Società partecipate, arriva la trasparenza. Ora sapremo quanto guadagnano i boiardi di Stato
 











Resterà un carrozzone ma almeno sarà un po’ più trasparente. E chissà che, col venire meno dell’opacità, non arrivi pure qualche sforbiciata. Potrebbe avere un effetto a cascata niente male la decisione dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) di accendere indirettamente un faro sulle migliaia di società a partecipazione statale.
A ottobre l’organismo guidato da Raffaele Cantone ha emanato una delibera sugli obblighi di pubblicazione degli organi di indirizzo politico nella pubblica amministrazione. Tradotto: le migliaia di poltrone nominate dal Palazzo a tutti i livelli. Ma - ed è questa la novità - l’Anticorruzione ha dato una interpretazione per così dire "estensiva" dell’espressione "indirizzo politico". Ovvero non solo, come accaduto finora, le cariche elettive o di rappresentanza ma anche tutte quelle che "esprimono un indirizzo generale sull’organizzazione e all’attività dell’ente". Insomma, tutti quei ruoli e organismi che hannofunzioni di guida e controllo come gli amministratori delegati, i cda, le assemblee, i consigli di vigilanza e i comitati di varia forma e natura.
Una rivoluzione di non poco conto, perché in estate il governo ha ampliato la platea delle amministrazioni interessate dalla trasparenza. Nel decreto Competitività, infatti, era stata inserita una norma che impone che a pubblicare retribuzioni e dichiarazioni patrimoniali sui rispettivi siti internet debbano essere anche le Autorità indipendenti (che prima, recitava la legge, potevano seguire “le disposizioni dei rispettivi ordinamenti”), gli enti in cui sono riconosciuti poteri di nomina alla Pa e il mare magnum delle società partecipate, a prescindere se siano vigilate, finanziate, in house o se la quota pubblica sia solo minoritaria. Incluse quelle degli enti locali.
Il combinato disposto delle due norme è che adesso dovrà essere reso pubblico ogni compenso, gettone di presenza o rimborso erogato a partire da aprile 2013 (data dientrata in vigore del Codice della trasparenza) a una pletora sterminata di cariche a tutti i livelli, dalle Authority ai rettori delle università, dai grandi manager alle giunte delle Camere di commercio, dai vari consigli di amministrazione fino agli enti parco e le comunità montane. E per chi risulta inadempiente sono previste sanzioni.
Non proprio una cosa di poco conto, considerando che attualmente lo Stato - come ha raccontato l’Espresso - non ha nemmeno una completa cognizione delle sue partecipazioni. Di questo poltronificio, che assomma decine di migliaia di incarichi, si sa soltanto che costa 26 miliardi l’anno, come ha certificato la Corte dei conti. Ma il numero esatto nessuno lo conosce: il commissario per la spending review Carlo Cottarelli aveva censito 8 mila società, il ministero dell’Economia si era fermato a 7.700 e il dipartimento per le Pari opportunità era arrivato a oltre 10 mila.
La decisione non ha però visto concordi tutti i consiglieridell’Anticorruzione. La costituzionalista Ida Nicotra, ad esempio - una dei "saggi" nominati lo scorso anno da Giorgio Napolitano e vicina al centrodestra (alle ultime politiche si è anche candidata col Pdl) - ha espresso la propria contrarietà, paventando il rischio di “voyeurismo” amministrativo degli internauti, col rischio di alimentare un clima di generico sospetto.
Adesso per adeguarsi gli enti hanno 30 giorni (lavorativi). Il termine scadrà i primi di dicembre e questo, anche per il rischio di sanzioni, sta comprensibilmente seminando qualche batticuore fra uffici e organi di vertice. Non solo per le informazione da reperire e pubblicare ma anche perché adesso sarà necessario rendere pubblico fino al singolo euro intascato. Circostanza che se non intaccherà direttamente il gran carrozzone di Stato, lo renderà quanto meno un po’ più trasparente. Paolo Fantauzzi,l’espresso










   
 



 
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