DOSSIER
SANITA’: DALLA SPESA ALLA NON AUTOSUFFICIENZA
 











La storia dei primi quattro Patti per la Salute. Attendendo il quinto. Da Amato a Renzi, passando per Berlusconi e Prodi
Quello che si dovrebbe siglare a giorni, sarà il quinto Patto per la Salute tra Stato e Regioni. Una storia che inizia di fatto il 3 agosto del 2000, quando, presidente del Consiglio Giuliano Amato e ministro della Salute Umberto Veronesi, il Governo firma una prima storica intesa con le Regioni, allora guidate dal presidente del Piemonte Enzo Ghigo, per inaugurare in sanità la stagione dei Patti.
Anche se quell’accordo non prenderà subito il nome di Patto per la Salute, in esso troviamo i capisaldi della filosofia pattizia tra i due livelli di Governo del settore (ulteriormente definiti con la riforma costituzionale del 2001): da un lato lo Stato che si impegna a garantire risorse idonee ai Lea e dall’altro le Regioni che si impegnano a non sfondare i propri bilanci, assumendosi gli oneri di eventuali disavanzi.
E’ la finedei ripiani a piè di lista e l’avvio di una politica che troverà piena attuazione qualche anno dopo nella logica deiPiani di rientro che conosciamo ormai molto bene, nelle loro luci e nelle loro (molte) ombre.
Ma andiamo con ordine. Per trovare una definizione ufficiale del Patto per la Salute abbiamo attinto al sito del Ministero della Salute che lo definisce come “un accordo finanziario e programmatico tra il Governo e le Regioni, di valenza triennale, in merito alla spesa e alla programmazione del Servizio Sanitario Nazionale, finalizzato a migliorare la qualità dei servizi, a promuovere l’appropriatezza delle prestazioni e a garantire l’unitarietà del sistema”.
In sostanza un vero e proprio "contratto" programmatico bilaterale che deve fissare indirizzi, strategie, programmi ma anche individuare risorse e norme per garantire che il sistema funzioni e si adegui ai cambiamenti dei bisogni e della domanda di salute.
Ma è andata veramente così? Un giudizio netto è arduo. Lematerie toccate nei primi quattro accordi e nei successivi o paralleli provvedimentilegislativi che ad essi hanno fatto riferimento sono talmente tante che è impossibile dire se il modello pattizzio abbia funzionato o meno.
 Certamente ha cambiato il modo di fare politica sanitaria, esautorando molto spesso il Parlamento di molti temi e ambiti di intervento con il rischio, che molti osservatori negli anni hanno sollevato, di fare della gestione della sanità un fatto chiuso e limitato a due soggetti esecutivi e non legislativi come il Governo e le Giunte regionali.
 D’altra parte è grazie ai Patti per la Salute che in qualche modo si è comunque riusciti a mantenere una direzione univoca sulle grandi opzioni sanitarie e su quelle tendenze riorganizzative sulle quali non si può escludere che, senza Patto, le Regioni avrebbero potuto andare, ancor più di come hanno fatto, “ognuna per la propria strada”.
L’altra faccia della medaglia è che, nel tempo, i Patti sonodiventati sempre più una scatola chiusa da “prendere o lasciare” sulla quale, non solo ilParlamento, ma anche tutti gli altri soggetti coinvolti nel pianeta sanità (professionisti, imprese, strutture sanitarie) non possono dire o fare nulla, se no sperare che Governo e Regioni facciano al meglio.
E indubbiamente le intenzioni che si leggono tra le centinaia di parole di questi documenti appaiono sostanzialmente buone per chi crede nella sanità pubblica e nei suoi principi. Salvo poi essere spesso costrette nei margini stretti di manovre economiche che, soprattutto negli ultimi anni, hanno eroso la disponibilità di risorse su cui contare.
E si sa, con poche risorse, i Patti non vengono molto bene. Tant’è che è stata proprio la questione risorse e la sua ristrettezza a congelare il nuovo Patto atteso ormai dal 2012.
Ma, a leggere le ultime dichiarazioni di Regioni e Governo, sembra che ormai la meta sia vicina e che quindi presto avremo un nuovo accordo per il prossimo triennioi cui punti di forza dovrebbero essere una sostanziale tenuta del finanziamento,interrompendo la china discendente delle ultime manovre e poi la messa in pista di alcune grandi riforme attese da anni, prima tra tutte quella delle cure primarie che dovrebbe finalmente trovare l’abbrivio definitivo per essere portata a termine.
Il primo accordo del 2000: lo Stato finanzia ma la Regione è responsabile di quanto e come spende
Come dicevamo, anche se non si chiamava Patto per la Salute, la logica del negoziato programmatico tra Stato e Regioni per la gestione della sanità può essere fatta risalire all’accordo del 3 agosto del 2000.
In questo accordo il Governo si impegnava innanzitutto a far salire il finanziamento del Servizio sanitario nazionale fino a quota 124.000 milardi (di lire!), impegnandosi a far salire tale somma nel 2001 fino a quota 129.000 mld (sempre di lire, bene inteso). In caso di disavanzi regionali, le Regioni stesse erano chiamate a risponderne con risorseproprie o aumentando le imposte. In alcuni "casi singoli", si stabilisce lapossibilità di stipulare accordi tra Governo e Regioni per rimuovere le cause strutturali di questi disavanzi.
Il Governo si impegnava, inoltre, a presentare entro il 31 dicembre del 2000, una proposta sui Livelli essenziali di assistenza (Lea). Veniva assegnato a Governo e Regioni il compito di monitoraggio e verifica dei livelli di assistenza assegnati, nonché degli andamenti della spesa sanitaria.  Riguardo poi il riordino del sistema di pagamenti, veniva sancito l’impegno da parte di Governo e Regioni, a partire dal 1 marzo 2001, di modificare le modalità di erogazione delle risorse finanziarie alle Regioni, oltre al sistema di pagamenti delle Asl che diventavano di pertinenza diretta delle Regioni.
Infine, sempre le Regioni si impegnavano a ridefinire un sistema di rendicontazione e monitoraggio sull’andamento della spesa e delle prestazioni sanitarie ispirato a "criteri di uniformità nelleinformazioni trasmesse, di tempestività nei tempi di trasmissione e di pienautilizzabilità per il sistema dei conti pubblici".
Già in questo primo atto possiamo leggere un principio rimasto sulla carta e anche oggi richiamato a più riprese anche dallo stesso ministro della Salute, Beatrice Lorenzin: all’attenta attività di controllo e monitoraggio dei conti delle Regioni in disavanzo effettuata dal Governo tramite lo strumento dei Piani di rientro, non è corrisposto un altrettanto attento controllo relativo all’effettiva erogazione dei Lea, garantiti per legge, su tutto il territorio nazionale.
