano la politica di non aver voluto seguire il metodo della contrattazione collettiva sulle modifiche ai salari, ma di inseguire un’operazione mediatica fuori da ogni binario di legalità.
Ma da cosa, esattamente, l’Ufficio di presidenza viene diffidato? L’oggetto dello scontro, stavolta, prende il nome di “tetti intermedi alle retribuzioni”. In pratica, la Camera non si vorrebbe limitare a recepire quanto stabilito dal decreto-legge 66 del 2014 (quello che istituisce il tetto a 240 mila euro per i dirigenti pubblici), ma introdurrebbe riduzioni proporzionali a tutti i livelli, dagli operai ai consiglieri. Viene, in pratica, ritenuto inconcepibile che il Segretario Generale passi dai circa 500 ai 240 mila euro annui e il commesso mantenga i suoi 110 mila.
La proposta si èconcretizzata in una ipotesi di accordo inviata pochi giorni fa dalla parte “datoriale” ai sindacati di Palazzo Madama e Montecitorio con allegate le tabelle contenenti i nuovi limiti retributivi, suddivisi per categorie.
Apriti cielo. “L’introduzione di sottotetti non previsti dall’ordinamento generale”, si legge nell’atto di diffida visionato da “l’Espresso”, “costituisce un illegittimo esercizio del potere impositivo in violazione dell’articolo 23 della Costituzione”: un modo come un altro per dire che, a voler esser più realisti del re, si finirebbe per approvare una normativa incostituzionale.
Anche perché nel corso della trattativa, prosegue il documento, “è chiaramente emerso come i sindacati della Camera dei deputati rappresentativi di un’ampia maggioranza dei dipendenti fossero disponibili all’introduzione del limite di 240.000 euro” “nei termini medesimi previsti presso l’Amministrazione della Presidenza della Repubblica”. Nulla osta al tetto, quindi, purché fatto talee quale al Quirinale.
Certo è che il garbuglio giuridico non ha la soluzione dietro l’angolo, favorendo il lievitare inevitabile di rumors e veleni. Tra i molti circolanti in Transatlantico, da più parti viene accreditata la ricostruzione per cui il “comitato affari del personale”, presieduto da Marina Sereni e la Presidenza stessa avrebbero chiesto lumi a giuristi ed esperti della materia se la strada imboccata fosse percorribile e, avendo ricevuto pareri contrari, li avrebbero chiusi in un cassetto. In attesa che il tempo passi, magari fino alla prossima legislatura.
Tale scenario accrediterebbe la scelta irrituale, la prima nella storia delle relazioni sindacali di Palazzo, di una diffida legale e di una successiva azione giudiziaria: solo in questo modo, infatti, sarebbe possibile far arrivare la palla fino alla Corte Costituzionale, l’unica in grado di dare una parola definitiva sulla legittimità dei tagli.
Nessuno, dalle parti dell’Ufficio di Presidenza, sembra per oraintenzionato a fare passi indietro e le prossime settimane saranno decisive per approvare il pacchetto di norme che, oltre ai tetti intermedi, introdurrebbe il ruolo unico del personale per Camera e Senato e un meccanismo di valutazione del merito basato essenzialmente sulle ore in più lavorate nel corso dell’anno (da 100 a 60, in base alle singole qualifiche). Anche perché, stando alle bozze di modifica circolanti, i tempi sono stretti: le nuove regole dovrebbero essere efficaci a partire dal prossimo 1 gennaio.   Lia Quilici,l’espresso

 









   
 



 
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