Le accise sugli alcolici si bevono 6700 posti Addio alle entrate fiscali per scuola e cultura
 











Un settore con l’amaro in bocca. Il comparto degli spiriti (gli alcolici che non comprendono vino e birra) ha subito quattro ritocchi delle accise in 16 mesi. Obiettivo: ottenere risorse da prodotti etichettabili come “brutti e cattivi” per finanziare scuola e cultura. Risultato: vendite in picchiata e 6700 posti di lavoro a rischio. Senza centrare il bersaglio: nonostante il salasso anche le entrate fiscali saranno in calo.
Sono i numeri emersi da uno studio Trade Lab che l’Espresso ha visionato in anteprima. Le accise sugli alcolici (imposte di consumo prelevate al produttore) sono presenti in tutta Europa. Sta a governi e parlamenti fissare l’asticella. Quella italiana si è alzata parecchio.
Se nel 2012 il peso delle imposte sul prezzo di una bottiglia di grappa era meno della metà, a gennaio 2015 toccherà il 54,69%. Perché, dopo i tre rincari attuati da ottobre 2013, ce ne sarà un altro con l’arrivo del nuovo anno. Lo scorso giugno, ilviceministro allo Sviluppo Economico, Carlo Calenda, definì la politica italiana sulle accise “poco intelligente”. Sono passati tre mesi e nulla è cambiato.
I quattro ritocchi delle imposte sono il frutto di due decreti. Rivisti dal Parlamento, sono diventati legge il 7 ottobre e l’8 novembre 2013. Secondo Trade Lab, l’aumento delle accise è del 30%: più di un euro al litro. Il governo Letta, i senatori e i deputati hanno scelto di attingere dagli alcolici per finanziare il “Decreto Cultura” e il “Decreto Scuola”. Il primo si propone la “valorizzazione di Pompei, della Reggia di Caserta, del Polo Museale di Napoli”. E ancora la “digitalizzazione del patrimonio culturale italiano”, la “promozione della recitazione e della lettura” e il “rilancio del cinema”.
Il secondo riguarda “misure urgenti in materia di università e ricerca”. Insomma: precari, istruzione e musei saranno rilanciato con i soldi di limoncello e marsala. L’idea ha goduto di buona pubblicità: l’alcol fa male e lacultura fa bene. Come se il nocino fosse in contrapposizione con la Divina Commedia. “A risentire degli aumenti è soprattuto il consumatore moderato, quello che nel fare la scelta di acquisto sacrifica certi consumi a vantaggio delle spese obbligate”, sottolinea Sandro Boscaini, presidente di Federvini. “Chi fa abuso di alcol non si ferma davanti all’aumento del prezzo. Al più diminuisce la qualità”. Boscaini, si dirà, è di parte. Ma anche a volergli dare torto, istruzione e musei dovranno cercare altrove le risorse per ripartire.
E’ vero: con i nuovi rincari, l’incasso da accise aumenterà. Ma è un gioco a somma zero. Anzi, peggio: si tratta di un’opzione “lose-lose”, nella quale tutti perdono e nessuno guadagna. Le imposte sui produttori garantiranno al Fisco 568 milioni, 86 in più rispetto al 2012. Ma l’aumento dei prezzi porterà a una contrazione dei consumi. Risultato: lo Stato dirà addio a 19 milioni di Iva. A rimetterci il posto potrebbero essere 6700 lavoratori (su 102 mila).Una pessima notizia per le loro famiglie. E una brutta notizia anche per le casse pubbliche. Perché le aziende che chiudono e i disoccupati non possono pagare le tasse su imprese e lavoro. Addio ad altri 70 milioni.
A conti fatti, stima Trade Lab, lo Stato non avrà alcun beneficio: perderà 2,8 milioni, fermandosi poco al di sotto dei 2,6 miliardi incassati dal settore spiriti nel 2012, quando le accise erano più basse di un terzo. E i fondi per scuola e cultura? Dovranno essere trovati altrove. Paolo Fiore,l’espresso

 









   
 



 
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