Gli accordi integrativi del 2001
Si passa poi al 22 marzo 2001 con l’accordo tra Governo e Regioni (sempre con Amato, Veronesi e Ghigo) che integra quello sancito nell’agosto dell’anno precedente. Viene qui attivato il tavolo di monitoraggio della spesa sanitaria tra i Ministri del Tesoro, Bilancio e Programmazione economica, della Sanità e le Regioni, con il supporto dell’Agenzia per iservizi sanitari regionali.
Viene contestualmente costituito presso lasegreteria della Conferenza Stato-Regioni un tavolo che associ a diversi livelli di assistenza e di prestazioni sanitarie i relativi costi
L’8 agosto del 2001 un nuovo accordo va a integrare e modificare gli accordi sanciti nell’agosto del 2000 prima, e a marzo 2001 poi, con l’intento definire regole compatibili con gli obiettivi di finanza pubblica e con il Patto di stabilità e crescita sottoscritto in sede europea per la determinazione senza sottostime del livello della spesa sanitaria a cui concorre lo Stato. Primo ministro è ora Silvio Berlusconi, mentre al ministero della Salute siede Girolamo Sirchia.
L’accordo ha anche l’obiettivo di dirimere definitivamente qualsiasi controversia relativa all’accordo del 3 agosto 2000 per le responsabilità del Governo e delle regioni circa la congruità delle risorse finanziarie statali relative all’anno 2001, convenendo che eventuali ulteriori eccedenze di spesaresteranno a carico dei bilanci regionali; allo stesso tempo vieneincrementata la quantificazione delle risorse previste per l’anno 2001 - che raggiungerà quota 138 mld (sempre di lire stiamo parlando) - a chiusura definitiva tra Governo e Regioni della partita finanziaria e sulla base del principio della corrispondenza delle risorse alle responsabilità.
Viene inoltre richiamata, tramite un successivo accordo, la definizione dei Livelli essenziali di assistenza, prima che gli stessi vengano adottati dal Governo con un provvedimento formale entro il 30 novembre 2001.
Il secondo Patto del 2005: arriva la contabilità analitica per centri di costo e si razionalizza la rete ospedaliera
Arriviamo così al 23 marzo 2005, con l’intesa tra Governo (presidente sempre Berlusconi e ministro per la Salute sempre Sirchia)  e Regioni (presidente della Conferenza è sempre Ghigo) valevole per il triennio 2005-2007. Entra in scena il nuovo sistema informativo sanitario (Nsis), istituitopresso il Ministero della Salute, per misurare i livelli di qualità,efficienza e appropriatezza del Ssn. Le Regioni qui si impegnano ad adottare una contabilità analitica per centri di costo e responsabilità, che consenta analisi comparative dei costi, dei rendimenti e dei risultati in ciascuna Asl. Un adempimento obbligatorio per l’accesso ad un maggior finanziamento da parte delle Regioni.
A tale scopo, entro il 30 ottobre 2005, le stesse Regioni avrebbero dovuto adottare misure dirette a prevedere che, ai fini della confermabilità dell’incarico del direttore generale delle Asl, Ao, Aou e Irccs, il mancato rispetto dei contenuti e delle tempistiche dei flussi informativi ricompresi nel Nsis costituisca una grave inadempienza.
Si passa poi alla razionalizzazione della rete ospedaliera,prevedendo provvedimenti, da adottare entro il 30 settembre 2005, che prevedano uno standard di posti letto ospedalieri accreditati effettivamente a carico del Ssr, non superiore a 4,5 posti lettoper mille abitanti.
Altro tema ancora di grande attualità restatopressoché sulla carta in buona parte delle Regioni è quello richiamato nell’articolo 4 lettera c) dove si stabilisce di "assicurare adeguati programmi di assistenza domiciliare integrata, di assistenza residenziale e semiresidenziale ospedaliera".
In particolare l’Adi è in buona parte del territorio ancora oggi molto indietro rispetto all’effettivo fabbisogno dei cittadini delle diverse regioni.
All’articolo 6 viene definito l’obbligo, da parte delle Regioni, di garantire l’equilibrio economico finanziario del Ssr. Vengono poi definiti meccanismi di raccordo tra Aziende sanitarie, medici di medicina generale e pediatri di libera scelta: si prevede il coinvolgimento di questi professionisti per una reale integrazione tra cure primarie e cure ospedaliere, anche attraverso percorsi diagnostici, terapeutici e riabilitativi oltre alla condivisione di percorsi di prevenzione. Un primo abbozzo di quelle cure primarie sucui è intervenuto in tempi ben più recenti l’ex ministro dellaSalute, Renato Balduzzi.
Viene poi istituito presso il ministero della Salute il Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei Lea. Infine, entra qui in scena per la prima volta il Tavolo di verifica degli adempimenti.
E’ il 2006. Al Governo arriva Livia Turco e alle Regioni Vasco Errani che siglano subito un nuovo Patto. Si sottoscrivono i primi Piani di rientro Con un ulteriore salto in avanti arriviamo al Patto per la Salute siglato il 5 ottobre 2006, valevole per il triennio 2007-2009. Romano Prodi vince le elezioni e al ministero della Salute arriva Livia Turco. Anche le Regioni cambiano “guida” con la scelta di Vasco Errani, presidente dell’Emilia Romagna a capo della Conferenza dei presidenti delle Regioni e PA.
Il nuovo Governo e le Regioni convergono nel voler ricondurre sotto controllo la spesa sanitaria, ma dando certezza di risorse al Ssn su un arco pluriennale, sollecitando azioni necessarie aelevare qualità e appropriatezza delle prestazioni e aequilibrare la capacità di fornire servizi di qualità su tutto il territorio nazionale.
Il Governo, si legge infatti nel Patto, si impegna a “stabilire il finanziamento cui concorre ordinariamente lo Stato per il triennio 2007-2009 (omissis)
in modo da consentire alle regioni l’ottimizzazione, efficienza e massimizzazione nell’uso delle risorse e rendere loro possibile una programmazione di medio periodo delle azioni necessarie a correggere le inappropriatezze e a riassorbire le inefficienze che minano il controllo della spesa e l’efficacia dei servizi per i cittadini”.
Anche in questo caso viene ulteriormente richiamato un rafforzamento del sistema di monitoraggio circa l’effettiva erogazione dei Lea, spiegando che il livello centrale svolgerà "non solo una funzione di verifica, ma, quando necessario, anche di supporto, servizio ed affiancamento per le Regioni". Si torna a parlare anche di ticket. Più in particolare,riguardo i Lea, si parla di una loro revisionestraordinaria a partire dal 1 gennaio 2007. Per le Regioni in disavanzo viene istituito un Fondo transitorio il cui accesso è vincolato alla sottoscrizione di un Piano di rientro che dovrebbe contenere non solo indicazioni di carattere economico finanziario, ma anche relative all’erogazione dei Lea.
