Oltre i confini del potere
 







di Bruno Accarino




Silvio Berlusconi
Presidente del Consiglio

Sconfinamento: tecnicamente, è questa la cifra fondamentale del comportamento di Berlusconi oggi. È un dato di assoluta evidenza, non contestato neanche da chi ne apprezza e ne vezzeggia il cipiglio manageriale e la disinvoltura decisionistica: sconfinamento rispetto ai poteri a lui attribuiti dalla carta costituzionale, alle sentenze della magistratura, ai confini fissati dal bilanciamento dei poteri e, ormai, ai limiti della decenza nei giudizi pronunciati, non a bassa voce, sul padre di Eluana. Non si è sottolineato ancora, però, che il potere pastorale esercitato da Berlusconi è per sua natura sovraterritoriale e perciò disponibile a nuove avventure. Se immaginiamo infatti un conflitto tra culture agrarie e culture pastorali, possiamo pensarlo come conflitto tra stanzialità e nomadismo: chi aderisce alla prima punta sul territorio, chi aderisce al secondo si concentra sul gregge. I nomadi, perciò, sanno sempre sostituire una pecorella smarrita:sono curatori e allevatori, non possono badare all’integrità del gregge se non assumendo un profilo apertamente predatorio. Sono interventisti e manipolatori, sono sfrenati rispetto alla censura rassegnativa esercitata dalla terra: in un caso come il nostro, scelgono pretestuosamente una pecorella per risarcire la perduta integrità. Il potere pastorale ha facoltà di scorrazzare per tutto il vivente, si fa allertare dagli eventi e li cavalca con tempestività invece di farsene soggiogare, irride alla timidezza inerte della cultura contadina.
Di qui l’insofferenza per il diritto, questo antiquato posatore di transenne: il capo dello Stato è statalista (?), i suoi rilievi giuridici peccano di formalismo, urgono istanze metagiuridiche che sfuggono alla piccineria dei codici. Il profilo che ne deve uscire è ecclesiale, magari con un contorno di acclamatio del capo, ma non strettamente ecclesiastico, perché anche la Chiesa potrebbe essere una macchina troppo farraginosa e maestosa peressere assecondata. Passaggi impegnativi nell’esercizio del potere pastorale, come quello della confessione auricolare, possono essere rimpiazzati da un rito mediatico e virtuale di purificazione: da una professio per sondaggio invece che da una confessio al prete.
A questo punto il diritto diventa come una molla elastica: da un lato puntiglio da detective nel rintracciare pecche amministrative nelle procedure di ricovero di Eluana, dall’altro rivendicazione della superiorità cristiana di una carità apertamente fuorilegge. Chi vuole può divertirsi a commisurare l’intransigenza salvifica con lo scapigliato lassismo consentito e incoraggiato in altri terreni. Sono i segni di un totalitarismo impegnato allo spasimo nel disciplinamento dei corpi e delle anime? No, sono piuttosto i segni di un autoritarismo espansivo e aggressivo, che non punta più sulla tradizione o sulla restaurazione, ma sull’ampliamento dell’area di efficacia del paternalismo.
Il cosiddetto «diritto alla vita»ha, in questo contesto, le stesse valenze del diritto alla felicità, un tema che non a caso, per le sue incontrollabili implicazioni, ha sempre suscitato diffidenza nel costituzionalismo europeo, perché non si sa mai chi fornisce la ricetta della felicità. La crisi delle vecchie agenzie di trasmissione del bene, a cominciare dalla famiglia e dalla scuola, ha come effetto quello di centralizzare e di verticalizzare un bisogno di identità e di comunità che salta sul carro dell’arretramento della cultura sovrano-giuridica: il paternalismo di oggi non si accontenta di gestire le periferie del bene e disprezza la neutralità negativa e difensiva dello Stato di diritto, al punto da non essere imbarazzato dalla supplenza esercitata da formazioni paramilitari come le ronde padane. Il resto lo fa un neopatrimonialismo economico che lubrifica gli ingranaggi con movimenti affaristici e clientelari, purché sia salvo il principio del patronage.
Se tuttavia si pensasse che la smisuratezza dellereazioni di Berlusconi appartiene solo alla sfera dei disegni consapevoli o addirittura del complotto, si coglierebbe solo una parte della verità. Essa appartiene invece ad un ambito in senso lato patologico. Quando la cultura europea cominciò ad ascoltare intensamente le scienze del corpo e della vita, dell’anima e della mente, mise a fuoco anche l’impossibilità, per la politica, di essere immune dall’ormai diffusa caduta della capacità individuale di autocontrollo: guardò con occhi nuovi alla promiscuità delle classi, alle epidemie nervose, agli squilibri da frustrazione, alle forme maniacali, e ne registrò la presenza, al più tardi dal secondo Ottocento, nella classe politica dirigente.
Stizza infantile, ripicche da agonismo sportivo, astio vendicativo, ricatti e minacce da rissa di quartiere: nulla ci è stato riparmiato in questi giorni, anche da parte di ministri della repubblica. Non ci è stata risparmiata neanche l’unanimità obbedienziale dei cortigiani nei confronti delcapo, a ben vedere anch’essa un dato patologico che, perfino in una compagine governativa ridisegnata secondo criteri di sbrigativa conduzione aziendale, dovrebbe rientrare nel territorio dell’improbabile. La politica è fatta ormai di scarti e di scatti, anche di nervi, e l’involucro formale nel quale dovrebbe essere racchiusa stenta a contenerla.
Bisogna aggiungere che, quando la sfera pubblica rivela segni - già colti da Tocqueville - di inaffidabilità e di deterioramento rispetto al suo prototipo liberale, il problema non diventa quello di frugare nelle biografie e negli armadi degli uomini politici, ma quello di intendere se la porosità della politica alle nevrosi dell’uomo comune non sia destinata a rendere troppo permeabile quel privato a cui essa non dovrebbe avere accesso. Se il privato ha potere sul politico, al punto da scaricare su di esso gli umori e le paturnie del detentore di turno del potere, perché non dovrebbe essere possibile anche il percorso inverso?
Il nomedi Hitler, o di qualche altro folle sanguinario, ha avocato a sé, e in certo modo disinnescato e messo nel dimenticatoio, le premesse di questa psicopatologia del potere: quando mai potrà ripetersi qualcosa del genere? Sull’irripetibilità possiamo stare relativamente tranquilli, molto meno sulla possibilità di cancellare dai nostri orizzonti le origini e le cause. de Il Manifesto









   
 



 
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