Apprendistato, ogni Regione fa di testa sua Così fallisce la semplificazione del lavoro
 











Meglio dire apprendistati. Al plurale. Perché questo rapporto di lavoro sembra essere come gli accenti e la cucina tipica: in Italia cambia da Regione a Regione. Lo scorso 20 febbraio, nell’interregno tra l’esecutivo Letta e quello Renzi, governo e governatori si sono accordati sulle “Linee guida per l’apprendistato professionalizzante o di mestiere”. Niente lacci, commi e sottigliezze burocratiche ma semplici direttive, con l’obiettivo di “adottare una disciplina uniforme su tutto il territorio nazionale” entro sei mesi. Cioè entro il 20 agosto. Di mesi ne sono passati otto e solo quattro Regioni (e mezzo) hanno adottato quelle linee guida. È il risultato di uno studio firmato da Adapt, l’associazione che studia il mondo del lavoro fondata da Marco Biagi. Le virtuose sono Lombardia, Piemonte, Marche e Umbria. Con il Friuli Venezia Giulia che si prepara a entrare nel club anche se, per ora, manca la documentazione ufficiale.
Il processo disemplificazione “ha fallito”, scrive il direttore scientifico di Adapt, Michele Tiraboschi. Per fare un esempio, basta guardare uno dei pochi paletti fissati dalla Linee guida. Gli apprendisti che hanno licenza elementare o media dovrebbero avere 120 ore di formazione pubblica obbligatoria. Per i diplomati il monte ore dovrebbe scendere a 80 e per i laureati a 40. Semplice. E invece no. Ci sono Regioni allineate a questi parametri. Altre, come Calabria e Molise, che indicano solo 120 ore in tre anni e possibili variazioni per età e titolo di studio. La Puglia scandisce il passo: 60 ore il primo anno, 40 il secondo e 20 il terzo. La Sicilia è secca: 120 euro in tre anni, per tutti. La Provincia autonoma di Trento si ferma a 100 ore.
nsomma: ogni Regione fa un po’ come gli pare. Cioè esattamente il contrario di quello che raccomanda l’Europa: rilanciare l’apprendistato attraverso la stabilità normativa. In Italia, invece, l’apprendistato ha subito dieci interventi negli ultimi quattroanni. Il governo Renzi non ha fatto eccezione. In attesa del Jobs Act, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha firmato un decreto (già diventato legge) che introduce (ancora una volta) modifiche. Un intervento, arrivato a meno di un mese dal varo delle linee guida che – in un quadro di regole quantomeno fluido – non ha certo incentivato le Regioni a muoversi. Ma c’è un altro timore. Lo scrive Tiraboschi: l’apprendistato è una Babele “prima ancora delle novita? del decreto Poletti, che complicano ulteriormente la materia”.
Come a dire: potrebbe andare peggio. I governi hanno avuto l’abitudine di concentrarsi sui dettagli e apportare continui ritocchi anziché optare per una riforma organica. La legge Poletti, quindi, “rischia di essere inutile”. Nonostante l’Ue abbia già indicato la strada, con i numeri prima ancora che con le linee guida: secondo un calcolo della Commissione Europea un incremento di un punto percentuale dell’apprendistato porta a un aumento dello 0,95% del tassodi occupazione giovanile. Paolo Fiore,l’espresso

 


 









   
 



 
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