Sul territorio, per favorire la continuità delle cure, si promuove l’integrazione dei medici di famiglia tra loro e con la realtà distrettuale, con i medici della continuità assistenziale e con quelli del 118, anche allo scopo di migliorare le varie forme di assistenza domiciliare. Sempre riguardo i medici di medicina generale, si conviene di intensificare le iniziative volte ad una loro responsabilizzazione sul versante dell’appropriatezza prescrittiva.
L’ultimo Patto. Dicembre 2009: crescono ancora le risorse per il Ssn
Infine, arriviamo all’ultimo Patto per la Salute, quello sancito il 3 dicembre 2009 e valido per il triennio2010-2012. Presidente del Consiglio è ancora unavolta Silvio Berlusconi, giunto al suo IV governo, mentre al ministero della Salute troviamo Ferruccio Fazio.
Il livello del finanziamento al Ssn è di oltre 104 mld di euro per il 2010 e 106 per il 2011. Per il 2012, invece, lo Stato si impegnava a incrementare del 2,8% il finanziamento rispetto al 2010.
Si sancisce l’avvio di un sistema di monitoraggio dei fattori di spesa e sullo stato dei servizi sanitari regionali, e quanto ai Piani di rientro regionali, si parla di una "rivisitazione, potenziamento e semplificazione" del meccanismo del commissariamento. All’esito della verifica, in caso di disavanzo non coperto, si stabilisce che andranno confermati non solo l’innalzamento delle aliquote Irpef e Irap, ma andrà potenziato il blocco del turnover e il divieto di effettuazione di spese non obbligatorie.
Si passa infine alla razionalizzazione della rete ospedaliera: le Regioni - si scrive - si impegnano ad adottare provvedimentodi riduzione dello standard di posti lettoospedalieri accreditati non superiore a 4 posti letto per mille abitanti, comprensivi di 0,7 posti letto per mille abitanti per la riabilitazione e la lungodegenza post-acuzie.(...)
SANITA’ al grido di “rigore e sobrietà”...
La premiata macelleria Mario Monti continua a tagliare pezzi di stato e servizi. Al grido di “rigore e sobrietà”, impugnando il coltello forgiato nelle segrete stanze della BCE, i macellai accademici, dopo la scuola e gli enti, stanno sfasciando anche la già malandata sanità di casa nostra.
Poco importa che l’Italia sia uno dei Paesi con la spesa sanitaria complessiva e procapite sotto la media europea e ben al di sotto di quella di Gran Bretagna, Francia e Germania: l’importante è affondare il coltello. Dal 2000 ad oggi sono già stati tagliati 45mila posti letto? E’ tutta salute, bisogna procedere, hanno pensato i professori. E per non essere da meno, entro il 2013, ne taglieranno altri 20mila.Lettini e barelle nei corridoi degli ospedali brulicheranno di persone in attesa di cura e si moltiplicheranno le carovane della speranza in quelle aree che perderanno importanti presidi, soprattutto al sud. Pronto Soccorso affollati e liste d’attesainterminabili per una semplice visita ambulatoriale, sono ormai la regola in un paese in cui il diritto alla salute sta diventando sempre più un privilegio per pochi.
Le risorse per il settore diminuiranno di 7,9 miliardi di euro in tre anni, perché si sommeranno gli effetti della spending review a quelli della manovra estiva 2011. Nello specifico, come ha ammesso lo stesso ministro della Salute, Renato Balduzzi, nel 2013 ci saranno 4,3 miliardi in meno, nel 2014 2,7 in meno e 900 milioni quest’anno.
Una realtà disastrosa che si cerca di occultare con ipocrite e stucchevoli formule lessicali quali “razionalizzazione ospedaliera”, “ottimizzazione delle risorse” e “patto per la salute”.
Mai una sola volta però, fa notare l’UnioneSindacale di Base, “sono stati colpiti gli sprechi che si annidano nel sistema degli appalti, delle esternalizzazioni ai privati, delle consulenze, e degli stipendi d’oro dei dirigenti”.
La salute viene trattata come una merce qualsiasi e, attraversola sanità, che vale l’80% dei bilanci regionali, la politica continua a garantirsi le “clientele”: ormai si conta un dirigente ogni quattro dipendenti. Uno sproposito costosissimo, ma anche un alibi per i tagliuzzatori folli. Con la spending review, avvertono i sindacalisti di base, la musica non cambia, perché la revisione degli appalti serve a spazzare via le piccole imprese fornitrici dalla competizione e concentrare così i profitti nelle mani di poche multinazionali, mentre sui fantomatici costi standard, pesa l’altissimo costo della corruzione che in Italia ammonta a circa 60 miliardi di euro, ai quali la sanità contribuisce da sempre con un prezzo altissimo. A pagare l’ennesimo, salatissimo conto, saranno tutti quei cittadini chenon potendosi permettere le cure si aggiungeranno a quei 9 milioni di italiani che vi hanno già dovuto rinunciare dall’inizio della crisi. I lavoratori della sanità, invece, andranno ad “arricchire” la lista degli “esuberi da licenziare”.
Via, dunque,precari ed esternalizzati che si nascondono sotto la voce di “beni e servizi”, cresciuti a dismisura grazie alle politiche di blocco delle assunzioni pubbliche, fino ai cosiddetti lavoratori a tempo indeterminato. La tanto decantata spending review, oltre a non razionalizzare un bel niente, polverizzerà quel che resta del servizio pubblico, a tutto vantaggio di quello privato, e produrrà più disoccupati e meno infermieri, medici e operatori sanitari.(...)
Spending review Ssn, Le opzioni in campo analizzate dai media italiani
Era stato indicato da molti tra analisti, economisti e politici come l’anno della crescita in grado di rimettere in moto l’economia italiana. Per ora, invece, il 2014 ha rappresentato unserbatoio di delusioni e di occasioni mancate. L’Italia, uscita dalla recessione a fine 2013, sembra esserci nuovamente precipitata.
In base alle stima dell’Istat diffuse nelle scorse settimane, il Pil italiano è diminuito dello 0,2% rispetto al trimestre precedente. Nel primo trimestre dell’anno il Pil era calato su base congiunturale dello 0,1% mentre nel quarto trimestre 2013 si era registrato un aumento dello 0,1%. Due trimestri consecutivi di crescita negativa costituiscono una “recessione tecnica”.  Altra doccia gelata è poi arrivata da Moody’s. L’agenzia americana di rating ha infatti segnalato che l’Italia chiuderà il 2014 con un Pil in contrazione dello 0,1% contro il +0,5% stimato in precedenza, e mancherà entrambi gli obiettivi governativi dideficit/Pil collocandosi al 2,7% quest’anno e il prossimo.
Una serie di allarmi che ha innescato il dibattito sulla necessità o meno di operare nuovi tagli e, soprattutto, su dove effettuare le eventuali sforbiciate. Pensionie Pubblica amministrazione hanno quindi calamitato l’attenzione della stampa nazionale, che ha ospitato diverse proposte e tracciato scenari di ogni genere. Un confronto che, dati gli argomenti in ballo, ha chiamato direttamente in causa anche il mondo della sanità.
Il 19 agosto, sul Messaggero, Michele Di Branco ricorda che c’è una manovra da presentare entro la metà di ottobre. “E non potrà più essere contenuta entro il perimetro dei 20 miliardi che il governo aveva messo in conto qualche settimana fa prima che l’Istat scodellasse numeri da brivido sulla crescita che non c’è. Ce ne vorranno almeno 23 di miliardi sussurrano fonti tecnico-politiche e non si tratta di un impegno da poco soprattutto perché Palazzo Chigi intende costruire una manovra basataquasi esclusivamente sui tagli di spesa. E cioè sui frutti della spending”.
Secondo Di Branco, 7,2 miliardi di risparmi deriveranno dalla razionalizzazione di beni e servizi da parte dello Stato e altri 5-600 milioni dovrebberoarrivare dalla sanità attraverso una serie di riforme già messe a punto. Come, ad esempio, l’informatizzazione del Ssn. Lo steggio giorno, su Il Giornale, Antonio Signorini ricorda che “il ministero dell’Economia è intenzionato a confermare le coperture, 13 miliardi dalla spending review, anche se i risultati si vedranno solo a fine anno. Il rischio che i conti non tornino è concreto. E’ per questo che si inizia a fare i conti con la clausola di salvaguardia che garantisce le entrate del piano di Cottarelli, cioè il taglio delle detrazioni fiscali per il quale c’è già un programma: 3 miliardi nel 2015, 7 nel 2016 e 10 nel 2017”.
Il giorno precedente (18 agosto), sul Corriere della Sera, Sergio Rizzo aveva sollevato una questione che pesa come un macigno sututta la Pa: i premi in busta paga ai dirigenti pubblici e il discutibile metodo di valutazione. “Il commissario della spending review, Sergio Cottarelli, si deve una spiegazione. Se come ci ha detto i dirigenti pubblici italianihanno uno stipendio pari a 10,17 volte il reddito medio di un comune mortale, che significa il doppio rispetto alla Francia e alla Gran Bretagna, e due volte e mezzo in confronto alla Germania, c’è un motivo: sono bravissimi”.
E’ la dinamica alla base del meccanismo a preoccupare e a imporre un intervento da parte del governo. La posta economica in gioco non è infatti di poco conto. “Normalmente il compenso dei manager di Stato e o delle imprese controllate da Regioni ed enti pubblici è suddiviso in due parti: quella fissa e quella variabile. E basta dare un’occhiata alle relazioni della Corte dei Conti per verificare che tutti, almeno negli anni più recenti, hanno incassato il massimo di quella fetta dello stipendio che dovrebbe essere vincolata airisultati”.
Il 17 agosto, ancora sul Corriere della Sera, Alberto Alesina e Francesco Giavazzi hanno proposto la loro “terapia coraggiosa” per risollevare l’Italia. Il primo pilastro della formula consiste nel “tagliare subito, e inmodo permanente, le tasse sul lavoro di almeno due punti del Pil, cioè circa 33 miliardi, l’ipotesi in questo momento più ragionevole, anche se si potrebbe prendere di più”. Al tempo stesso bisognerebbe anche “approvare tagli di spesa della medesima entità. Questo dovrebbe essere accompagnato da una liberalizzazione del mercato del lavoro (attuando il progetto del senatore Pietro Ichino) affinché la maggiore domanda che si creerebbe possa produrre posti di lavoro veri e non solo precari perché l’articolo 18 spaventa gli imprenditori”.
Strategia alternativa sarebbe invece quella “di cercare di rimanere all’interno del 3% nel rapporto deficit-Pil, con tagli marginali e qualche aumento nascosto della pressione fiscale, ad esempio facendo crescere leaccise, e sperare che l’economia si riprenda da sola”. Per Giavazzi e Alesina “la situazione è ormai così seria che i rischi della seconda strategia, cioè non contrastare con efficacia la recessione, siano maggiori dellaprima”.
Particolare attenzione a tutte le implicazioni che coinvolgeranno la sanità l’ha dedicata Michele Di Branco. Il 17 agosto, sul Messaggero, calcolava che nel 2017 si dovrà tagliare “la spesa sanitaria di 7 miliardi l’anno”. Ma il peggioramento del quadro macroeconomico richiede sforzi immediati e “così da Palazzo Chigi è partito l’ordine di accelerare, arrivando almeno a quota 600 milioni, anticipando in parte i risparmi (1,1 miliardi) cifrati dalla commissione guidata da Cottarelli per il 2015”. Ma Di Branco ricorda che dal ministero della Sanità “filtra malumore per un settore già messo a dura prova negli ultimi anni e che nei prossimi 5 anni sarà chiamato a dare un contributo di 10-12 miliardi al contenimento della spesa”. In sostanze dal ministero arrivaferma opposizione “a interventi con l’accetta sulla carne viva della sanità italiana (degenza, ticket, ricoveri e tutto ciò che ha un impatto diretto sulla popolazione) e via libera a razionalizzazioni”.
Di Brancoosserva che per snellire i costi si punta molto sulla h-Health, grazie a cui “la Ragioneria dello Stato ha stimato risparmi strutturali da 1 miliardo di euro. Ma si tratta di una rivoluzione che, nonostante tanti annunci, stenta a decollare. A cominciare dal Fascicolo sanitario elettronico. Le Regioni infatti avrebbero dovuto predisporre entro il 30 giugno i loro piani per realizzare, attraverso un sito internet, l’archiviazione e la gestione informatica dei documenti sanitari di 60 milioni di cittadini. Ma soltanto Emilia Romagna, Lombardia, Trentino, Veneto, Toscana e Sardegna hanno rispettato i tempi”.
E’ lo stesso giornalista del Messaggero che il 15 agosto descriveva le possibili fonti di risparmio in sanità. “Sono previsti nuovi tagli ai ricoveri inappropriati,riducendo così le degenze inutili, e una ulteriore stretta sull’acquisto di beni e servizi attraverso la riduzione delle centrali d’acquisto. Nel menu anche la rinegoziazione di molti contratti con i fornitori con unrisparmio valutabile tra il 12 e il 15 per cento”. Ancora Di Branco, il 20 agosto, spiega che “una delle ipotesi sulla quale, con molta prudenza, si sta lavorando e che già sta suscitando diffuso malumore nel Pd, è quella di prorogare per altri due anni il blocco delle retribuzioni del pubblico impiego. Dal 2010, ormai, 3,3 miliardi di lavoratori dello Stato si vedono negare da governi di vario colore il rinnovo contrattuale: una misura che è stata confermata dall’ultima legge di Stabilità fino alla fine del 2014”. Si calacola, infatti, che per via di queste scelte “i docenti universitari hanno perso tra i 4.500 e i 9.500 euro, mentre i medici del servizio sanitario hanno visto andare in fumo 7.550 euro”.
Ma il dibattito di queste settimane si è spesso focalizzato sullepensioni, giudicato da molti un bacino in grado di garantire risparmi notevoli. Sul Corriere della Sera del 20 agosto, il professor Alberto Brambilla scrive che “la soluzione più equa sarebbe l’applicazione di uncontributo di solidarietà su tutte le pensioni retributive che cresce in modo proporzionale all’entità della prestazione; esempio fino a 700 euro al mese lordi 0,5% cioè 3,5 euro al mese e poi in progressione fino a un 8%; per poi accelerare sulle pensioni tipo Banca d’Italia, fondi speciali e vitalizi di consiglieri regionali e parlamentari ancora più generosi del metodo contributivo”.
Sempre per quanto riguarda le pensioni, altra ipotesi in campo è quella relativa al cosiddetto contributo di equità. E’ Valentina Conte, su Repubblica del 20 agosto, a spiegarne il funzionamento. “Interverrebbe su coloro che hanno maturato la pensione con il sistema retributivo o misto (in parte retributivo, in parte contributivo). E che dunque beneficiano, nella maggior parte dei casi, diun assegno più generoso di quello che avrebbero incassato se, come capita ora alle nuove generazioni, fosse calcolato solo in base ai contributi effettivamente accumulati”. Se l’operazione dovesse andare in porto “eincludesse gli assegni da 2mila euro lordi in su, dunque quelli incassati da 1 milione e 700 mila pensionati (dati 2013), il governo ricaverebbe un gettito da 4,2 miliardi annui”.Gennaro Barbieri,q.s.(...)
Corte dei Conti: “La sanità è malata”.
Corte dei Conti non risparmia le critiche al sistema sanitario nazionale. E lo fa il giorno del suo giudizio sul Rendiconto generale dello Stato in una delle tante relazioni presentate ed in particolare nella memoria del Procuratore generale Salvatore Nottola, nell’ambito della quale c’è un corposo capitolo dedicato alla sanità curato dal vice procuratore generale Roberto Benedetti.
“Una delle voci più rilevanti della spesa pubblica è quella relativa alla sanità. In proposito – osserva Nottola nelle sue considerazioni iniziali - l’andamento della gestione finanziaria del comparto sanitario ha presentato anche lo scorso anno alcuni aspetti positivi e di miglioramento rispetto agli esercizi precedenti, frutto delle variemanovre di contenimento della spesa pubblica, che hanno consentito di attestare i risultati finali di spesa a livelli più contenuti di quelli inizialmente previsti. Fra l’altro, pur considerata la particolare congiunturaeconomica, la sua incidenza sul prodotto interno lordo è tornata a diminuire, in misura tuttavia contenuta, attestandosi al 7,2% (nel 2012: 7,3%)”.
“Per quanto riguarda il finanziamento del S.S.N. – prosegue Nottola -  il complesso delle risorse acquisite a tale titolo nello scorso anno è ammontato a € 113,039 miliardi, in diminuzione rispetto al 2012, e conferma il trend positivo degli scorsi anni, con un avanzo pari a 0,381 miliardi”.
“Conclusivamente – sottolinea il Procuratore generale -  si può osservare che se da un lato la gestione complessiva sembra avviata verso risultati contabili più che accettabili, dall’altro occorre evidenziare come già fatto negli anni scorsi alcuni aspetti critici, come i costi non uniformi, di beni e servizi acquistatiall’esterno dalle AA.SS.LL., le sempre lunghe liste d’attesa; i problemi connessi alla minore propensione delle assicurazioni a coprire i rischi della professione medica, l’aumento della compartecipazione (ticket)richiesta all’assistito”.
Ma è nel capitolo “sanità” della memoria, curato, come abbiamo detto dal vice procuratore Benedetti, che insieme ai dati contabili di dettaglio sull’andamento della spesa nel 2013, troviamo le critiche più esplicite alla gestione attuale del sistema sanitario, tant’è che c’è un paragrafo volutamente titolato “La sanità malata”.
“Se i flussi finanziari – si legge infatti nel testo - sembrano ormai avviati verso approdi contabili più accettabili, appaiono ancora latitare interventi significativi per le varie criticità sostanziali che affliggono da tempo il nostro sistema sanitario, dimostrando nuovamente l’evidente difficoltà di giungere a convincenti soluzioni”.
“Del resto – prosegue Benedetti - la sommaria analisi dei daticontabili, fin qui  effettuata, richiede alcune necessarie considerazioni integrative  relative all’effettivo stato di salute del sistema, al di là, cioè, di  quanto potrebbero indurre a ritenere ipur provvisori dati di consuntivo, per verificare in concreto il bilanciamento fra i vari  interessi pubblici in gioco, tenuto conto che le pur importanti  esigenze di bilancio vanno contemperate con il risultato di  assicurare un effettivo e generalizzato diritto alla salute”.
“In altri termini – chiosa il vice procuratore - in un settore molto particolare, come quello sanitario, la validità di una gestione non può essere valutata esclusivamente con i dati numerici, ma va vista anche in funzione degli obiettivi da raggiungere ovvero, se ritenuti già raggiunti, da mantenere”.
Sanità oggetto delle più svariate manovre ma ora bisogna interrogarsi sulla sostenibilità del sistema
“Da diversi anni, ormai – rileva Benedetti - la sanità è statafatta oggetto delle più svariate manovre di contenimento della spesa pubblica, che hanno comportato una costante diminuzione delle risorse a disposizione a fronte di livelli di assistenza in tendenzialeespansione. Bisognerà allora interrogarsi sulla ulteriore sostenibilità di una eccessiva contrazione delle risorse da destinare al settore, senza prima affrontare il vero nodo del problema, rappresentato da una coerente riqualificazione della spesa da sostenersi, da depurare innanzi tutto da fenomeni di  mala gestio e da sprechi, spessi dovuti a deficienze organizzative che andrebbero risolte con sollecitudine”.
“Anche perché – prosegue - la vulnerabilità intrinseca del sistema, oggetto di male intenzionate incursioni esterne ma anche di tarli interiori alquanto attivi, finisce talvolta per depotenziare o addirittura annullare del tutto gli effetti positivi che i vari strumenti riformistici hanno faticosamente conseguito”.
Sempre liste d’attesa e attenti alla medicinadifensiva
“Neppure il 2013 è stato l’anno di significativi miglioramenti dell’antica problematica delle liste d’attesa scrive ancora Benedetti - che rappresentano una delle spie piùsensibili del difficoltoso funzionamento del sistema e per il quale si devono nuovamente sollecitare interventi organizzativi strutturali”.
“L’effetto ingolfante della c.d. medicina difensiva, invero difficile da scongiurare senza un’appropriata riforma culturale di operatori sanitari ed assistiti – osserva poi il vice procuratore - va fronteggiato con adeguati strumenti che assicurino l’effettuazione delle prestazioni in tempi ragionevoli, magari escludendo dai vincoli di spesa e dai tetti programmati quegli accertamenti riguardanti patologie particolarmente rischiose, che richiedono una risposta pronta ed efficace”.
“Da monitorare, comunque – conclude su questo punto Benedetti - i tentativi posti in atto in alcune regioni del centro nord per lo svolgimento di accertamenti diagnosticianche in giorni festivi ed in orari notturni”.
Sanità pubblica senza coperture assicurative per Asl e professionisti
“Già in passato – ricorda Benedetti - si è avutomodo di richiamare l’attenzione sulla progressiva disaffezione delle compagnie assicuratrici nei confronti di un settore ritenuto evidentemente poco remunerativo. La carenza di specifiche informazioni al riguardo, non consente, per ora, di valutare i riflessi contabili della scelta effettuata in alcune regioni di far assumere a diretto carico delle strutture sanitarie (e quindi dell’amministrazione pubblica) il rischio da responsabilità civile verso terzi derivante da errori professionali, non ricorrendo più alle coperture offerte dalle imprese assicurative. Anche al di là, comunque, del potenziale impatto economico, resta pur sempre una scelta controversa, perché da un lato espone il sistema a futuri potenziali oneri oggi non previsti e forse neppure prevedibili e quindi in oggettiva collisione conle esigenze di programmazione; mentre dall’altro, considerate le intuibili limitatezze delle risorse a ciò disponibili, favorisce un sistema di garanzie affievolite a fronte di contenziosispesso economicamente rilevanti, a tutto discapito oltre che delle strutture sanitarie coinvolte, anche degli operatori sanitari e degli stessi soggetti danneggiati”.
La crisi della sanità privata
“Altro aspetto segnalato in passato, che ha fatto registrare segnali di oggettivo peggioramento - dice Benedetti introducendo un altro elemento di criticità alla sua relazione - è quello della crisi manifestata nell’ambito della sanità privata, le cui difficoltà finanziarie hanno talvolta trovato le proprie cause in gestioni non corrette, quando addirittura illecite. I segnali degli anni passati, già di per sé preoccupanti, riguardanti tale contesto, hanno trovato lo scorso anno la propria inevitabile conferma, rendendo inequivocabilmente manifeste situazioni assai critiche concernentianche importanti e rinomate strutture sanitarie, che al di là dell’innato dualismo fra pubblico e privato, non da tutti correttamente apprezzato, hanno comunque concorso in passato allapiena realizzazione delle finalità del sistema sanitario e che rappresentano pur sempre una valida alternativa ai limiti delle strutture pubbliche”.
Le compartecipazioni di spesa
“Altro fenomeno sul quale riflettere – aggiunge Benedetti - è quello del livello raggiunto dal pagamento dei tickets sulle prestazioni a carico del Servizio sanitario nazionale, che in alcuni casi sta progressivamente avvicinandosi ai costi di mercato di alcune prestazioni effettuate in privato, incentivandone paradossalmente il ricorso in quella direzione.
Seppure rimane alquanto difficile pensare ad una loro diminuzione, va però ribadita la necessità che un tale strumento vada adottato in maniera più equa, razionalizzando prescrizioni, dimensioni delle confezioni farmaceutiche alle effettiveesigenze  terapeutiche, migliorando anche altri aspetti del sistema, all’apparenza secondari, per venire soprattutto incontro a quella parte più debole della popolazione, per la qualecurarsi si è trasformato in un lusso”.
I danni erariali alla sanità
“In occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2014 – ha ricordato Benedetti - si è dato conto dell’attività svolta dalle Procure e dalla Sezioni giurisdizionali nei giudizi di responsabilità amministrativa riguardanti il settore, caratterizzato da numerose fattispecie di danno erariale, a riprova di un ambito facilmente incline a ruberie e sprechi, che incidono prima ancora che finanziariamente, anche sotto un profilo etico, quando non sono addirittura forieri di mettere in discussione gli stessi equilibri politici delle realtà territoriali. Del resto, poiché gli errori sanitari sono diventati sempre più oggetto di contenziosi giudiziari, anche per fattispecie un tempo inimmaginabili, il riflessonegativo che peserà sulle finanze pubbliche è largamente scontato, con la conseguente necessità di risarcire il danno prodotto alle strutture”.
Sempre meno operatori sanitari?
“Se i dati provvisori finora disponibili saranno in seguito definitivamente confermati, per la prima volta negli ultimi anni – sottolinea Benedetti - la spesa per l’aggregato delle risorse umane non rappresenta più quella maggiormente incidente sul totale delle risorse a disposizione del sistema sanitario, sopravanzata dalla spesa per l’acquisizione di beni e servizi. Il blocco dei contratti pubblici e la contrazione del turn over rendono coerente il dato rilevato, ma suggeriscono anche l’opportunità di un’attenta valutazione in prospettiva futura, per evitare il rischio di un depauperamento progressivo del personale addetto. Anche in questo caso, dunque, una visione esclusivamente contabilistica del profilo rischia di entrare in rotta di collisione con le finalità proprie delsistema”.
Stili di vita migliori
“Sempre nell’ottica di risparmiare risorse talvolta assorbite da aspetti non propriamente prioritari – conclude la disamina sullecriticità della sanità del vice procuratore - sarebbe opportuna una maggiore coscienza istituzionale, quanto più possibile corroborata da consapevoli scelte personali, finalizzata a favorire stili di vita più sostenibili e condivisi, a cominciare da una più corretta educazione alimentare da porre al centro di un nuovo modello di sviluppo”.(...)
Corruzione in sanità
"Un elemento di moltiplicazione della corruzione nella sanità è la presenza enorme della politica nelle scelte sanitarie". Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione non ha dubbi e, intervenendo al convegno ‘Corruzione in sanità e sostenibilità dei sistema", organizzato da Altems all’Università Cattolica di Roma, risale subito alla radice del problema.
"Noi siamo l’unico sistema – hasottolineato - che continua a scegliere delle cariche da parte di organismi politici. Certo, rispetto al passato sono stati fatti passi in avanti, ma sono ancora pochi, se si continua a chiedere quale tessera di partito ha quel primario o quel direttore generale o direttore amministrativo".  Il quadro non è incoraggiante per il comparto sanitario dove, osserva Cantone, si annidano e intrecciano pericoli di varia natura. “Nella sanità ci sono tutti i germi possibili per facilitare la corruzione: molte voci di spesa, molto denaro pubblico,molti appalti e altrettante stazioni appaltanti. E soprattutto, una enorme presenza della politica che la favorisce".
Nel complesso il tema della corruzione va fronteggiato con tre tipologie di interventi. "Un’attività di tipo preventivo, un intervento repressivo significativo e un salto di qualità culturale. Il corrotto e il corruttore infatti - osserva - ancora non sono considerati dei veri delinquenti. Un po’ come gli evasori fiscali. Questapurtroppo è la cultura del nostro Paese”.
La sanità appare quindi il settore più interessato da fenomeni di corruzione. Un dato confermato anche da Francesco Bevere, direttore generale dell’Agenas. “Nel comparto ci sono 1.176 soggetti coinvolti per un totale di danni alla spesa pari ad 1 miliardo e 280 milioni di euro. Come è evidente il nostro è un problema etico ed in sanità il disvalore di questi comportamenti non può che essere percepito con maggiore indignazione”.
Il vero problema del prossimo futuro, ha puntualizzato Bevere, senon interverrà un vero cambiamento, “non sarà la diversità di valori o di opinioni che dividerà la società in due gruppi, quanto il determinarsi di un gruppo terzo, per così dire neutrali”, in grado di porsi nel mezzo, con una totale indifferenza rispetto a valori e principi. Questo potrebbe produrre una massa critica di persone prive di ogni identità morale ed etica e prive di quel senso di appartenenza che costituisce il vero freno inibitore allarealizzazione di comportamenti illeciti. Dobbiamo alimentare il senso di appartenenza del personale della sanità, perché nessuno andrebbe mai contro se stesso e contro qualcosa che gli appartiene”.
Per il direttore generale dell’Agenas la sfida più importante che riserva il futuro in sanità è “quella di saper coniugare efficienza e razionalità, oculatezza ed incisività, trasparenza e legalità, autenticità e meritocrazia, ma soprattutto, di saper legare le attività di ogni operatore sanitario ai bisogni delle singole persone, al serviziodella collettività”.-q.s.-(...)
Sanità: meno aziendalismo e più Stato
Ciò che meraviglia nel nostro Paese è la mancata presa di coscienza della crisi in atto. La si sottolinea tutti i giorni, ci si preoccupa sino a maturare l’ansia dell’impoverimento, salvo boicottare ciò che serve e contraddire ogni misura di contenimento, allorquando questa si avvicina alle nostre tasche. Altri Paesi (su tutti Grecia, Irlanda, Portogallo eSpagna) hanno reagito e imboccato la strada della soluzione accettando regole che da noi sembrano inconcepibili, specie dai soggetti pubblici che non riescono, oramai da tempo, a risolvere altrimenti il pericolo alla propria sopravvivenza rappresentativa.
Tagli di retribuzione ai dipendenti pubblici, compressione dei servizi pubblici e ridimensionamento del welfare per i ceti più abbienti sono oramai all’ordine del giorno e non più eludibili. Sono altrove accettati dalle rispettive nazioni che hanno ben compreso che la crisi non era e non è uno scherzo. Non è “na nuttata” da fare passare,semplicemente, con il trascorrere delle ore, bensì una situazione difficile da affrontare e risolvere. Tra tagli drastici, forzatamente condivisi, e riforme pesanti molti Paesi si sono avviati ad uscire dalla crisi, perseguendo un progetto di “lacrime e sangue” (quelli veri) che durerà qualche anno forse un decennio. Qui da noi no! Vincono i sacrifici fatti dagli altri e perdono quelli che sichiedono a tutti nessuno escluso. Predomina il furbo, attaccato come una cozza ai propri privilegi, e soccombe l’onesto e il sensibile ai diritti di cittadinanza nonché l’indigente dipendente dal welfare.
Da una parte, il sistema produttivo privato è all’estremo, tanto da registrare la chiusura in progress di aziende e l’ingigantirsi delle sacche di disoccupazione, affollate da tanti padri di famiglia che non sanno neppure cosa dire ai loro figli affamati di lavoro. Dall’altra, vengono contestate le misure che altrove sono naturalmente condivise nell’interesse collettivo di fare ripartire ilPaese. Quindi, no al blocco degli aumenti delle retribuzioni pubbliche; no al taglio solidale delle pensioni alte (su quelle medie occorrerebbe fare un qualche discrimine, attesa la funzione datoriale di tanti nonni); no a tutte le misure che producono i sacrifici necessari per uscire dalla crisi e generare crescita.
A fronte di tutto questo - considerata la modifica in atto delladeterminazione del PIL, nel senso di renderlo omnicomprensivo del giro d’affari dell’illecito (se dovessimo considerare la palese corruzione saremo tra i più ricchi del pianeta!) - si ritorna ai tagli indiscriminati a sistema.
La spending review, che ha dato tanti problemi relazionali tra il Premier e il commissario Carlo Cottarelli, ha prodotto poche soluzioni tecniche e, dunque, nessun risultato tangibile, utile a determinare la copertura delle spese previste e prevedibili. Anche in termini di risultato, la revisione della spesa non promette il raggiungimento del budget 2015 di 17 miliardi senzaintervenire sulla sanità, previdenza e congelamento delle retribuzioni statali.
Fa quindi capolino la necessità politica, considerata la debolezza di incidere altrove con interventi “chirurgici”, di intervenire con i soliti tagli lineari, anche sulla sanità, dopo le diatribe insorte, alla vigilia della firma del Patto per la salute, tra il ministro Lorenzin e il commissario Cottarelli.Un round aggiudicato dalla titolare del dicastero che ha preteso, giustamente, che i risparmi derivanti dalla revisione della spesa di funzionamento rimanessero nell’ambito della salute.
Le opzioni al vaglio sono poche. Tutte dirette comunque a diminuire, direttamente ovvero indirettamente, la portata dei Lea. Si pensa di risparmiare sui rapporti convenzionali con il Ssn, supponendo tuttavia di non mettere, con questo, in discussione il contenuto del recente Patto per la salute. Come si farà è francante difficile a comprendersi, dal momento che nel rapporto convenzionale risiede la soddisfazionealle istanze primarie dei cittadini, che trovano il primo ristoro nelle prestazioni erogate dai medici di famiglia e dalle farmacie, oramai ridotte all’osso sul piano della produzione degli utili aziendali indispensabili per il sostegno.
Realizzando economie in un tale segmento assistenziale (che è senza dubbio da rivedere nel senso di pretendere da esso una maggiore attività prestazionalea costo zero) si correrebbe il rischio di mettere in pericolo la salute primaria dei cittadini, già penalizzati da una caduta dei Lea riguardanti le fasi successive dell’assistenza, in primis quella territoriale che non c’è e quella ospedaliera affossata da un ridimensionamento “lineare” e non discriminativo (così come invece necessiterebbe).
Un errore peraltro riconosciuto nello stesso Patto per la salute che ha sancito principi fondanti diversi, sia nella determinazione del costo/fabbisogno standard (oggi quota capitaria pesata in ragione dell’anzianità degli assistiti) ancorato agli indicidi deprivazione socio-economica che nella determinazione della rete ospedaliera, che dovrà tenere conto (finalmente) delle esigenze orografiche e della condizioni viarie dei rispettivi territori, a tutt’oggi irresponsabilmente disattese, specie nelle regioni in piano di rientro.
Concludendo. Intervenendo nella sanità alla solita maniera non si arriverà da nessuna parte: sia sul piano deldecremento della spesa (impossibile da realizzare senza soffocare il livello essenziale di assistenza, come per esempio determinato dal blocco generalizzato dal turnover) che su quello di garantire agli individui un sistema uniforme e globale. Troppe le differenze geograficamente rilevabili e numerosi i distingui sulla gestione dei piani di rientro, per non parlare dei commissariamenti che fanno acqua da tutte le parti.
La sanità abbisogna di un consistente intervento riformatore inteso a modificare strutturalmente l’attuale sistema che ha prodotto inconcepibili discrimini e tante ricchezzeindebite determinate dalla mobilità dei discriminati. Un fenomeno terribile che ha raggiunto limiti inaccettabili in alcune aree, come la Calabria, ove il saldo di mobilità ha determinato una emigrazione del dolore, specie a favore della Lombardia, rappresentativa di un costo di oltre 250milioni annui.
Tutto questo vorrebbe dire mettere in discussione l’attuale regime gestorio, soventementecorrotto e inadeguato, nei confronti del quale servirebbe poco diminuire i centri di approvvigionamento di beni e servizi. Concentrare i centri decisori degli acquisti (almeno solo quello) non rappresenta la soluzione, Mose ed Expò docent. Per una sanità migliore e più uniforme, serve più Stato, espulsione della politica nella determinazione delle scelte e, soprattutto, meno aziendalismo. Ettore Jorio (Università della Calabria) q.s.(...)                                                                                     Sanità,liste di attesa...
Ilsistema di prenotazione delle visite e degli accertamenti medici, rischia un  doppio collasso, da una parte i lavoratori delle cooperative che gestiscono il servizio telefonico, quasi tutti part-time con stipendi indecenti e nessuna tutela, senza prospettive e garanzie adeguate, dall’altra l’utenza, pazienti con diritti certi, ma lasciati soli di fronte alla patologia o alla paura della patologia, con tempi diagnostici impossibili e troppo spesso indecenti.
Il mix tra queste condizioni è semplicemente esplosivo, il sistema rischia il tracollo e tutti, lavoratori e pazienti, l’annullamento dei loro diritti. Semplificativo e fuorviante dire che le responsabilità sono dell’assessore alla salute e dell’intera struttura. Certo, hanno responsabilità anche gravi, in particolare perché dotati di scarso coraggio nell’affrontare energicamente il problema scontrandosi con le potenti lobby professionali attori del sistema, ma sostenere che siano gliunici responsabili significa non capire oproteggere il sistema stesso.
Le lunghe liste di attesa hanno diverse condizioni d’origine e queste si,  interne alle contraddizioni politiche sia locali che nazionali. Nel Corso degli ultimi anni, come gruppo consiliare abbiamo monitorato molte strutture ospedaliere e delle asl di tutta la regione. Volevamo verificare quali elementi ostacolano la riduzione dei tempi di attesa. L’indagine ha evidenziato come in media le attrezzature diagnostiche siano in numero sufficiente ma scarsamente utilizzate,  tra le 4 e le 5 ore giornaliere per 5 giorni alla settimana con punte al ribasso di  pochi minuti al giorno sino a punti elevati di impiego per 12 ore.
Il basso impiego dipende principalmente da due fattori: primo, un numero elevatissimo di accertamenti diagnostici avvengono all’interno degli ospedali, i quali per funzionare nella loro attività primaria di cura dello stato acuto delle patologie hanno necessità di accertamentidiagnostici dei ricoverati. Il personalemedico e tecnico che esegue le prestazioni è lo stesso e in fascia oraria ridotta, quindi deve dividere, quando va bene, il tempo tra "pazienti interni" ed "esterni". Secondo, la mancanza di personale impedisce lo "sdoppiamento" e in ogni caso la copertura di più turni operativi che potrebbero aumentare di almeno il doppio il tempo medio di "funzionamento" per accertamenti diagnostici. Ma allora sarebbe semplice basterebbe assumere personale e le cose andrebbero a posto ma qui incontriamo le prime gravi contraddizioni politiche.
Ogni anno da 10 anni a questa parte, le finanziarie dei governi nazionali bloccano le assunzioni, impedendo di sostituire persino il personale che va in pensione. Ciò che conta per loro è ridurre le spese, quindi il personale e alla fine i servizi. La risposta ai tempi di attesa? Allungare la giornata lavorativa di chi resta in servizio, con straordinari pagati a gettone. I costi ? Alla fine sono maggiori e non soloperchè si paga di più l’oraio prolungato,ma perchè dopo molte ore di lavoro pressante e di forte sforzo manuale e intellettuale i rischi di errore aumentano con pesanti ripercussioni sui pazienti e quindi ulteriori costi sanitari.
La prima cosa da fare è aprire un fronte vertenziale con il governo nazionale per togliere i blocco e finalmente assumere il personale necessario. Si guardi alla salute e non al risparmio su la pelle dei cittadini. Per risparmiare bisogna colpire sprechi, ruberie, appalti, in poche parole finirla con privatizzazioni e regalini agli amici degli amici. La sfida è aperta noi sappiamo da che parte stare.M.N.

 

 

 

 


 









   
 



 
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